sabato 28 aprile 2012

Nomen omen e le faccende dell'anima

“NOMEN OMEN” DI FABRIZIO CENTOFANTI
LE FACCENDE DELL’ANIMA

DI AUGUSTO BENEMEGLIO


1.Le faccende dell’anima .

Per Fabrizio Centofanti l’impulso alla ricerca della verità non ammette frontiere di fatica . Ogni rivo del proprio sangue, ogni energia , ogni atomo chiuso   nel suo corpo e nella sua mente che vive in lui  è come una porta aperta in cui  entra  ogni storia , ogni angoscia , ogni ferita , ogni dramma che  si fa ora canto , preghiera o disperata allucinazione d’amore, sacro o profano che sia . Il ruolo essenzialmente umano, primordiale dell’arte, costituisce il tessuto connettivo del suo lavorio interno ,  e poi c’è l’orma , il marchio indelebile della sua fede cristiana , la sua passione nel viverla , la sua ossessione, la sua speranza , anche quando sei in crisi nera e hai davanti a te  “muri d’ombra e altri fallimenti” ,  il “cuore butta sangue”  e temi di non farcela : …ti sembra a volte di non avere /più nulla dalla vita. Ti guardi dentro/e vedi solo polvere . Allora cerchi un volto/ qualcuno che t’assolva nei giorni in cui non credi (pag.72), oppure t’avventuri nella “Selva dei suicidi  e  cerchi “ scampo anche nelle tenebre/ quando il cerchio  è un baratro che s’apre /sotto un ponte leggero .(e)  non basta l’innocente varco nel cuore (pag. 35)  

Per uno come lui,  abituato a indagare nelle faccende dell’anima e  nello scandalo dei sentimenti , oggi, in relazione allo squallore dei tempi , alla miseria e  alla violenza  dei  giorni , “quando i nomi delle cose sono lampi,/coltelli che s’imbrattano di sangue (pag50) , tutto si fa attualità , cronaca viva, pioggia densa scura come il sangue//tra le rovine intrise di catrame(pag.83).  Ed ecco la morte di Vittorio Arrigoni, l’utopia della pace , e i cecchini israeliani, il fora di ball  leghista per i sepolti dentro l’acqua senza un nome, i trecento migranti  annegati in un sogno di accoglienza ( pag.106), lo Tsunami giapponese,  la morte di Simoncelli , il ragazzo dai riccioli di stelle , gli eroi di Fukushima .Ma di fronte alle avversità bisogna battersi con fede e coraggio  (Il coraggio è una virtù scaduta/Ma è il coraggio che serve//io non m’arrendo: anche se il tempo/infierisse, lo guarderò negli occhi, /gli tenderò la mano, pronuncerò/- con l’ultimo respiro -/una parola inascoltata di perdono –pag.109), battersi anche con “Il vomito , la febbre, la solitudine appesa/all’attaccapanni dei ricordi (pag.114) ela mia solitudine infinita”, che è quella di un’anima che ha una sensibilità da orchestra di violini , di un  prete che è sempre e comunque solo col suo  Dio, che l’ha chiamato  per custodire intatta la “sua parola” e darla a tutti, ma in particolare ai poveri, con tenerezza, con spirito di servizio, fraternità, ma anche con fierezza. Seguire lui significa  darsi un bacio che oltrepassi il muro // e giunga dalle stazioni della memoria // all’ultima stazione.  Noi lo sappiamo bene che ricadremo  mille  volte,  “ istante dopo istante, nella corsa buia dell’abitudine ” , che resteremo attaccati al nostro io , e che tarderemo molto a fare un falò di tutti gli ignoti desideri e le  nostalgie smarrite . E’ sempre difficile fugare l’ombra triste del ricordo/ferito e rifugiato dentro il cuore// le mille strade aperte  e poi sbarrate/ da forze oscure ed  eventi senza nome (pagg.75-76).
Mi viene in mente quel capolavoro del “Diario di un curato di campagna”, che Fabrizio spesso cita dall’ambone. E’ difficile fare l’esperienza dell’ingiustizia  e non lasciarsi divorare, è difficile sfuggire al suo fascino , alla sua vertigine .  E nemmeno  la si può far indietreggiare fissandola negli occhi come un domatore. “Non guardarla che quel tanto che occorre, e non guardarla mai senza pregare”.  
2. Naufrago veggente
Con un  “tempo largo di apertura al futuro , in cui speranza e carità si mescolano, si integrano , si ritrovano  nelle azioni degli uomini  e della loro (spesso) incomprensibile condotta “, come acutamente annota l’eccellente prefatore , Giuseppe Panella , Fabrizio continua a dirci del sogno di redenzione possibile  per tutti gli uomini , a parlarci di un  Dio che non fa rumore , un  Dio dei fiori sorto a primavera , del  canto infinito dell’oltre , della testa dell’angelo di cartapesta  dell’Annunciazione , del giorno dell’incontro fatale che avverrà per tutti , e mentre la lacrima scende /Il re dei re bacia la tua fronte. Non ci sono più necessità , si placano le amarezze e  le disavventure del pensiero, scorre il fiume del ricordo, ma tutto ora è costantemente nuovo. Ancora non sapevo /che amare è morire// L’amore ha parole molto strane ,/e gesti che si perdono nel tempo /è candela che brucia all’infinito…   Ma eccolo , l’amico Fabrizio (“saremo chiamati tutti alla vita , si risponda a quell’invito,  non si  intraprendono lotte contro la sacralità dell’amicizia, della solidarietà, ma se ne ascolti l’esempio”),  te lo trovi di fronte come un dono immeritato , con quel bel viso ancora da ragazzo  , un po’ pallido,  smagrito , lo sguardo intenso, il gesto affettuoso,  la dolcezza del sorriso,  un po’ Dylan Thomas ( “Me stessi/Coloro che piangono/Piangono fra le strade bruciate…/Ed io sono muto per dire alla rosa contorta/Come la mia giovinezza è piegata da identica febbre”), con la sua forza elementare , la sua linfa  grandiosa, la concezione panteistica della vita e della morte , un po’ Nichita Stanescu ( “Che bene che ci sei…/E’ un destino del mio essere/e allora la felicità del mio dentro/è più forte di me, delle mie ossa, /che le stridi in un abbraccio /sempre doloroso, meraviglioso sempre”) , poeta romeno della resistenza e dell’amore .  “La poesia non ha un senso preciso , è solo comprensione , la poesia vive  di accoglimento e amore , è senza intenzioni , è senza progetti, è senza secondi fini , è puro mistero”.
Ma lui è soprattutto se stesso e   continua  a guardarci  negli occhi/con flauti di canna/nudi ,  continua ad aspettare un nostro bacio  “dalla parte nascosta della luna” ( Vorrei scrivere di nulla //- ai disperati, ai soli , a tutti quelli /cui basta una carezza per tornare/ alla  vita, scordarsi di morire –pag.134. Ma ci parla anche dei sudori d’attese/ e dell’insensato silenzio delle stelle , dell’angoscia dei Getsmani che “è una fiamma che s’accende / con le preghiere svanite nel mattino , del “dolore afono/che raschia la gola del futuro  , dello “strazio  del volersi uniti / e inabissarsi/ nel profondo del secchio.
In quel secchio c’è –forse - l’Infinito , e Fabrizio è una sorta di “Naufrago veggente”  che , ora con un sermone , un’omelia  (“ Quella – gli scrive un’anima della sua parrocchia - è  già poesia nel modo più alto e dolce che solo Dio sa darti quando ti illumina”),  ora con i libri-diario, i romanzi, i saggi, e ora con questo libro di poesie  continua a dirci  che  il Cristo del Vangelo è vivo , sta in mezzo a noi ,  sotto i ponti, alla mensa dei poveri, agli ingressi delle chiese a chiedere l’elemosina , sulle vecchie carrette  della morte , si fa gitano, barbone , alcolista , drop out. ( “Ci saranno sempre dei poveri tra voi”).E’ un povero Cristo  che continua a portare la sua croce da malfattore , a essere sputacchiato , sbeffeggiato , deriso, un Cristo “che soffre”, come ci ricorda Ungaretti: “Fratello che t’immoli/Perennemente per riedificare/Umanamente l’uomo/ Santo, Santo che soffri”.
Con la sua voce icastica, illuminata ,  profetica , profondamente umana , che si fa via via più colloquiale , semplice, diretta, aperta a tutti ( “Il popolo ha bisogno di poesia come di pane”, -diceva Simone Weil , -ma di una poesia che sia sostanza quotidiana della sua stessa vita , che può avere solo una  sorgente, Dio”) , Fabrizio Centofanti dice che bisogna fare “ Quello che rimane” , cioè far spazio dentro di sé agli altri , saper ascoltare il grido della coscienza , e ritrovare la voce di “sottile  silenzio” di Dio , che è immagine , attesa , svolta, incrocio, libertà :  sì, la vita è un bivio, un incrocio continuo. il tormento e la bellezza della libertà//  Faccio quel che rimane /ciò che resta per sempre /lascio tutto quello che passa/in un anno o in una notte/ costruisco con le mani d’uomo/ un destino preparato dal mio Dio. (pag.55),

3.. Tre nomi e un destino
In lui non esistono  soste, non perde un secondo del suo tempo . Ha – come afferma lui stesso   “il karma della focalizzazione” ,  è nato per produrre , per fare.  Il suo primo nome è  , infatti,  Fabrizio, Faber , un nome nel destino. E’  nato per le vigilie , le attese, i perpetui presagi che illuminano i suoi gesti, le sue parole, il suo impegno quotidiano , e la sua opera è ormai diventata salda , viva , germinazione di  fertilità presente e futura. Il suo nome – scrive una blogger – “è quello di saper amare, di conoscere davvero cosa sia l’amore per l’altro, e di insegnarci ad amare”.    Ed è come il  chicco di grano della parabola evangelica :  per fruttificare deve morire a se stesso , deve farsi pane per gli altri.  In lui non  c’è un luogo e un tempo, ci sono tutti i luoghi e tutti i tempi  di un’attesa improvvisa, sfuggita alla coscienza per concessa fragilità.  Ma ci sono altri due nomi nel suo destino, Maria, che è segno di una fede garantita , un’apertura a un’energia straniera . E  poi Leopoldo, il santo che trascorse la sua esistenza a confessare . “La produttività e la fede  non sono sufficienti se non si è disponibili per gli altri  con la stessa cura.” Per amare ci vuole un occhio /lungo che sappia guardare nella notte /mani che riescano a stringere /ogni sogno ogni strano pensiero / piedi disposti a camminare  anche /sui sentieri più scoscesi e duri. / Per amare ci vuole un cuore bianco (pag.79) Fuori dell’amore c’è solo una cieca cattività, il delirio della risalita , la luce che scende, le agoniche memorie solitarie , il destino collettivo di un treno che non arriverà mai, o che , alla fine di un giorno senza senso/non è mai partito. 
L’anima del mondo – lungimiranza dell’amore - , le nuvole , gli uccelli, le pietre , gli alberi,  gli animali , gli uomini, “anche”  gli uomini possono sperare in una salvezza ,  e l’anima può essere risarcita , può smettere di piangere. Tutte le illusorie perennità  penetrano nel terreno  della storia, ma garanzia dell’offerta, sarà quella  della propria integrità , l’estremo sacrificio del sacerdote e del poeta che rende sangue un tramonto , che sente  la ferita nell’essere come sorgente di vita sempre ostinata a vivere donando  al mondo  un cuore chiaro  del suo  sapere oscuro. In questo suo vagare  giorno dopo giorno  “non resta che la pietà nascosta/del silenzio/la ferita aperta  della fragilità;/ il canto muto di un’attesa che ha fermato/tutto, anche il tempo che fugge (pag.113)

4. L’arte della sospensione
La contemplazione delle cose nel tempo sospeso, è arte suprema della pittura, l’arte , ad esempio, di un Piero Della Francesca. Ma anche di un Klee , di un Dalì , o di un Magritte . Nella poesia , abbiamo ad esempio  lo straordinario realismo lirico di Sandro Penna , che ha la capacità di cogliere l’emergenza dell’attimo che è luce , di trasformarlo , appunto, in sospensione , languida e vitale , del tempo (“Ognuno è solo, ma con vario cuore/ riguarda sempre le solite stelle// Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo/che il mio bianco taccuino sotto il sole) . Questa luce , che è la luce stessa dei suoi versi,  che hanno un dono di grazia e limpidità,  la sa cogliere anche Fabrizio  negli occhi o nei gesti delle persone , nello spirito delle cose e della natura , ( C’è qualcosa di umano/al di là di tutto/qualcosa che ti tocca/che non sai definire//E tu risorgi in mezzo a questi avelli/danzando ancora al ritmo di quel tempo // Il corpo e il sogno sono nella mani / di strani pomeriggi nelle stanze /, segrete, lontane da ogni assedio// l’invisibile / l’oro femminile , acceso d’ambra //  il mare , che ci invade  come assenzio.  Queste  oscillazione ondose della coscienza  e della fantasia tracciano indelebilmente una  danza consacrata  ad una consapevolezza che è paziente cura dell’altro. Se la luce talora ci incenerisce brano a brano , rimangono pur sempre briciole di carità, la volontà e la tenacia nel ricercare quei  sassi sprofondati /nel fiume come baci ancora in volo (pag.132)  
La pienezza di esistere  spesso ci  è preclusa da spesse cortine di limiti del corpo e dell’intuito , echi di sillabe  che si sgranano in parole  o grumi che filtrano significati , e si tenta il precipitato chimico per ritrovare un suggerimento di senso in divenire. Ma ha davvero l’arte quel potere di sospensione?  Può essere l’arte un efficace mezzo di comunicazione , di intervento sociale e spirituale ? ( E’ quello che cerca di fare da sempre Centofanti).   Può essere l’arte una radicale e insostituibile speranza per l’uomo dell’avvenire? Deve diventare l’arte un nutrimento essenziale del nostro quotidiano progetto esistenziale?  Non lo sappiamo , non possiamo dare una risposta , ma quel che conta davvero ,in arte , così come nella vita in generale , è  che sia espressione di autenticità , non esercizio stilistico retorico, quel che conta è  il mettersi in gioco con tutto se stesso, darsi interamente  senza riserve, come diceva Pessoa: “Per essere grande, sii intero: non esagerare/ E non escludere niente di te./Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei/ Nel minimo che fai,/Come la luna in ogni lago tutta/ Risplende, perché in alto vive”.  Soprattutto bisogna distillare  l’oro del cuore, che conosce le cose , l’oro del cuore pascaliano che conosce le ragioni che la ragione non sa , che sa cosa chiedere , o non chiedere, che è la forma unica possibile  per una più vasta sapienza.
 La poesia – diceva Calvino - è come una tensione verso l’esattezza , una geometria delle sofferenze.  E’ un po’ combattere la sofferenza fisica attraverso un esercizio d’astrazione geometrica. Ma per Fabrizio è qualcosa di più. E’ un ritrovare le radici del cuore, un cuore  diverso nuovo già risuscitato d’antiche pene mai scontate , è la luce improvvisa nella stanza, è una sapiente voce che salpa dal tuo porto, è comunicare il sogno di ogni uomo

5. Conclusione
Siamo alla conclusione, caro amico Fabry , e nulla è stato detto delle tue fatiche artigianali , il  timbro , le inflessioni , il fraseggio , l’ombratura del tuo  sillabare e vocalizzare , l’attingere ancora una volta alle emozioni a caldo  per ritrovare l’armonia  giusta – il giusto tono drammatico – la giusta luce – il  segreto stregonesco  nella camera alchemica del suono – le pagine e  i  nastri rappezzati , cuciti sui cigli estremi delle note,  le suture microscopiche – il  costante tuo maniacale rifare interiore  che spiega la tua  estetica , il tuo rendere semplice e fruibile a tutti  il fluire vasto e colto del tuo pensiero , perennemente insoddisfatto. Nulla è stato detto dei sogni, dei fosfeni zanzottiani,  del pavesiano  “verrà la morte è avrà i tuoi occhi” , e il già citato Dylan Thomas , con la sua forza vitale che “sospinge il fiore , e la verde miccia che lo fa esplodere “,   le sue pulsazioni sensuali , (“la vita è in ogni mia poesia, dall’utero della guerra cerco di costruire quella pace momentanea che è la poesia” ) , della mistica erotica della Merini ( “Le più belle poesie /si scrivono sopra le pietre/coi ginocchi piagati/ elementi aguzzate dal mistero) , del Sereni del “Diario d’ Algeria” (“rinascono la valentia e la grazia/non importa in che forme – una partita/ di calcio tra prigionieri) , o il Penna “diverso” ( “Felice chi /è diverso /essendo egli/ diverso. /Ma guai a chi /è diverso /essendo egli /comune”). Ci sarebbe ancora il “timore e tremore” kierkagardiano ,  la febbre della poesia baudelariana, le parole  di Proust  sull’amore,  il secchio che vola di Kafka, e se vogliamo anche i muri-siepi di Leopardi , la “vita” del Belli  e la fantasia dell’immenso Dante.  Per non parlare della Venere del Botticelli (“Ancora viva emergi dalle acque” ), o del carnaval di Schuman e di /quest’ultimo improvviso di Chopin . Ma quel che  conta , l’abbiamo già detto più volte : è essere sinceri con ciò che sentiamo , con la nostra natura  e il nostro giudizio. Nitidezza , precisione , sentimento del tempo ,  perfetta esecuzione orchestrale di pianoforte , violini e arpe. Ma niente applausi , please.  Noi siamo  cristiani , non pratichiamo  l’esercizio dell’insignificanza , né quello  dell’indifferenza . Bisogna saper cogliere  ogni sguardo, ogni lamento, ogni sospiro, ogni distanza , poiché le occasioni perdute  si fanno avvenimenti di inesistenza.  Converrà non aver vissuto  piuttosto che vivere senza amore. L’uomo nuovo sarà l’eletto al silenzio delle stelle, o piuttosto la sua risposta alla verticalità  è nel desiderio della parola?, quando è  la tua parola “illuminata” , soprattutto quando viene detta dall’ambone,  e ti ridà il senso dell’origine ,  il senso della storia  ( non ci sono entrate e uscite  dalla storia  per il viaggio dell’arte attraverso le radici dell’uomo ) , e  dell’esistenza .  Ogni minimo tuo  messaggio è un paesaggio interiore  , una fibra  della vita dell’universo che si riconosce nell’uomo  e nell’amore per il  suo Creatore Non senza pianto,  non senza paure ,  non senza fragilità ,  ma come un antico fedele  “sacerdote per sempre” , tu  restituisci  alla  natura il suo dono incompreso,  la ringrazi devotamente per la sua  quieta  meraviglia , e  chiedi al tuo unico Dio  di aprire l’altra porta  di luce , quella invisibile,  per  tutti, per ciascuno di noi,  per quel nostro piccolo,  infinitesimale   sforzo di grazia.

Roma, 20 aprile 2012

sabato 14 aprile 2012

L'avvocato Stevenson e l'isola del tesoro

L’AVVOCATO STEVENSON
E LE ISOLE SAMOA
                                             
                                           Di Augusto Benemeglio
     Robert Louis  Stevenson  nasce a Edimburgo il 13 novembre 1850  in un quartiere residenziale abitato da un prospero  ceto di professionisti.  Vive tutta la sua infanzia e gran parte dell’ adolescenza  in preda a malesseri di vario genere,  stati febbrili e tossi indomabili . Praticamente inesistenti i suoi contatti con il mondo esterno, tranne una parentesi di scuola pubblica  assai traumatica.  Studia in casa, sotto la guida di un tutore.  Ma a partire dai quattordici anni, Robert passa quasi tutte l’estati   nella  parrocchia   del nonno materno , che è un pastore anglicano.
La zona si  trova  in campagna , alle pendici dei monti Pentland ,  un mondo completamente diverso da quello della città .  Robert  ha modo di  frequentare altri giovani, impara a cavalcare e a familiarizzare con la cultura folkloristica scozzese.   E comincia a fantasticare  sulle proprie origini  e le gesta di famiglia,  fino ad immaginarla venuta  in Scozia  coi Vichinghi, o discendente dai Picti, guerrieri scozzesi che combattevano nudi. Ma la figura  che lo affascina  più di tutti  è  quella del nonno paterno , un  grande costruttore di fari. Ne aveva edificati trentatre nei desolati mari del Nord,  in regioni inaccessibili. Il nonno  era un  genio delle’ingegneria , aveva disegnato ponti, scavato porti e canali, inventato  una nuova forma di binari, immaginato strade sul mare, esplorato le coste più sconosciute e selvagge.
Anche il padre di Robert  era un ingegnere  dei fari e fanali, ne costruì ben ventisette, ma non aveva la statura grandiosa e austera del  nonno. Era un uomo  frustrato  ,  perché avrebbe voluto fare lo scrittore e non l’ingegnere, ma suo padre lo aveva costretto  a lasciar perdere la letteratura , una cosa assolutamente  inutile e noiosa.   Così se ne stava   a guardare per ore e ore le onde  degli oceani   per misurarne l’intensità, la forza, il ritmo   e  studiarne  con minuziosa attenzione il momento in cui si spezzavano sulla riva in modi sempre diversi.  In quelle onde spezzate vedeva un po’ il senso della sua esistenza .  “Anche tu  costruirai fari, porti, dighe e segnali marittimi “,  disse  al figlioletto.  Ma il giovane Robert, pieno di fantasie e di  talento  immaginativo ,  sempre malaticcio, in preda a raffreddori che degeneravano in affezioni polmonari , disordini gastrici , asccessi improvvisi e inesplicabili di febbre e tutte le varietà possibili e immaginarie di malattie infantili ,   la pensava assai diversamente.   E tuttavia per molti anni non ebbe  il coraggio  di  dirglielo,   ma nell’aprile del 1871, quando aveva ormai ventuno anni ,   alla fine di una passeggiata sulle rive del Firth of Forth , dove avevano conversato amabilmente  sulla possibilità che i cani avessero l’anima  ( e pare che fossero entrambi d’accordo , sì,  convenivano ,  i cani avevano l’anima) ,  con voce tremante ,  disse al padre : “  Signore ,  io non voglio fare l’ingegnere” 
Thomas  ci rimase di sasso. Lui aveva sacrificato tutto per obbedire al padre , ora era lecito sperare che suo figlio facesse altrettanto, ripetesse il sacrificio e diventasse così suo successore, in modo che la dinastia dei Stevenson  legasse il proprio nome all’impresa eroica e austera di costruttori di fari nei mari del nord.  Invece…  non gli disse nulla, se non: “E allora che cosa vuoi fare, Robert?” .  Il figlio disse che avrebbe fatto l’avvocato, ma non era certamente quello che desiderava : “Io vorrei tanto viaggiare per il mondo, signore” , disse.  Il padre si ritirò nella propria stanza e pianse amaramente : “ E’ la sventura più pesante che mi sia mai capitata”, disse alla moglie. E qualche tempo  dopo  fece una scenata violenta nei confronti del figlio,  che , a differenza di lui , era un credente  piuttosto tiepido :  “ Tu, orribile ateo, hai fatto della mia vita  un fallimento…Non mi resta più niente , avrei mille volte preferito  vederti in una tomba….” La vita in casa Stevenson fu un inferno.  E Robert si sentiva colpevole di aver procurato l’infelicità alle sole due persone che  amava, il padre e la madre.  Annotò sul suo diario:    Perfino la calma della vita quotidiana è fragile come il vetro: una specie di tremito anima tutte le cose, viviamo in un universo di una segreta amarezza”. E più tardi scrisse: “ Mi  hanno sempre accusato di essere leggero, e senza cuore. Ma  ciò è una cosa eccellente:  se non avessi il cuore leggero, morirei”.   La salvezza per lui era la fuga, cercava di stare in casa il meno possibile. “ Non devi sentirti ferita dalle mie assenze”, diceva alla madre. “ Devi sapere che sarò più o meno nomade , sino alla fine dei miei giorni. Niente bagaglio, ecco il segreto dell’esistenza”.  In attesa della “ fuga” se ne andava , con quel suo corpo così magro e fragile , quel viso così gracile ed emaciato , nei bar malfamati , “L’elefante verde”, “Il gaio giapponese”, “L’occhio che brilla”, dove incontrava tutta la feccia della creazione, ladri, miserabili, marinai ubriachi , prostitute, mendicanti, personaggi che avrebbe trasferito nei suoi romanzi. Tutti rimanevano affascinati  da quel suo viso lungo ed emaciato, dal suo sguardo dolce, caloroso, penetrante, da quella straordinaria energia che irradiava da un corpo estremamente fragile. Lui era amabile con tutti, aveva una curiosità insaziabile, un bisogno quasi morboso di gettarsi nel piacere del vivere,  sentiva una sorta di ebbrezza panica,  un abbraccio cosmico, impetuoso , possessivo con la natura e il mondo.
Robert Stevenson lasciò Edimburgo l’11 novembre 1873 ,  aveva 23 anni  e , nonostante tutto, ( la situazione in famiglia e le sue sortite nei bar malfamati)  era  riuscito a laurearisi in Legge   col massimo dei voti.  In seguito farà anche due anni di pratica legale  e conseguirà  anche il titolo di procuratore ,    ma  in realtà   l'avvocato non lo farà  mai,  eccetto sul finire della sua breve esistenza. 
 A Parigi , tre anni dopo , in un albergo  di Grez , incontra Fanny Vandegrift Osborne ,  che così descrive:“Bruna come una gitana/ agile ocme una lepre/ colore d’oro e d’arancio,/il  petto e la mano/ un giglio tigrato, fiorito / nel letto/  Tigre e giglio tigrato/ doppia,/ donna nel corpo, / uomo nel cuore/ coraggiosa e tenera,/ dolce e altera…”
Fanny aveva dieci anni più di lui ,  era divorziata e aveva tre figli . In passato, ai tempi della “febbre dell’oro” ,   aveva attraversato da sola l’America , aveva sparato con la Colt e il Winchester , giocato d’azzardo, fatto la sarta  e  ora era venuta in Francia per studiare la pittura. Era appassionata, energica, astuta, disperata , piena di mille talenti  e con il genio , dirà Stevenson, di estrarre “dai raggi del sole la tenebre dell' eclisse”.   Robert se ne innnamorò subito perdutamente e , dopo varie peripezie,  la sposò il 19 maggio 1980; lui aveva trent’anni giusti, lei quaranta. Il suo  primogenito ,  Lloyd , aveva vent’anni e  sarà , più che un figlio , un fratello per Robert, un  compagno di giochi,  la sua ombra.  
Stevenson   , con la sua Fanny  “ colore del miele ” , torna in Scozia  e si rappacifica  con i genitori.   Ma ad Edimburgo rimarranno pochi mesi , causa  una tubercolosi incipiente che costringe Robert  a  vivere in luoghi più salubri, ( Davos ,  la Francia meridionale, ecc.) , finchè, nell’estate del 1884 ,    il padre  gli regala una casa sulla Manica , dove  lo scrittore vivrà , con la moglie, il figliastro e i genitori    per un certo numero di anni.  Suo padre l’aveva perdonato , ma non capì mai  la grandezza del figlio   , che nel frattempo   era diventato  uno scrittore  affermato  grazie soprattutto al suo romanzo   più popolare , “ L’isola del tesoro” . Lo considerò sempre un bambino che si divertiva a raccontare storie, non certo un letterato. In effetti il famoso  libro  che allieterà decine e decine di generazioni a venire , era nato per gioco,   con  la mappa del tesoro,  che Stevenson  aveva disegnato e poi dipinto  insieme al figliastro Lloyd ,ingegnandosi di trovar  nomi e i porti che colpissero la loro immaginazione.  Quella carta  era stata la materializzazione  topografica di un sogno. Da lì erano sorti , all’improvviso,  tutti i personaggi del libro , le loro facce bruciate dal sole e le storie di mare , l’aria marine, le burrasche,  le
avventure, i caldi e i geli, le golette , i pirati abbandonati, i bucanieri,  le isole, l’oro sepolto nell’isola , tutte storie che facevano parte della sua infanzia e del  suo patrimonio famigliare,  e ora diventavano un qualcosa di palpitante e vivo, un libro che Stevenson scrisse di getto, con un deliziato inesausto piacere: la penna correva rapida e felice  sulla pagina bianca, un capitolo al giorno, trascinata dal ritmo veloce dell’avventura…Era stato un successo strepitoso ed ora gli editori lo sollecitavano a scrivere ancora altri libri del genere.. Stevenson invece aveva appena finito di leggere “Delitto e Castigo”  di Dostoevsky e ne era rimasto fortemente scosso. “ E’ di gran lunga il più gran libro che abbia letto da dieci anni…Mi ha quasi ucciso. E’ stato per me come una malattia”….E purtroppo la malattia l’aveva addosso , con incubi ,tosse, emorragia, tenia, influenze , raffreddori, bronchiti, mal di schienza, sciatiche. Per settimane non poteva parlare ad alta voce e comunicava con pezzi di carta...e tuttavia scriveva sette otto ore al giorno, finchè l’8 maggio  1887 muore il padre e Robert decide di lasciare definitivamente l’Inghilterra  e s’imbarca con tutta la famiglia , compresa la madre ,   per gli Stati Uniti. Ma subito dopo  darà libero impulso al suo antico desiderio di viaggiare.  Ed eccolo  nell’Oceano Pacifico visitare l’Australia, le isole, i coralli, le palme, conoscere  e fare amicizia con i  re indigeni; eccolo infine  stabilirsi alle  isole Samoa, dove trova  il paradiso che cercava da anni. Questo è il suo ultimo viaggio.   Si fa costruire una casa nell’isolotto di Upolu e lì rimane per tutto il resto dei suoi giorni  , dove conduce  una vita  assolutamente tranquilla , serena e pacifica , circondato dal rispetto e dall'amore degli indigeni , che  difende a più riprese ,  ( indossando anche,   quando occorre,  la tanto detestata toga da avvocato,)   dalle angherie e prepotenze dei "bianchi". In quest’isola da sempre sognata , Robert Louis Stevenson  muore  la sera del 3 dicembre 1894 ,  a soli  44 anni,  non di lenta consuzione , come aveva temuto, ma per un’ improvvisa emorragia cerebrale . Viene vestito con una camicia di lino bianco e i calzoni neri, cinti alla vita da una sciarpa di seta blu ; ha una cravatta bianca e scarpe di vernice nero. Sembra che vada ad una festa da ballo , mentre centinaia e centinaia di indigeni seguono la spoglia intonando i loro canti  funebri;  la sua salma viene trasportata sulla cima del monte Vaea, lì viene scavata la fossa e incisa su legno la poesia che egli aveva dettato per sé quindici anni prima:
Egli riposa qui dove bramava di riposare;
Dal mare è tornato alla sua casa il  marinaio
 Dalle colline è tornato il cacciatore.
Era  un virtuoso della penna ,   col quel suo stile chiaro ,   preciso , nervoso . Aveva scritto un po’ di tutto: una raccolta di articoli filosofici e letterari dal titolo Virginibus Puerisque , le novelle  di “Le nuove notti arabe” e poi i libri  più conosciuti,   “La freccia nera”, “L'isola del tesoro”  e altre storie di deliri, di accesa fantasia , di sdoppiamento della personalità , con potente valore allegorico e simbolico , vedi “Lo strano caso del  Dr. Jekyll e Mr. Hyde”  ;   aveva magistralmente rappresentato il tema della fatale attrazione del male ( “Il Signore di Ballantrae” ) . Indagando in sé   stesso , alla fine aveva  scoperto  che ciò  conta veramente  è l'esigenza di evasione dal quotidiano,  dalla routine, dalla noia ,  assecondando l'istinto e la fantasia  contrapposta ad una sana realistica visione etica e morale della vita. In ciò c’era molto virtuosismo espressivo e  molta  reazione   alla società  perbenista e ipocrita  del suo tempo , che aveva da sempre detestato e in cui si era rifiutato di vivere  Mentre il bisogno di evasione alla fine si esplica in una forma mitico-simbolica  e si concretizza con il suo andare a vivere ( felicemente) in un isolotto delle Samoa ,  tra  gente   semplice  e  innocente , buona, come lo era l’umanità all’inizio della creazione.  Qui  per anni la sua tomba sarà sommersa  di fiori e di canti,  fin quando  verranno i  suoi connazionali inglesi -   che in vita  lo avevano tenuto per  un originale  , un tipo strambo e non ne avevano assolutamente capito la grandezza  -   e  porteranno  in patria  le sue spoglie . Qui  Stevenson  sarà  celebrato , postumo,  con tutti gli onori   che meritava per aver  donato alla letteratura inglese e al mondo  la sua arte mirabile  e straordinaria.

giovedì 12 aprile 2012

La vita se ne va

1. Borges.
“Nulla si edifica sulla pietra , tutto sulla sabbia , ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra”.
Borges si commuove per il destino dell'uomo sperduto nell'irrealtà dell'universo. Nella mar glaciale della negatività che ci circonda , ci dice che non abbiamo altro salvagente che la fede nella capacità di operare ; fede che deve essere di tutti : nel lavoro e nell'arte , nel piccolo o grande compito che ci è stato assegnato . Null'altro che questa umile e severa accettazione della vita è l'esemplare e visibile messaggio del razionalista guru argentino. Solo in tale accettazione è celato l'entusiasmo per nullificare i ceppi della nostra inspiegabile condizione umana.
 2. Sant'Agata
La sant’Agata candida che raccoglie parole  sul corpo mistico martirizzato depredato di sé umiliato morto – di Sebastiano del piombo -  la sant’agata dalle sonorità celestiali dell’arpa unite ai timbri metallici del gamelan di bali , un contrappunto raffinato  e pop tra cielo e terra , tra silohouette religiosa che finisce per sanguinare davvero e il corpo intimamente palpitanto ma muto della  ballerina , il culto di sant’agato vissuto fisicamente con urla e gemiti

3. Pietra leccese
La poetica dell’immondizia , gli scatti di yao lu rifiuti cumuli rperti industriali
Ma del candore della pietra leccese, del rosso dell'argilla, del  barocco, degli ulivi bagnati dal sole che risplendono come diamanti, delle cozze che sembrano perle rosa, del cielo blu e infinito, dei venti che percuotono il Salento, della striscia  rosa
che colora l'orizzonte dall'alba al tramonto,nessuno ne parla?
Annullare il barocco che opprime
Le curve che si muovono
La pietra ineguale
I balconi giardini chiese palazzi
Le curve celesti dell’orizzonte
I peccati della carne
L’ odore di carne e di cera
I garofani e le colonne tortili
Baldacchini di opulenza
Polvere del tempo
Noi siamo antichi
Noi siamo nodi antichi
Le mammelle delle zitelle fatte d’autunno
E  le primavere tra le cosce delle ragazzine
I sogni verginali  sospesi a un niente
Il tesoro della purezza che si sgretola
Che si sgretola
Ad un ricamare di  corredo
La dote amara delle zitelle
Dalle mammelle avvizzite
La vita se ne va
La vita se ne va
La vita se ne va

La vergine di Surbo

La Vergine di Surbo

avete mai visto la  statua di cartapesta
dietro le nubi del cielo ,
nel calcare di vento?
( ci vuole una sera dolce e crudele ,
da spada e miele
per vederla)
è la vergine di surbo  dai capelli leggeri ,
con afrori  strani che aprono 
taciturni inviti  nel sangue

un tempo avevano  mani  magiche
i cartapestai  leccesi / che facevano
levare nuvole di fumo/
al cui diradarsi appariva una madonna  barocca
contadina
/che esprimeva lo  squasso mistico
e il genio antico /dei barbieri di via Grandi
/ che  tra un salasso e una barba / con  abili
dita / plasmavano tozzi   di creta   informi / 
e davano vita /ai pupi del presepio

oh, vergine di surbo,
sei  un fremito d’aria  e un filo di luce –
un blocco di sale sgretolato  ,
un  profilo  di statua
appena sbozzato di malinconia  ,
creatura  pallida ambrata e cieca
coi teneri sudori e buoi asinelli pecore 
angeli  pastori e cammelli/
capanne 
san giuseppe e bambinelli
che ti fanno contorno/

anche l’alba e il tramonto
s’inchinavano  a tanta bravura , 
e
incrociavano le loro mani guardando 
con stupore quelle meraviglie
ridere sulle mensole di spuma da barba

oh,  vergine dea di marmo ,
leonessa di delo,   fossile imbiancato,
respiro di un nome  che  il mio cuore sconta
 ora sembri  danzare  su te stessa
come un carillon che fa musica strana

mercoledì 11 aprile 2012

LEUCA INFINITA


“Sono andato a Leuca , c’era un caldo torrido, tagliavo una sorta d’Egitto dove le piramidi erano di pietra bianca.Ero abbagliato dai paesi di calce bianca e trovavo motivi fotografici negli ulivi , nei tronchi e nel verde fosco delle chiome, non mi sembravano cose vecchie , arcaiche, ma cose pronte a risorgere  (A.Ciceroni)


LEUCA INFINITA

di  Augusto Benemeglio

ECCO LEUCA LA BIANCA
CHE SI BAGNA IL VOLTO/
NELL’ORO DEI DUE MARI.
 E’ QUI IL CONFINE/
ESTREMO DELLA VITA.

STARE QUI CON GLI ULIVI
IN ATTESA DI UN ALTRO MATTINO.
E  NON  RETROCEDERE AL TRAMONTO
CON LE   MASSE CHE RISALGONO/
LA CORRENTE DEL NORD/
VERSO LA PIANA  DI LECCE,
AL  GIOCO DEL BAROCCO/
DELL’ARREMBAGGIO
E DEL FRASTUONO
IN UNA PULSIONE DI MORTE.

QUI  S’ODE AMICA UNA   SOTTILE
VOCE  DI SILENZIO
QUI SCAVANO  UOMINI
PROFUMATI D’ORIENTE
CASE  DI TUFO COLORATE DI BIACCA
COME MINARETI,
ALL’OMBRA NANA DELLE VITI

QUI NASCONO I FIGLI VERI  
DEL SALENTO
CHE SEMPRE AVRANNO
 L’ARSURA NEGLI OCCHI….
QUI NASCONO  PENSIERI
CHE STANNO A PERPENDICOLO
SULLA TERRA:
E LE INVOCAZIONI  PREGHIERE   SDEGNI
PAURE  BESTEMMIE  RIBREZZI
ESPATRI, PROGETTI,
ACCUMULI DI TOSSINE E SCORIE
MAGNOGRECHE
E GEOMETRIE PURISSIME  NEL VUOTO.

QUI  SOLO , SULL’USCIO DI CASA,
SCOPRI   LA BIANCA INVETTIVA
LEUCANA, CHE E’ LUCE DI LUCE,  
 QUESTA E’ LA REGIONE
DI TUTTI GLI ARRIVI E PARTENZE 
 PER L’UOMO SENZA VOLTO
E SENZA RAMI

ECCO LEUCA LA BIANCA
SCHEMA DI VENE E ARTERIE  
IN ARMI DI SCOMPIGLIO
FATTA DI CALCE
E  ALGHE DI VENTO
CASTELLI DI  SABBIA
E FILI AGGROVIGLIATI DELLA MENTE.

SEI PIETRA GRAVINA SCOGLIO
SEI  UNA VITA CHE  RIMANE
NEL CRISTALLO DURO E FRAGILE
SCOLPITA COME  UN DADO SOSPESO,
OLTRE  LA TANGENTE DEI LIMITI.
SEI  PIANURA  VERTICALE D’INFINITO
Roma, 10.4.2012

Leuca la bianca

LEUCA
LEUCA LA BIANCA
CHE SI BAGNA IL VOLTO/
NELL’ORO DEI DUE MARI.
 E’ QUI IL CONFINE/
 ESTREMO DELLA VITA.
 RETROCEDERE/
 CON LE MASSE
CHE RISALGONO/
LA CORRENTE DEL NORD/
VERSO LA PIANA /
DI LECCE, DOVE AL GIOCO
DEL BAROCCO/
S’ODE  AMICA
SOTTILE VOCE
DI  SILENZIO.
SCAVANO GLI UOMINI
IN QUESTA PIANURA
LE CASE  DI TUFO
COLORATE DI BIACCA
COME MINARETI.
ALL’OMBRA NANA
DELLE VITI
NASCONO I FIGLI
CHE DEL SALENTO
AVRANNO L’ARSURA
NEGLI OCCHI….
QUI NASCONO  PENSIERI
CHE STANNO
A PERPENDICOLO
SULLA TERRA:
INVOCAZIONI ,
SDEGNI,
PAURE , RIBREZZI,
ESPATRI, PROGETTI,
ACCUMULI DI SCORIE
E GEOMETRIE PURISSIME
NEL VUOTO.
QUI LA BIANCA INVETTIVA
LA SCOPRI SULL’USCIO DI CASA,
REGIONE DI PARTENZE 
 PER L’UOMO SENZA VOLTO
SENZA RAMI
SCHEMA DI ARTERIE
IN ARMI DI SCOMPIGLIO
COME ALGHE DI VENTO
CHE SA DI SABBIA
E FILI DELLA MENTE,
PIETRA GRAVINA SCOGLIO…
E’ UNA VITA
CHE  RIMANE
NEL CRISTALLO
DI UN DADO SOSPESO,
OLTRE
LA TANGENTE DEI LIMITI,
PIANURA ,
VERTICALE D’INFINITO