sabato 28 aprile 2012

Nomen omen e le faccende dell'anima

“NOMEN OMEN” DI FABRIZIO CENTOFANTI
LE FACCENDE DELL’ANIMA

DI AUGUSTO BENEMEGLIO


1.Le faccende dell’anima .

Per Fabrizio Centofanti l’impulso alla ricerca della verità non ammette frontiere di fatica . Ogni rivo del proprio sangue, ogni energia , ogni atomo chiuso   nel suo corpo e nella sua mente che vive in lui  è come una porta aperta in cui  entra  ogni storia , ogni angoscia , ogni ferita , ogni dramma che  si fa ora canto , preghiera o disperata allucinazione d’amore, sacro o profano che sia . Il ruolo essenzialmente umano, primordiale dell’arte, costituisce il tessuto connettivo del suo lavorio interno ,  e poi c’è l’orma , il marchio indelebile della sua fede cristiana , la sua passione nel viverla , la sua ossessione, la sua speranza , anche quando sei in crisi nera e hai davanti a te  “muri d’ombra e altri fallimenti” ,  il “cuore butta sangue”  e temi di non farcela : …ti sembra a volte di non avere /più nulla dalla vita. Ti guardi dentro/e vedi solo polvere . Allora cerchi un volto/ qualcuno che t’assolva nei giorni in cui non credi (pag.72), oppure t’avventuri nella “Selva dei suicidi  e  cerchi “ scampo anche nelle tenebre/ quando il cerchio  è un baratro che s’apre /sotto un ponte leggero .(e)  non basta l’innocente varco nel cuore (pag. 35)  

Per uno come lui,  abituato a indagare nelle faccende dell’anima e  nello scandalo dei sentimenti , oggi, in relazione allo squallore dei tempi , alla miseria e  alla violenza  dei  giorni , “quando i nomi delle cose sono lampi,/coltelli che s’imbrattano di sangue (pag50) , tutto si fa attualità , cronaca viva, pioggia densa scura come il sangue//tra le rovine intrise di catrame(pag.83).  Ed ecco la morte di Vittorio Arrigoni, l’utopia della pace , e i cecchini israeliani, il fora di ball  leghista per i sepolti dentro l’acqua senza un nome, i trecento migranti  annegati in un sogno di accoglienza ( pag.106), lo Tsunami giapponese,  la morte di Simoncelli , il ragazzo dai riccioli di stelle , gli eroi di Fukushima .Ma di fronte alle avversità bisogna battersi con fede e coraggio  (Il coraggio è una virtù scaduta/Ma è il coraggio che serve//io non m’arrendo: anche se il tempo/infierisse, lo guarderò negli occhi, /gli tenderò la mano, pronuncerò/- con l’ultimo respiro -/una parola inascoltata di perdono –pag.109), battersi anche con “Il vomito , la febbre, la solitudine appesa/all’attaccapanni dei ricordi (pag.114) ela mia solitudine infinita”, che è quella di un’anima che ha una sensibilità da orchestra di violini , di un  prete che è sempre e comunque solo col suo  Dio, che l’ha chiamato  per custodire intatta la “sua parola” e darla a tutti, ma in particolare ai poveri, con tenerezza, con spirito di servizio, fraternità, ma anche con fierezza. Seguire lui significa  darsi un bacio che oltrepassi il muro // e giunga dalle stazioni della memoria // all’ultima stazione.  Noi lo sappiamo bene che ricadremo  mille  volte,  “ istante dopo istante, nella corsa buia dell’abitudine ” , che resteremo attaccati al nostro io , e che tarderemo molto a fare un falò di tutti gli ignoti desideri e le  nostalgie smarrite . E’ sempre difficile fugare l’ombra triste del ricordo/ferito e rifugiato dentro il cuore// le mille strade aperte  e poi sbarrate/ da forze oscure ed  eventi senza nome (pagg.75-76).
Mi viene in mente quel capolavoro del “Diario di un curato di campagna”, che Fabrizio spesso cita dall’ambone. E’ difficile fare l’esperienza dell’ingiustizia  e non lasciarsi divorare, è difficile sfuggire al suo fascino , alla sua vertigine .  E nemmeno  la si può far indietreggiare fissandola negli occhi come un domatore. “Non guardarla che quel tanto che occorre, e non guardarla mai senza pregare”.  
2. Naufrago veggente
Con un  “tempo largo di apertura al futuro , in cui speranza e carità si mescolano, si integrano , si ritrovano  nelle azioni degli uomini  e della loro (spesso) incomprensibile condotta “, come acutamente annota l’eccellente prefatore , Giuseppe Panella , Fabrizio continua a dirci del sogno di redenzione possibile  per tutti gli uomini , a parlarci di un  Dio che non fa rumore , un  Dio dei fiori sorto a primavera , del  canto infinito dell’oltre , della testa dell’angelo di cartapesta  dell’Annunciazione , del giorno dell’incontro fatale che avverrà per tutti , e mentre la lacrima scende /Il re dei re bacia la tua fronte. Non ci sono più necessità , si placano le amarezze e  le disavventure del pensiero, scorre il fiume del ricordo, ma tutto ora è costantemente nuovo. Ancora non sapevo /che amare è morire// L’amore ha parole molto strane ,/e gesti che si perdono nel tempo /è candela che brucia all’infinito…   Ma eccolo , l’amico Fabrizio (“saremo chiamati tutti alla vita , si risponda a quell’invito,  non si  intraprendono lotte contro la sacralità dell’amicizia, della solidarietà, ma se ne ascolti l’esempio”),  te lo trovi di fronte come un dono immeritato , con quel bel viso ancora da ragazzo  , un po’ pallido,  smagrito , lo sguardo intenso, il gesto affettuoso,  la dolcezza del sorriso,  un po’ Dylan Thomas ( “Me stessi/Coloro che piangono/Piangono fra le strade bruciate…/Ed io sono muto per dire alla rosa contorta/Come la mia giovinezza è piegata da identica febbre”), con la sua forza elementare , la sua linfa  grandiosa, la concezione panteistica della vita e della morte , un po’ Nichita Stanescu ( “Che bene che ci sei…/E’ un destino del mio essere/e allora la felicità del mio dentro/è più forte di me, delle mie ossa, /che le stridi in un abbraccio /sempre doloroso, meraviglioso sempre”) , poeta romeno della resistenza e dell’amore .  “La poesia non ha un senso preciso , è solo comprensione , la poesia vive  di accoglimento e amore , è senza intenzioni , è senza progetti, è senza secondi fini , è puro mistero”.
Ma lui è soprattutto se stesso e   continua  a guardarci  negli occhi/con flauti di canna/nudi ,  continua ad aspettare un nostro bacio  “dalla parte nascosta della luna” ( Vorrei scrivere di nulla //- ai disperati, ai soli , a tutti quelli /cui basta una carezza per tornare/ alla  vita, scordarsi di morire –pag.134. Ma ci parla anche dei sudori d’attese/ e dell’insensato silenzio delle stelle , dell’angoscia dei Getsmani che “è una fiamma che s’accende / con le preghiere svanite nel mattino , del “dolore afono/che raschia la gola del futuro  , dello “strazio  del volersi uniti / e inabissarsi/ nel profondo del secchio.
In quel secchio c’è –forse - l’Infinito , e Fabrizio è una sorta di “Naufrago veggente”  che , ora con un sermone , un’omelia  (“ Quella – gli scrive un’anima della sua parrocchia - è  già poesia nel modo più alto e dolce che solo Dio sa darti quando ti illumina”),  ora con i libri-diario, i romanzi, i saggi, e ora con questo libro di poesie  continua a dirci  che  il Cristo del Vangelo è vivo , sta in mezzo a noi ,  sotto i ponti, alla mensa dei poveri, agli ingressi delle chiese a chiedere l’elemosina , sulle vecchie carrette  della morte , si fa gitano, barbone , alcolista , drop out. ( “Ci saranno sempre dei poveri tra voi”).E’ un povero Cristo  che continua a portare la sua croce da malfattore , a essere sputacchiato , sbeffeggiato , deriso, un Cristo “che soffre”, come ci ricorda Ungaretti: “Fratello che t’immoli/Perennemente per riedificare/Umanamente l’uomo/ Santo, Santo che soffri”.
Con la sua voce icastica, illuminata ,  profetica , profondamente umana , che si fa via via più colloquiale , semplice, diretta, aperta a tutti ( “Il popolo ha bisogno di poesia come di pane”, -diceva Simone Weil , -ma di una poesia che sia sostanza quotidiana della sua stessa vita , che può avere solo una  sorgente, Dio”) , Fabrizio Centofanti dice che bisogna fare “ Quello che rimane” , cioè far spazio dentro di sé agli altri , saper ascoltare il grido della coscienza , e ritrovare la voce di “sottile  silenzio” di Dio , che è immagine , attesa , svolta, incrocio, libertà :  sì, la vita è un bivio, un incrocio continuo. il tormento e la bellezza della libertà//  Faccio quel che rimane /ciò che resta per sempre /lascio tutto quello che passa/in un anno o in una notte/ costruisco con le mani d’uomo/ un destino preparato dal mio Dio. (pag.55),

3.. Tre nomi e un destino
In lui non esistono  soste, non perde un secondo del suo tempo . Ha – come afferma lui stesso   “il karma della focalizzazione” ,  è nato per produrre , per fare.  Il suo primo nome è  , infatti,  Fabrizio, Faber , un nome nel destino. E’  nato per le vigilie , le attese, i perpetui presagi che illuminano i suoi gesti, le sue parole, il suo impegno quotidiano , e la sua opera è ormai diventata salda , viva , germinazione di  fertilità presente e futura. Il suo nome – scrive una blogger – “è quello di saper amare, di conoscere davvero cosa sia l’amore per l’altro, e di insegnarci ad amare”.    Ed è come il  chicco di grano della parabola evangelica :  per fruttificare deve morire a se stesso , deve farsi pane per gli altri.  In lui non  c’è un luogo e un tempo, ci sono tutti i luoghi e tutti i tempi  di un’attesa improvvisa, sfuggita alla coscienza per concessa fragilità.  Ma ci sono altri due nomi nel suo destino, Maria, che è segno di una fede garantita , un’apertura a un’energia straniera . E  poi Leopoldo, il santo che trascorse la sua esistenza a confessare . “La produttività e la fede  non sono sufficienti se non si è disponibili per gli altri  con la stessa cura.” Per amare ci vuole un occhio /lungo che sappia guardare nella notte /mani che riescano a stringere /ogni sogno ogni strano pensiero / piedi disposti a camminare  anche /sui sentieri più scoscesi e duri. / Per amare ci vuole un cuore bianco (pag.79) Fuori dell’amore c’è solo una cieca cattività, il delirio della risalita , la luce che scende, le agoniche memorie solitarie , il destino collettivo di un treno che non arriverà mai, o che , alla fine di un giorno senza senso/non è mai partito. 
L’anima del mondo – lungimiranza dell’amore - , le nuvole , gli uccelli, le pietre , gli alberi,  gli animali , gli uomini, “anche”  gli uomini possono sperare in una salvezza ,  e l’anima può essere risarcita , può smettere di piangere. Tutte le illusorie perennità  penetrano nel terreno  della storia, ma garanzia dell’offerta, sarà quella  della propria integrità , l’estremo sacrificio del sacerdote e del poeta che rende sangue un tramonto , che sente  la ferita nell’essere come sorgente di vita sempre ostinata a vivere donando  al mondo  un cuore chiaro  del suo  sapere oscuro. In questo suo vagare  giorno dopo giorno  “non resta che la pietà nascosta/del silenzio/la ferita aperta  della fragilità;/ il canto muto di un’attesa che ha fermato/tutto, anche il tempo che fugge (pag.113)

4. L’arte della sospensione
La contemplazione delle cose nel tempo sospeso, è arte suprema della pittura, l’arte , ad esempio, di un Piero Della Francesca. Ma anche di un Klee , di un Dalì , o di un Magritte . Nella poesia , abbiamo ad esempio  lo straordinario realismo lirico di Sandro Penna , che ha la capacità di cogliere l’emergenza dell’attimo che è luce , di trasformarlo , appunto, in sospensione , languida e vitale , del tempo (“Ognuno è solo, ma con vario cuore/ riguarda sempre le solite stelle// Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo/che il mio bianco taccuino sotto il sole) . Questa luce , che è la luce stessa dei suoi versi,  che hanno un dono di grazia e limpidità,  la sa cogliere anche Fabrizio  negli occhi o nei gesti delle persone , nello spirito delle cose e della natura , ( C’è qualcosa di umano/al di là di tutto/qualcosa che ti tocca/che non sai definire//E tu risorgi in mezzo a questi avelli/danzando ancora al ritmo di quel tempo // Il corpo e il sogno sono nella mani / di strani pomeriggi nelle stanze /, segrete, lontane da ogni assedio// l’invisibile / l’oro femminile , acceso d’ambra //  il mare , che ci invade  come assenzio.  Queste  oscillazione ondose della coscienza  e della fantasia tracciano indelebilmente una  danza consacrata  ad una consapevolezza che è paziente cura dell’altro. Se la luce talora ci incenerisce brano a brano , rimangono pur sempre briciole di carità, la volontà e la tenacia nel ricercare quei  sassi sprofondati /nel fiume come baci ancora in volo (pag.132)  
La pienezza di esistere  spesso ci  è preclusa da spesse cortine di limiti del corpo e dell’intuito , echi di sillabe  che si sgranano in parole  o grumi che filtrano significati , e si tenta il precipitato chimico per ritrovare un suggerimento di senso in divenire. Ma ha davvero l’arte quel potere di sospensione?  Può essere l’arte un efficace mezzo di comunicazione , di intervento sociale e spirituale ? ( E’ quello che cerca di fare da sempre Centofanti).   Può essere l’arte una radicale e insostituibile speranza per l’uomo dell’avvenire? Deve diventare l’arte un nutrimento essenziale del nostro quotidiano progetto esistenziale?  Non lo sappiamo , non possiamo dare una risposta , ma quel che conta davvero ,in arte , così come nella vita in generale , è  che sia espressione di autenticità , non esercizio stilistico retorico, quel che conta è  il mettersi in gioco con tutto se stesso, darsi interamente  senza riserve, come diceva Pessoa: “Per essere grande, sii intero: non esagerare/ E non escludere niente di te./Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei/ Nel minimo che fai,/Come la luna in ogni lago tutta/ Risplende, perché in alto vive”.  Soprattutto bisogna distillare  l’oro del cuore, che conosce le cose , l’oro del cuore pascaliano che conosce le ragioni che la ragione non sa , che sa cosa chiedere , o non chiedere, che è la forma unica possibile  per una più vasta sapienza.
 La poesia – diceva Calvino - è come una tensione verso l’esattezza , una geometria delle sofferenze.  E’ un po’ combattere la sofferenza fisica attraverso un esercizio d’astrazione geometrica. Ma per Fabrizio è qualcosa di più. E’ un ritrovare le radici del cuore, un cuore  diverso nuovo già risuscitato d’antiche pene mai scontate , è la luce improvvisa nella stanza, è una sapiente voce che salpa dal tuo porto, è comunicare il sogno di ogni uomo

5. Conclusione
Siamo alla conclusione, caro amico Fabry , e nulla è stato detto delle tue fatiche artigianali , il  timbro , le inflessioni , il fraseggio , l’ombratura del tuo  sillabare e vocalizzare , l’attingere ancora una volta alle emozioni a caldo  per ritrovare l’armonia  giusta – il giusto tono drammatico – la giusta luce – il  segreto stregonesco  nella camera alchemica del suono – le pagine e  i  nastri rappezzati , cuciti sui cigli estremi delle note,  le suture microscopiche – il  costante tuo maniacale rifare interiore  che spiega la tua  estetica , il tuo rendere semplice e fruibile a tutti  il fluire vasto e colto del tuo pensiero , perennemente insoddisfatto. Nulla è stato detto dei sogni, dei fosfeni zanzottiani,  del pavesiano  “verrà la morte è avrà i tuoi occhi” , e il già citato Dylan Thomas , con la sua forza vitale che “sospinge il fiore , e la verde miccia che lo fa esplodere “,   le sue pulsazioni sensuali , (“la vita è in ogni mia poesia, dall’utero della guerra cerco di costruire quella pace momentanea che è la poesia” ) , della mistica erotica della Merini ( “Le più belle poesie /si scrivono sopra le pietre/coi ginocchi piagati/ elementi aguzzate dal mistero) , del Sereni del “Diario d’ Algeria” (“rinascono la valentia e la grazia/non importa in che forme – una partita/ di calcio tra prigionieri) , o il Penna “diverso” ( “Felice chi /è diverso /essendo egli/ diverso. /Ma guai a chi /è diverso /essendo egli /comune”). Ci sarebbe ancora il “timore e tremore” kierkagardiano ,  la febbre della poesia baudelariana, le parole  di Proust  sull’amore,  il secchio che vola di Kafka, e se vogliamo anche i muri-siepi di Leopardi , la “vita” del Belli  e la fantasia dell’immenso Dante.  Per non parlare della Venere del Botticelli (“Ancora viva emergi dalle acque” ), o del carnaval di Schuman e di /quest’ultimo improvviso di Chopin . Ma quel che  conta , l’abbiamo già detto più volte : è essere sinceri con ciò che sentiamo , con la nostra natura  e il nostro giudizio. Nitidezza , precisione , sentimento del tempo ,  perfetta esecuzione orchestrale di pianoforte , violini e arpe. Ma niente applausi , please.  Noi siamo  cristiani , non pratichiamo  l’esercizio dell’insignificanza , né quello  dell’indifferenza . Bisogna saper cogliere  ogni sguardo, ogni lamento, ogni sospiro, ogni distanza , poiché le occasioni perdute  si fanno avvenimenti di inesistenza.  Converrà non aver vissuto  piuttosto che vivere senza amore. L’uomo nuovo sarà l’eletto al silenzio delle stelle, o piuttosto la sua risposta alla verticalità  è nel desiderio della parola?, quando è  la tua parola “illuminata” , soprattutto quando viene detta dall’ambone,  e ti ridà il senso dell’origine ,  il senso della storia  ( non ci sono entrate e uscite  dalla storia  per il viaggio dell’arte attraverso le radici dell’uomo ) , e  dell’esistenza .  Ogni minimo tuo  messaggio è un paesaggio interiore  , una fibra  della vita dell’universo che si riconosce nell’uomo  e nell’amore per il  suo Creatore Non senza pianto,  non senza paure ,  non senza fragilità ,  ma come un antico fedele  “sacerdote per sempre” , tu  restituisci  alla  natura il suo dono incompreso,  la ringrazi devotamente per la sua  quieta  meraviglia , e  chiedi al tuo unico Dio  di aprire l’altra porta  di luce , quella invisibile,  per  tutti, per ciascuno di noi,  per quel nostro piccolo,  infinitesimale   sforzo di grazia.

Roma, 20 aprile 2012

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