sabato 19 maggio 2012

Il sorpasso di Ivano Mugnaini


IL SORPASSO DI IVANO MUGNAINI

Di Augusto Benemeglio

1.Strade

Sentire “Il sorpasso” come metafora del proprio ineluttabile destino, un po’ come avvenne cinquant’anni fa nel film di Risi, con Gassman e Trintignant ,  e quasi quasi  nella stessa situazione socio-politica di sciattezza ,cialtroneria ,perdita di forma etc., che fin da allora lamentava Italo Calvino. Ma con un enorme differenza, allora si iniziava un cammino verso un futuro radioso , da spremere e godere come un frutto maturo,  pur con tutti i limiti di cui sopra , e con canzonette tipo  Saint Tropez Twist di Peppino di Capri, o Guarda come dondolo  di Edoardo Vianello, che fanno da sfondo al film;  oggi non c’è più niente davanti a noi, il futuro ce lo siamo già giocato ad un gigantesco video-poker mediatico. Siamo tutti in liquidazione, in via di estinzione per consunzione spirituale ancor prima che materiale. E tutto ciò non poteva non essere registrato da  un poeta colto raffinato e sensibilissimo come Ivano Mugnaini , che indaga l’assurdo che c’è nelle scene di vita quotidiana  (Sarebbe tempo di percorrere le strade/ dei perché lasciando a casa le borse/ dei come, cercare una voce, una chiave/ nelle ossa spezzate dei cani o nella carne/ soffice di ghignanti puttane. Sarebbe tempo,/se il tempo non fosse fragile, imperfetto…//ma/  La strada non è la stessa. Lacera, deborda/ la rabbia dei pini, affiorano grida di radici).
Mugnaini è  uno di Viareggio, che conosce bene l’arte delle maschere e delle magnifiche sfilate dei carri grotteschi sul lungomare , il galoppo dell’onda sulla battigia invernale , coi suoi ossi di seppia , le statue scolpite dal vento e la danza del mare; è uno ancora toscano , e conosce l’arte della Lingua italiana e della Parola , che è  “l’unico strumento che media mondo e sentimento e, allora essa deve essere perfetta”.Se saliamo appena un poco più su siamo in altre terre, in culture diverse , di frontiera ( Lunigiana, Garfagnana, ect), fine pianura, pendii scoscesi , colline verdi, radici attaccate a tutti i costi, cave di marmi e lave lavate.   

2. Arte
Ma , onestamente , a dirla tutta , io conoscevo solo il Mugnaini saggista , avevo letto un suo articolo sull’arte che mi aveva intrigato per tutta la sequela (splendida) di ossimori. “L’arte, la più vitale delle cose superflue, la più inutile delle  cose indispensabili” , arte come ”zucchero salato” dal gusto sapido e a tratti amaro delle coscienza del tutto;  e poi un po’ di Pavese , Alvaro, Goethe, Adorno, Goethe, e naturalmente Wilde , per finire con un condivisibile assioma: “ l’arte aiuta a vivere, ma non salva, non evita il tonfo, la caduta, la ferita, anche se permette di sognare, di volare”. Insomma le nostre strade s’erano già incrociate, ma è stata  Cristina Bove , la Grande Giardiniera , che mi ha fatto scoprire l’altra faccia , l’altra strada di Mugnaini , quella della poesia , costruita come un movie road , che ha molte simbologie e attualità,  che si fa spesso cronaca, pur nella ricerca dell’astrazione. Ad esempio  Strade” mi ricorda, fin quasi nei dettagli , la scena finale di quel magnifico  film , quando l’auto , la mitica Lancia Aurelia B24, esce di strada e precipita sulle rocce della scogliera toscana, quasi in un silenzio spettrale . S’avverte solo l’urlo senza tempo del mare , con quell’onda immensa di risacca che rifrange sugli scogli , - metà luce di spruzzi d’argento e diamanti , metà ombra e tenebra di morte (…Scruti il guard-rail/ con la coda dell’occhio lasciando solo un esile/ spiraglio al sogno, Il sorpasso, il mare verde/ di Castiglioncello, l’urlo di un’onda fulminea,/ sole, vivo, abbacinante, sulla strada salmastra del tutto, del niente) .
E’ un film  di un simbolismo radicale , una vita da “sorpasso”, un po’ come la poetica del Nostro, che naviga “sull’onda dell’incertezza”, in equilibrio precario, con il mirino della telecamera che inquadra la “forza di suggestione”  di un particolare  , ascolta la “voce del silenzio”  e nella percorrenza di questo “antidestino” che è l’arte , luogo di perfetta libertà,   gioca a  “sorpassare se stesso” , il senso del tempo, della propria precarietà , del proprio naufragio, del proprio fallimento  (…“sarebbe tempo di scrivere solo del tempo,/ come un naufrago che si innamora / dell'acqua che lo strangola e si abbandona”) . Non ha rimpianti, non si specchia alla fonte , né si compiace della propria bravura. Ma dimentica se stesso . E anche questa è un’arte non trascurabile.

3. Ironia
Come ha osservato Fontanella , Mugnaini è uno che si sente “inadeguato”, che sta sempre sul “baratro”,con il “cappio” alla gola, e che tuttavia “non rinuncia al confronto”, e non esita a offrirsi ogni volta in tutto il suo disarmante candore”. Insomma si mette in gioco , non si tira mai indietro. Benché abbia “un’aspirazione alla tregua , egli conserva la coscienza del dramma esistenziale,  e carpire la pace dell’attimo è drammaticamente tutto ciò cui si può aspirare”. Ma il magma del sacrificio non si spegne sotto lacrime non vissute, nell’attesa di un rimorso e di una diminuzione necessaria . Nella sua poesia quasi sempre “disperatamente magica” , e “luminosamente spietata” ,  nella sua nuda verticalità espressiva  (   Non è più concesso, o almeno opportuno, /lasciare spazio al rimpianto. Visi che erano /sogno, brivido che squassava la schiena, /speranza, pazzia) , c’è una vena d’ironia ( un popolo senza ironia sarebbe barbaro , aveva detto Palazzeschi, suo corregionale), che lo salva da quelle tempeste  di  memoria a fil di pelle che squassano tutti i poeti.

4. Parola
Ma a ben vedere il  viareggino  è soprattutto il  poeta dei “ponti interrotti” , i fragili ponti di parole , della sillaba franta , o della frase spezzata, che devono essere ricostruiti  ricuperando  quel senso di  ri-incontro , stupore e  spazio infinito , svelare il mistero che cela i nomi delle cose  perché   “dare, ora, alle parole/il giusto peso, è tutto/ciò che abbiamo” …//Tocca al poeta sollevare le parole / con le braccia, sentire la pelle / bruciare di sudore ad ogni sillaba / che riga l’asfalto, ogni silenzio / che sfregia la spina.
La parola di oggi è solo bla-bla , violenza dell’aria,  polvere di cipria, stele oltraggiata, pietra disonorata, fredda luce non usata ,  piano di pianto, Sms che stravolge e depreda ogni lingua  “come se si potesse scarnificare la parola,/ irriderla, violentarla e lasciarla lì, /occhi gelidi, incolume, feroce, ancora serena..
Ed ecco, allora,   lungo la strada litoranea la faticata parola degli operai che ridono con la bocca di mattoni e di cemento, gli operai che sanno del tremore degli alberi e i movimenti delle nubi (frecce di sangue, al tramonto) , del rumore incessante del martello pneumatico ,  del delirio circolare in cui vive l’uomo di strada che cerca la pausa come schiarimento dell’anima , sanno della concavità della memoria , del magma che ci avvolge, della necessità del   “sorpasso”  di se stessi per poter sperare ancora nell’uomo: “Ride, lui che sa, conosce la consistenza/ del bitume”.
E tuttavia  Mugnaini non  rinuncia alla sua prigione. Fa costante esercizio di pazienza e di equilibrio quotidiano del proprio scacco di vivere, spezzandosi la schiena mille e mille volte prima di ripresentarsi al pubblico. Tenta il sorpasso della propria disperazione , sospeso al filo delle parole , vede come le cose passano attraverso di lui e lo spazio in cui succedono, uno spazio che è anche il tempo.  E’ lui il primo a sapere che la sua opera è solo un ponte di mediazione , e che il poeta non è un piccolo dio , ma voce di tutti e di nessuno. A lui non interessano le quasi verità e il quasi  delirio ,  né contano le suggestioni del  ritmo giambico e il fremito  di liquide allitterazioni. Qualsiasi cosa possa aver ispirato la sua voce (ispirazione ,inconscio , azzardo , accidente , rivelazione)  essa rimane voce di ciò che è altro, ” magia liberata dalla menzogna di essere verità”.

5. Sorpasso
Quel che conta veramente è  andare “oltre”, è il sorpasso , inseguendo che cosa? Non lo sappiamo, magari una trattoria di Ferrara , che ha lo stesso nome, ed è nel cuore medievale della città, dove Luchino Visconti  girò alcune scene del mitico film “Ossessione” , e dove fanno le “tagliatelle al sorpasso”, le polpette di alici e i maccaroni  Montalbano, in una mescolanza siculo-ferrarese;  o un negozio dove fanno scarpe che sono come ali ai piedi , e si chiamano – neanche a dirlo - “Il sorpasso”, e ci puoi girare il mondo senza fatica;  o , infine, a Piazza Risorgimento , a Roma, dove “Il sorpasso”  è un Caffè, ma anche una filosofia di vita , dove puoi trovare il trapizzino alla Trilussa , una pizza bianca di forma triangolare farcita con i piatti tipici della cucina romana, e naturalmente aperitivi alla Sainte Beuve , cocktails e dintorni gogoliani o caravaggeschi , ma anche la birra bavarese di Augustus Wiezen , a metà tra Goethe e Papa Ratzinger , un doppio malto di frumento e di lievito a fermentazione naturale. Ma forse  non ci troverai il “vermentino” , la farinata e l’ironia spezzina, né la “lei” che avrebbero potuto salvarti o perderti : “Non sarà certo il chiarore di un vermentino/ a salvarmi stasera in questa bettola di lusso/ di La Spezia, anticamera ironica del nulla, risate /e focacce quasi tiepide, e tu, la pelle delle mani,/ gioco pigro dei bracciali, oro puro che suona come ottone”.
Non c’è neppure il salgariano eroe della nostra infanzia, che ci aveva fatto ridere e sognare: “Abbiamo rivisto insieme, tu ed io, /passato a tarda ora, su una rete infima,/ minore, “Sandokan”, lo sceneggiato /a colori di una gioventù ruggente”. Quello che ti (ci) attende è solo un’ombra liquida  ,l’ora definitiva , un antico desiderio di morte, una pratica da sbrigare con massima celerità , e senza arrecar disturbi e fastidi al traffico cittadino :”È cosa da poco, in fondo, la morte, banale, / veniale o giù di lì, di sicuro scontata”

6. Amore
Il  sorpasso , il primo road-movie della storia del cinema , da cui prese spunto Dennis Hopper per il suo mitico “Easy Rider”, non è citato a caso dal toscano Mugnaini , che ben conosce il film e  quei posti , che descrive nella lirica  ancora vivi, pregnanti, attuali ( “anche la realtà è sogno”). Sono pressoché gli stessi scenari  del finale del film , il castel Sonnino sul promontorio, la cala del Leone , le scogliere della Calignaia  e del Sassoscritto , quelle curve scoscese che anch’io ho percorso , negli anni ’70, quando abitavo a Quercianella , e mi recavo ogni mattina a Livorno. E, per astrazione ,  mi sembrava – effettivamente - di andare “oltre” me stesso, dove in qualche luogo mi ritrovavo ad attendere il mio (miracoloso) arrivo. E’ un po’ – forse – quello che accade a Mugnaini, quando se ne va a Castiglioncello, a fare shopping di solitudine , in cerca delle sue oscure verità,  sguardi  di cenere congelata , corpo che si sdoppia e si guarda: un Ivano  è prigioniero nelle lamiere dell’auto ,l’altro si fa scintilla, onda giaguaro , teschio , cratere, silenzio, sogno,  e vola .Ma poi ritorna in terra, e  non chiede nessuna amnistia, ma  Almeno allora uno sconto di pena alla pena/ dell’essere, una via di fuga, d’ingresso, d’uscita,/il lusso di un carcere aperto alla speranza/ della redenzione, il crimine antico di ritrovarsi/ colti clamorosamente sul fatto, nel sacco entrambe/ le mani, in piena flagranza di reato, nell’atto doloso,/e recidivo, di essere ancora vivi, ancora umani”.
E quelle  sue parole nate dalle ombre segrete del  silenzio , flusso luminoso d’energia ,  sono sculture scolpite dal vento , coscienza protesa all’avvenire,  sono parole d’amore , un monumento pubblico al buio del  Milite Ignoto dell’esistenza , che è dentro ciascuno di noi , quel milite che ha il coraggio di vivere e lottare ,“malgrado – come annota Roland Barthes - le difficoltà della mia vicenda, malgrado i disagi,/i dubbi, le angosce, malgrado il desiderio di uscirne fuori,/dentro di me non smetto di affermare l’amore come un valore  e cerca una guida , un senso, un giusto cammino , un riconoscimento di sé stesso quale innamorato folle della poesia,  nella certezza che nessun potere, / nessun politicante avvelenatore di sangue / e di sorrisi potrà mai strapparmela”.
Anche se l’Italia dei sistematori di poesia è ignobile – scrive Alberto Bevilacqua -, forse un giorno qualcuno scoprirà in modo giusto questo tentativo di “Sorpasso” della poetica di Mugnaini. Ma è difficile , ridotti come siamo a fumo pietrificato, in patrie sempre più straniere, in percorsi ineluttabili e sempre più disperati, in strade senza vie d’uscita e senza orizzonti, anche se non ce ne accorgiamo, non lo sappiamo ancora che siamo tutti dei disperati. Ci vogliono i poeti come Mugnaini  , che scrivono parole interdette, segni  intrecciati su una pagina di quaderno , che può essere vasta come un letto di mare, ci vogliono questi erratici visionari, cercatori d’oro e di veleni , che portano  alla luce un potenziale mistero, dono, follia e (forse)  un attimo di felicità  (È istante in cui la mente / diventa riflesso di sole, sorriso profondo del cuore. /avrai il dono scabro/ di un attimo: l’istante/ in cui ti senti vivo, seppure fragile, / inadeguato all’eterno. Ci vogliono i poeti come lui , che cerca un barlume di autenticità , che  si mette in gioco, rischiando, che fa “Il sorpasso” in curva  , e non ha  una Ferrari, né una Honda , forse non sa nemmeno guidare , ma sfida lo stesso il proprio destino  . E  lo  fa  per amore, nient’altro che per amore.


Roma, 18 maggio 2012


sabato 5 maggio 2012

Dylan Thomas , l'ultimo grande poeta inglese



DYLAN THOMAS
L’ULTIMO GRANDE POETA INGLESE
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1.     Spezzo il pane della mia poesia
Con una poesia aperta al canto e in cui nulla è rifiutato  delle esperienze di una tradizione ricchissima (riconosceva come uniche influenze sulla sua poesia le forme spontanee di letteratura, filastrocche e racconti popolari, le più famose storie bibliche e due soli poeti inglesi del passato, Shakespeare e W. Blake, dei quali egli evidenziò l'aspetto magico e mistico.)  , possiamo dire ,  con Roberto Sanesi, che Dylan Thomas è  stato forse l’ultimo grande poeta inglese, anche se non tutti sono dello stesso avviso . C’è chi , come Giorgio Polini , ribatte che al di là di una esuberante e compiaciuta onda memoriale , la sua poesia in fondo non ha molto più  di nulla.
Attore di teatro , giornalista di cronaca nera , Dylan conduce  fin da giovanissimo una vita randagia e dissipata , fino a diventare  , soprattutto in America , un conferenziere di successo , uno showman dal fisico rotondeggiante e pittoresco, che declamava nei teatri poesie non solo  proprie . Camaleontico , visionario , metafisico a sfondo mortuario , con una falange di immagini  dotate di vita propria  - ( io fabbrico un'immmagine, o meglio lascio che l'immagine si produca emotivamente in me )  che scandiscono il ritmo del tempo  inesorabile , dà vita ,  movimenti e parole sotto forma di accensioni oniriche , alle parti e alle funzioni del corpo, al seme, alla carne, al cervello, al sangue .  La creazione , - nella gamma dei suoi significati e delle sue fasi , creazione divina , concepimento,  gestazione, nascita - è metafisicamente trattata ne binomio inscindibile che essa forma con la morte . Questo pane che spezzo  è la mia poesia.Mi è utile , o mi dovrebbe essere utile, per una ragione: essa è la registrazione del mio sforzo personale per emergere dall'oscurità a qualche barlume di luce

2.     Colm Thomas
La verità è che è stato un  “gran bastardo”, parola della moglie Caitilin Mac Namara  ,confermata dall’ultimo dei figli di Dylan , Colm Thomas , che vive metà dell’anno in Italia , a Scanno, e metà in Australia , dove ha svolto la sua attività lavorativa.   
“Dopo i funerali di mio padre , a Laugharne, mia  madre , giovane vedova con tre figli piccoli a carico , ebbe una proposta interessante di lavoro e si trasferì in Sicilia con tutti noi , io che avevo appena quattro anni , e i miei fratelli più grandi , Llewellyn , di dodici anni  e  Aeronwy , di dieci .  Di mio padre Dylan  non ricordo quasi  nulla, ero troppo piccolo quando è morto. Si può dire che lo conosco tramite quello che mi ha raccontato mia madre. Ho però come un’ impressione che  il suo sguardo ancora mi segua , quello sguardo che  mi demoliva quando facevo qualcosa di sbagliato, perché non sopportava i bambini che piangevano e urlavano. A dire il vero non credo che si curasse  molto dei suoi figli.Come diceva la mamma, era un gran bastardo.
Nelle sue liriche , - una sarabanda di miti biblici e di panteismi materici e sensuali, di bisticci di suoni e ritmi frenetici, una giostra di giochi fonetici  e trappole sintattiche, assonanze ed allitterazioni a getto continuo, di forzieri senza fondo da cui pescava immagini e storie- , e nei suoi racconti-diaristici ,  sorta di mitobiografia inventata, trasfigurata , - c’è qualche riferimento alla moglie, un po’ Musa e un po’ Nemesi, ma dei suoi figli niente, neppure un verso, neppure un accenno.  
Dopo la sua morte ,  a  casa nostra ,  non si parlava  quasi mai  di papà. Mia madre non voleva,   lo fece solo in seguito, quando fu quasi  costretta dai biografi, che si interessavano anche a lei come personaggio. Mia madre era stata traumatizzata e devastata dalla sua morte, si era trovata senza sostegni, senza un lavoro, senza soldi , perché mio padre li aveva sperperati tutti, fino all’ultimo , e con tre figli da mantenere .Al biografo, che aveva scritto su di lei, disse:  “ Non è stata data sufficiente enfasi sull’alcol, non solo alla fine, ma anche all’inizio: l’alcol divorò tutti i nostri soldi e le nostre esistenze”. Le era maturato dentro  un gran risentimento. Vostro padre, con tutte le sue infedeltà, eraun gran bastardo, ripeteva e ogni tanto piangeva, ma senza farsi vedere da noi.  
3, Bohèmien in pantofole
Scrive Linnio Accorroni che Dylan Thomas era un bohémien in pantofole , uno scapigliato  con nostalgie per i quieti interni piccolo borghesi e triti languori conformisti, un vigliacco che per mascherare la propria pavidità diventava obiettore di coscienza, o si rifugiava sotto “la pila sassosa e scivolosa delle parole”, un uomo falso “dal teschio all’ombelico”, uno che andava protetto dagli altri e soprattutto da se stesso, piagnucolone e logorroico quando era ubriaco . E cioè quasi  sempre.
Il figlio Colm è , oggi,  un signore  sulla sessantina dalla carnagione chiara ,di pelo rosso acceso ,  tipicamente britannico ( da bambino era biondissimo, come il grano maturo) , ed è un po’ curvo, malandato , un uomo molto equilibrato, con spiccato senso dell’humor tipicamente inglese.  Ma parla  un italiano perfetto , avendo frequentato  il liceo  proprio a Roma , dove la famiglia Thomas si era successivamente trasferita al seguito di Giuseppe Fazio, produttore cinematografico, compagno della vedova Thomas , a cui Caitlin avrebbe dato un  altro figlio..
Che effetto fa essere  il figlio di quel  leggendario  "poeta maledetto",  l'iniziatore del “Nuovo romanticismo” o  la “Nuova apocalisse” , in cui furono sperimentate tutte le forme visionarie della tradizione inglese , cercando di unire il conscio e l’inconscio , di esprimere l’uomo completo , di penetrare  con immagini scelte tutto “il paesaggio pschico” , il Rimbaud del Galles , che a sedici anni scrive:  Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,/ Sorprendere nel sonno le cornacchie, senza
spezzare un rametto,/ E, dopo l’agile ascesa,/ Cacciare la testa al disopra dei rami/ Per ammirare stupiti le immancabili stelle.
« Offritemi un pranzo e io canto»,  risponde  Colm con un largo sorriso. Poi  aggiunge: Primo, sono un gallese; secondo , sono un ubriacone; terzo , amo l’umanità, in specie le donne”.   
Sono le mitiche parole di suo padre , il suo essenziale  autoironico ritratto d’artista vissuto all’insegna della più pura e totale dissipazione di sé medesimo, perseguita con l’accanimento di un  gran cerimoniere istrionico . Dice Paul Ferris , - che lo conobbe bene in vita e ci ha scritto una biografia - che era un dio-bambino capriccioso e perennemente infoiato che collezionava più défaillances che successi, un buffone selvaggio ed egoista, un uomo tra i più sgradevoli e fascinosi che fosse dato d’incontrare sulla terra, uno che faceva innamorare e prudere le mani, uno che era meglio non frequentare, privo com’era delle più elementari norme di educazione, di comportamento e persino igieniche, re dei vanesi e dei bugiardi, un universo di smodati narcisismi e di impalpabili pregi, capace di sfruttare ogni occasione per fini biechi e privatissimi, uno eternamente sul lastrico e piagnone  , che non si faceva scrupolo di sfruttare ogni episodio, anche il più risibile e banale, per pubblicizzare tasselli di una automitobiografia menzognera e leggendaria.
A dirti la verità , non so se Ferris gli fosse proprio amico , come dice , anzi, ho diverse perplessità . Comunque la mia è  stata un’eredità pesante, una vera rottura di palle, anche perché a me la  poesia interessa poco o nulla . E poi non assomiglio per nulla a mio padre, al contrario di mia sorella Aeronwy ( le ha dato il nome del fiume dove nacque) , che è lui , la sua copia al femminile , piccola, magra , capelli ricciuti castano topo , occhi da coniglio marroni e verdi , malata  d’asma , come mio pade . E qui finiscono le corrispondenze , perché mio padre era anche un  ladruncolo, con le ossa sempre rotte, il boccale di birra scura in mano, la sigaretta penzolante dalle grosse labbra sporgenti , un dente ( incisivo)  spezzato al pub delle Sirene , la cravatta d’artista con un nodo grosso come un oceano , fatta con una sciarpa  femminile ; e poi indossava  camicie scarlatte , voleva dar a  intendere d’essere un “duro”  , ma era uno che non sapeva far niente , neanche menar le mani . Infatti  quando litigavano con mia madre, era lui che le prendeva e di santa ragione. ( Ride coi suoi denti gialli).Certamente non era bello come me. (Ride di nuovo,  è calvo, alto , ma abbastanza curvo, macilento) , ma aveva il fulgore fugace del vizioso , e la sfrontatezza  che è   propria della giovinezza,  subito disfatta  dalle sbronze e dalla vita dissipata che condusse.  Di se stesso diceva che era una bestia , un angelo, un folle. Ed era vero tutto. Dava l’idea d’essere  una  specie di  cucciolo  dall’aria  spersa che suscitava  tenerezza , desiderio di proteggerlo da se stesso, di salvarlo. In realtà era solo  un pagliaccio e un bastardo, come diceva mia madre, che, secondo me, tentò perfino di cancellarne la memoria, ma poi ci fu mio fratello  , Llewellyn , che divenne uno scrittore anche lui e fu comunque un intellettuale di un certo valore , e , soprattutto , mia sorella  , Aeronwy, che curarono tutta la sua opera , edita e inedita . Io attualmente campo, in parte, ancora dei suoi diritti d’autore . Non è granchè , ma insomma mi servono per svernare qui in Italia. Qui ,  fino alla fine degli anni sessanta ,  non lo conosceva praticamente nessuno, tranne  il suo traduttore fiorentino , Luzi e Bigonciari , col quale passarono qualche giorno all’Isola d’Elba ,  e qualche intellettuale anglofono.
4.Poeta del mare
In Thomas esiste  una sotterranea , ma sensibile vena  di religiosità ,  che si apprezza soprattutto all’inizio dei  “Collected  Poems”  ( “Queste poesie , con tutte le loro crudezze , dubbi e confusioni , sono scritte per amore dell’uomo  e in lode a Dio , e sarei un pazzo dannato , se non lo fossero”) .  Nel 1952  , Dylan , era considerato un genio, il più grande poeta vivente  di lingua inglese.  Ma  non tutto quello che faceva era “oro”. Era  duale, in tutto ,sapeva  essere  uno scrittore dallo stile cosmico  di un John Donne  ,  ma anche quello che va a caccia dell’immondizia culturale. Un  poeta dal lirismo ermetico , ma anche  il dandy avvolto  nella volgarità smargiassa da pub.  Insomma , un perenne ragazzo irredento,  come il tuo Galles.  Tormentato, eccessivo, a tratti fraudolento   ( quando il committente era disposto a pagare bene scriveva  poesie  come poteva, molto in fretta )  , eppure io credo che fosse sinceramente ossessionato dalla sua vocazione.
Era poeta vero  nelle sue esperienze di  rara  felicità e , soprattutto, delle molte  sconfitte. E’ anche un grande poeta del mare (Il nome stesso "Dylan" in gaèlico ha il significato di "mare" e "Marlais", suo secondo nome, equivale a "corso d'acqua".
) , che  è stato l’elemento che più ha suggestionato  la sua mente . Il mare  viene presentato  come grembo universale, e anche come tomba definitiva , ma sempre rigenerante:- Più nulla rimane del mare  se non il suono/Sotto la terra il mare clamoroso cammina ,/Sui catafalchi dei frutteti  decede il battello / E l’esca si sommerge  frai covoni.  Dylan fa viaggi simbolici delle Ballate sugli stessi mari già solcati da Coleridge , Rimbaud, Melville. Nel viaggio simbolico di Ballad of the Long-legged Bait (Ballata  dell’esca dalle gambe lunghe) , tende profeticamente  ad un ritorno alla schiera degli avi , al tentativo di raggiungere l’Ade . Come il Pequod incontra bufere e pirati  nel folle inseguimento del capitano Achab , come il vascello spettrale di Coleridge  passa attraverso le meravigliose e incomprensibili avventure  in un turbine di visioni e di esseri miracolosi  e terrificanti, come Le Bateau  Ivre di Rimbaud , scorre fra i Leviatani  e Behermot , così il peschereccio di Thomas  assiste al ribollire  dei flutti sconvolti  dalle balene  e degli esseri marini d’ogni specie . Il pescatore , tramutato nell’immagine di Giove Thor  arpiona un’esca viva : la vittima necessaria al sacrificio propiziatorio  per cui sarà possibile giungere in porto . Ma essa  rappresenta anche l’estrema difficoltà e l’estrema necessità dell’amore, e diviene generatrice e sposa come il mare stesso è grembo tempestoso di nascita e morte. Il  mare non è altro che  il cuore stesso del poeta , la sua carne viva data in offerta . Ed è questa sua ultima offerta vera, autentica, sincera.
Di mio padre  amo  “Do not go gentle into that good night” e basta. .Non andartene docile in quella buona notte,/vecchiaia dovrebbe ardere e infierire quando cade il giorno;/ infuria, infuria contro il morire della luce.//E tu, padre mio, là sulla triste altura io prego,/ maledicimi, benedicimi con le tue fiere lacrime, / non andartene docile in quella buona notte./ Infuria, infuria contro il morire della luce.

5. Bisogno disperato di sesso
Colm Thomas , il terzo figlio del poeta gallese, nato nel 1949 ,  mezzo  inglese,  un quarto italiano , dove ha studiato , e un quarto australiano, dove ha lavorato a lungo e continua a vivere  gli altri sei mesi dell’anno ,  ha una sciarpa  rossa di lana  e un  maglione grigio .
Io sono un uomo mediocre, assolutamente normale .Mai andato oltre  le righe. Mio padre , invece, ci andava spesso. Al pub tutti giorni , con la neve o la pioggia , o il vento ghiacciato che ti congelava fino alle ossa . Era un animale sociale, aveva bisogno del contatto con la gente.  Ma era tagliente, aveva un po’ di Oscar Wilde. La sera usciva, e non era un tipo fedele , le donne le trovava nei pub , e le piacevano assai, ma a dormire tornava sempre a casa,  da  mia madre , che era un’irlandese di quelle toste, abituata a lottare,  e non  è che gliela facesse passare liscia , ma alla fine si rappacificavano, in fondo si volevano bene, o almeno così mi piace credere.
In realtà    le sue lettere raccontano della sua innocenza molesta, “un’innocenza che proteggeva bevendo”, dice un suo  amico , e ci parlano del suo  bisogno disperato di sesso  nonché il desiderio di grandezza che lo aveva sempre contraddistinto . Raccontano l’arguzia, l’istrionismo, la passione iperbolica per la poesia , l’abile commedia con cui portava in scena ora questo  , ora quest’altro sogno o fantasma , ma parlano  anche della sua disperazione .  E’ vero che  “tutte le gradazioni dell’amore, dal farsesco al drammatico , al melodrammatico, sono presenti  in questa sua  opera quasi  involontaria di attore consumato.” Se ho recitato bene, applauditemi, disse il grande Augusto Imperatore. Per lui in fondo fu la stessa cosa.


6.Caitlin Mac Namara
Io credo che anche in quel freddo novembre  di New York , con il vento ghiacciato che ti congela fino alle ossa,  anche nel Chelsea Hotel , sulla Ventitreesima  Strada , dove mio padre  aveva trascorso le sue deliranti notti  nella stanza 205, bevendo , uno dopo l’altro, diciotto whisky , che gli avevano bruciato il cervello , anche mentre lo stavano portando al Saint Vincent’s Hospital , sulla Settima Avenue , prima di essere annientato da un’inutile iniezione di morfina,  pensò a   Caitlin, la compagna di tutta la sua  vita (i miei genitori si erano sposati  poco più che ventenni nel 1937) .
Caitlin . Solo scrivere il tuo nome. Caitlin. Non devo dire Mia cara, Mio Tesoro, Amoruccio mio, anche se dico queste parole, a te dentro di me, tutto il giorno e la notte. Caitlin. E tutte le parole sono in quell’unica parola. Caitlin, Caitlin, e riesco a vedere i tuoi occhi blu e i tuoi capelli d’oro e il tuo sorriso lento e la tua voce lontana”.
Caitlin era il suo “mondo incantato”, l’abbraccio tiepido che svapora nel ricordo dell’infanzia e del natio Galles ( Soldi zero, ubriachi fradici, nessun futuro, nessuna fedeltà) .  A lei raccontava  le speranze del sogno americano, l’elettrizzante scoperta di un pubblico adorante nel ciclo di conferenze che all’inizio degli anni Cinquanta lo vedono impegnato nelle maggiori università degli Stati Uniti. Stordito da una consacrazione che in patria stentava ad arrivare ( si lamentava Caitlin: i soldi scarseggiano sempre, e quando ci sono spariscono in un batter d’occhio , bevuti via da lui , o prestati agli amici ubriaconi) Thomas si lascia assorbire dal glamour della  vita d’oltreoceano e affresca vividi ritratti dei “canyon di New York”, delle “case lussuose di Washington”, delle “meraviglie di San Francisco”, dell’“inferno provinciale di Vancouver”. Affascina folle di studenti e semplici lettori, guadagna bene e spende di più. Bevendo.
Con Caitlin avevano vissuto come orfani  naufraghi , anni di povertà, di eccessi e di successi, un’ unione burrascosa , a volta violenta, sempre prossima alla rottura  A lei Thomas aveva dedicato  parole roventi di odio e passione. A lei aveva confessato  l’inconfessabile , consegnandola ad un paradiso immaginario dell’amore perfetto, simbiotico, speculare. Caitlin  fu  il suo alter ego. Splendida, brutale e cialtrona esattamente come lui. Ma in quel momento  fu per lui  una sorta di  Nemesi, perché lui stava per lasciarla sul serio , e lei lo sapeva, lo intuiva. Nell’ultima lettera, del 1953,  le aveva scritto: “Stravinskij ci  attende entrambi ,  ad Hollywood per la prossima estate, le diceva. Scriveremo insieme un libretto d’opera; il grande direttore sta facendo costruire uno studio apposta per noi due , in giardino. Vivremo qui e saremo  per sempre ricchi e famosi”.
Ma il progetto era slittato  all’autunno, e in  quel  novembre tutto era cambiato Thomas, in preda all’ennesimo delirio alcolico muore in un ospedale di New York,
Caitlin lo seppellisce  nel cimitero di Saint Martin , a Laugharne , il 29  novembre 1953.
7..L’ultimo dei romantici
L’anno successivo Igor Stravinskij comporrà per lui In Memoriam Dylan Thomas sui versi di Non avviarti mite in quella buona notte.
Se avesse potuto fare il suo elogio funebre , Dylan avrebbe usato forse le stesse parole  che aveva scritto per l’amico e critico Henry Treece: Giudico l’inciampare di uno scoiattolo della stessa importanza , per lo meno, delle invasione di Hitler , degli assassini di Spagna, del romanzo d’amore tra Greta Garbo e Stokowski , dei Personaggi Reali, dei disastri minerari , di Joe Louis , dei perfidi capitalisti , dei comunisti santarellini , della democrazia della Chiesa d’Inghilterra , del controllo delle nascitee della mia morte…Spero di trovare Dio in bottiglia sotto forma di una birra fredda perché ho la lingua calda come la sella di un cammello!”
Come il vento occidentale nell’Ode di Shelley , l’energia che che soffia, preme o scorre nelel liriche di Thomas è distruttiva e salvifica  a un tempo.  La vita in ogni mia poesia – aveva detto  – emerge dal centro; un’immagine deve nascere e morire in un’altra .Dal loro inevitabile conflitto – inevitabile a causa della natura creativa, ricreativa, distruttiva e contraddittoria del centro motivazionale, l’utero della guerra – cerco di costruire quella pace momentanea che è la poesia. Probabilmente , ha ragione  Bukoswky  quando scrive : “Mi piacciono gli uomini disperati, con i denti rotti, il cervello a pezzi e una vita da schifo. Mi interessano di più i pervertiti dei santi. Mi rilasso con gli scoppiati perché anch’io sono uno scoppiato. Non mi vanno le leggi, la morale, la religione, le regole. Non mi va di essere plasmato dalla società.E’ questo che ha ucciso Dylan Thomas”. Tutta la sua vita  fu una sequenza di creazioni e distruzioni, ricreazioni e contraddizioni. E possiamo concludere con le parole di Herbert Read : Dylan Thomas?  Fu l’ultimo dei romantici , autore tragicomico della poesia più assoluta del nostro tempo .  

Roma, 4 maggio 2012                                    Augusto Benemeglio


mercoledì 2 maggio 2012

Ci sono tante Puglie


1.     Ci sono tante Puglie
La Puglia è luce , è  colore . La Puglia è il mare . La Puglia è un museo a cielo aperto .E’un ricamo di pietra,  un giardino di ulivi,  la patria del barocco e del romanico pugliese. Un’Andalusia di lingue e culture , come memoria e nostalgia del suo passato greco latino e bizantino. E’  la più bella regione d’Italia, parola di Goffredo Fofi.  Voi pugliesi – dice Hèdi Bouraui , scrittore tunisino - siete inventivi folli , straordinari, trattate lo spazio in modo diverso e date al tempo un allungamento incredibile , allora l’immaginazione diventa elastica e aperta, si dilata all’infinito. Per Baudelaire il grottesco, l’arabesco e fantasia sono strettamente connessi. Voi li avete tutti e tre . E la fantasia è il collante , la capacità di movimenti astratti, vale a dire liberi dalle cose , dello spirito libero, aperto, gioioso, fantastico, che trasforma le cose in immagini, linee e colori danzanti, ma sa anche essere spietata, feroce , dolorosa. La Puglia ha quella stranezza il cui tormento è un incanto e il cui incanto è un tormento. 
Uno dice Puglia e dice tante cose , dai dinosauri di Altamura ai castelli di  Federico II, dall’ archeologia delle Grotte di Badisco alla storia medievale , dal paesaggio incantato e tormentato ai misteri della musica , della matematica , dell’astrologia e della poesia , per arrivare ai mille popoli che l’hanno attraversata , conquistata , dominata , saccheggiata , facendone teatro e scenario delle loro lotte ; uno vede la Puglia e  vede , tutte assieme , tante cose con lo sguardo e con l’anima che fanno ressa nel cuore :  pianure , castelli, cattedrali, eucalipti , fichi d’india , e la vite  che dà il vino , l’unione mistica di Dio con l’uomo nell’estasi dell’ebrezza, e   l’ulivo , che è la luce che illumina i profeti , un’immersione nella luce delle cose , una luce che non ha eguali, meravigliosa, chiara, ma anche spietata . Un’ immersione nel vuoto dove ci sono emozioni e pensieri sospesi nell’aria , pensieri che uno vorrebbe afferrare , acchiappare  come farfalle colorate , perché  sono pensieri ed emozioni  che vengono da mille e mille anni di storia. Uno vede la Puglia e tenta di armonizzare la trama del suo pensiero, che si dibatte tra il sonno e il sogno, tra il desiderio del ritorno e l’ebrezza del volo e dell’avventura.
Ed eccola questa zattera che si allunga nel mare, dalle Isole Tremiti a Santa Maria di Leuca, “ in poca rissa d’acqua/ ai piedi di un faro” , dove i salentini dopo morti fanno ritorno col cappello in testa, dice Bodini, forse il maggiore dei poeti pugliesi. E  poi il canale d’Otranto , la città dei martiri e del sangue , “mare de sale, jentu senza cantu:/cinque sèculi de jentu,/frange de cràuli an celu, e stu spamientu/ ca dura, e llu ribbombu de ddu sciantu, come ricorda il magliese De Donno…Qui  è come entrare nel cuore dell’uomo , nell’utero della storia con la sua atmosfera onirica , il sogno architettonico poderoso , il mosaico di Pantaleone , messaggio teologico in forma d’arte , la vastità dell’orizzonte  e il senso dell’infinito . E poi la Messapia , la terra dei due mari, di qua l’Adriatico, con la grotta di Roca , la grotta dell’amore ,  di là  lo Jonio che “mostra la sua dolcezza d’estate / e  il suo terribile moto d’inverno ./ E’ allora che il viso dei pescatori / ha la forma del vento / e fra mare e terra vi è un unico spazio.”, scrive il gallipolino Vittore Fiore.  
Il Salento  è patria del barocco , con un bel po’ di esoterismo , e magia  antica, e un po’ d’algebra dei frutti maturi, come diceva Krolow,  e Benn aggiungeva, Io sono prismatico, io lavoro con i vetri.  Ed anche il Salento è  fatto di una bellezza prismatica scandita dai violenti contrasti,  è qualcosa simile ad un laboratorio di pittura , dove un uomo vestito tutto di bianco con guanti di gomma , lavora secondo un orario ben preciso ed è attorniato da strumenti speciali,  e  da non so che cosa di arbitrario , accidentale , caotico .E un pizzico di horror vacui  , una infarinata di mare azzurrissimo con un versante liberty e l’altro greco classico. E  poi c’è quella ruga , quella  piega , quella cicatrice colorata che non sai bene dove  si trovi esattamente , ma sai che c’è e si prolunga all’infinito. E’ precisamente lì che trovi la linea segreta di attraversamento per “ l’oltre”, lo spazio mentale , il mito , la leggenda , ma anche il quotidiano convertito e reinventato in mito: la sensuale melagrana  aperta, simbolo della fecondità femminile,  e la dolcezza  del fico d’India , sotto scorza ruvida e spinosa.
Il Salento è una sinfonia tutta barocca , con echi di surrealismo bodiniano e di follìa, anche. E’ lo spettacolo meraviglioso della storia , il luogo dell’abitabilità spirituale , ovvero di ciò che appare sensibilmente , sia esso misero o anche meraviglioso. Ma devi stare attento a dosare gli ingredienti , altrimenti ti smarrisci tanto nello spazio quanto nell’anima e non riuscirai a trovare la tua meta, ti ritrovi come un narciso decadente bizzarro dannunziano in un quadro-specchio delle tue brame che riflette  la tua vanità , nascita crescita e morte di un Narciso qualsiasi freddo , ed estraneo a se stesso , con l’infanzia che ti segue e   scava nidi , e tu insegui  farfalle, il sogno perpetuo della farfalla che sogna d’essere uomo , leggera  variopinta , coll’ali iridescenti,  bellissima, o  dell’uomo che sogna d’essere  farfalla , che sogna di volare ( e voli sul serio, tocchi il cielo basso ,  t’immergi nel cielo medio e ti senti puro  siccome un angelo, anzi , sei un angelo) , ma stai attento al cielo in cui voli . E’  troppo chiaro, sei costretto  a coprire  la tua vista con la mano , ti devi difendere  dalla luce  , da questa incredibile fissità  della luce da mattino iniziale dell’universo, una luce che ti piove dentro,  che ti ferisce, che ti fa male agli occhi e ti costringe a rifugiarti nel buio, in cieli notturni sotto la luna , donna-maga  e donna-strega. Ecco l’anello inutile  di  Aretusa , la ninfa trasformata in fonte, parodia del peccato , e di nuovo la melagrana aperta che ti si offre  come fanciulla vergine. Ecco nuovamente le farfalle di Taranto che danzano a milioni , con le invisibili ali . Ti viene la nostalgia delle ali che non hai più, la nostalgia degli odori d’incenso, dei riti misterici,  i sabbath   nelle memorie della luna,   di  tutti i concerti per farfalle e angeli soli che avevi dimenticato. La luna ora si bagna nell’acqua , nell’acqua salata di mare , che sta   dietro la tenda del cielo. Ecco i vani presagi che stanno nell’altra parte della luna , ecco ciò  che non vediamo, che non potremo mai vedere  (c’è chi vola e chi no , il sogno delle sirene , la verità  eternamente sospesa  e l’inganno , i  luoghi comuni , le cose pensate e non dette , gli inafferrabili frammenti di luna che l’uomo dello spazio tentò di portar via, e invece sono  rimasti  tutti lì, affinché la luna , la luna dei Borboni, la luna del Salento rimanesse intatta umorale azzurrina piena di magia e di follia. “Mi ascolterai dietro l’amaro volto dell’erbe che la luna dissolve?”    
Ecco , questo è  il Salento , il barocco fragile di Santa Croce , il nido degli Zimbalo,  il libro di pietra leccese , dove  le pagine non volano, ma si consumano , si erodono , e perdono il gesso e l’oro.  E i cervi di Badisco sulle pareti delle grotte neolitiche . L’artista  continua a lanciare  la sua opera come si lanciano le lance, i pugnali, i dadi,  come il primo uomo lanciò la prima parola ,  e non sa se essa sarà  qualcosa di diverso dal solito grido di dolore.
Oh ,  dio,  la grotta dei cervi e il percorso senza ritorno! , un trekking dello spirito , il canto isolato di fronte al morto irraggiungibile , il poeta non può cantare altro che di una  brezza triste che spira ancora tra gli ulivi millenari. Il poeta non placa mai l’attesa, l’eterna attesa di qualcosa che non verrà mai. Mai. Oh, dio , ma che cos’è questo barocco dell’anima rosacea che ti si sgrana , che esalta in estatiche visioni  ascensionali  , e t’affligge nel tormento del dubbio?. ….Il tarlo del dubbio …Sono stati scritti trattati sul tarlo del dubbio…la mano enuncia verità  e gioie  che la lingua non può dire.
La Puglia , si diceva, è  il mare , quello stesso mare che avevano solcato quattromila anni fa i Fenici , il mare  dell’Odisseo omerico dalla fluttuante incertezza, o  dell’Ulisse dantesco  , della conoscenza e dell’esperienza , ma anche il mare della sofferenza e della paura , delle aggressioni saracene, il mare  delle onde che bruciano , il mare cattivo delle libecciate , dove , in ogni tempo,  “li poviri piscaturi/ chini te miseria, te fame e duluri  vanno   ciarcandu  lu pane e lu sole te la ‘nvarnata”, come ricorda Aldino De Vittorio.
 La Puglia è  una regione dalle molte facce, una  regione di frontiera che si è trovata a far fronte all’est , che ha avuto i suoi  problemi gravi , con le  calate e gli assalti dei mori  e dei turchi che tutto squassano arraffano stuprano uccidono , lunghi secoli di scontri/incontri  e di paura, che hanno costretto i pugliesi – dice Fofi - a diventare levantini e amorali, a farsi, insomma diffidenti e “paraculi”, quando occorre. Macchè – ribatte l’ammiraglio Fadda – ,  niente vero . Quello pugliese è un popolo multiforme , terribilmente intelligente , ma non ama affatto il mare, anzi lo teme , non solo per le aggressioni che ha dovuto subire nei secoli passati. Il fatto è che  il mare da lontano è fermo , piatto , poetico; ma se vai nella pancia è tutto diverso, pauroso,  cattivo, spietato nemico , quando ci sei dentro in quel ventre azzurro il mare ti mostra tutta la sua ferocia … Ad esempio , prendi Brindisi , testa di cervo , il porto degli imperatori romani , da Vespasiano a Marc’Aurelio , il porto cruciale per le partenze dei crociati fin dal medio evo , il porto che dà lavoro a un mucchio di gente. Ebbene, paradossalmente , a Brindisi non ci sono marinai , né pescatori. Ma io dico che in genere noi italiani , a dispetto della storia e geografia , non abbiamo grandi tradizioni marinaresche, anzi credo che ancora oggi metà popolazione non sappia nuotare, anche se tutti si fanno la barca. Ma i  pugliesi hanno una cultura di fondo contadina , la cultura della vite e dell’ulivo , una cultura trasmessa per sangue . Se  tu parli con un contadino  qualsiasi senti che le sue riflessioni sono profonde .
 Io dico – sostiene Luigi Malerba – che troppi , troppi popoli hanno attraversato la Puglia  e ognuno ha lasciato una traccia , una ferita , un cratere , a partire dai lontanissimi costruttori di dolmen e menhir , e i frequentatori dell’età dei metalli, tra fossili calcari e coralli, pietre levigate e vetri vulcanici. Ceramiche incise , con conchiglie, stecche , canne e denti di lupo. I primi  abitatori di questa terra avevamo  losanghe e fasce a linee parallele, lisciatoi  e punteruoli d'osso accette votive e scalpelli di ofiolite. Erano portatori d'ascia con ferite di silenzionel chiuso morso del cuore. Avevano  un'esplosione di grida dentro e
tanti semi ancora fulgidi di inconsce  speranze da gettare sul mare.Qui c’è  un tale ingombro di storie , e di architetture , e di vicende da far mettere le mani nei capelli.
E’ vero. Ci sono tante Puglie, tanti posti diversi  da vedere, posti che fanno a botte l'uno con l'altro , come i pugliesi che appartengono ad etnie diverse , - i Dauni nella Capitanata , i Peuceti nella Terra di Bari e i Messapi nel Salento ,  senza contare gli spartani di Taranto , - e non sono sempre amici fra di loro , parlano dialetti diversi , ma  stanno insieme , uniti da una continuità storica che sta nell'aria , una storia che si incontra ad ogni passo , una storia povera e fastosa , miserabile e luminosa , fatta di muretti  a secco e di cattedrali , di menhir , alberi di pietra votivi, e di umili sassi, di  pianure sterminate  e di mare vetro bianco fuso contro il  bianco delle città;  la storia sta in ogni dove , in ogni luogo,  e questa è una grazia  rara. C'è il senso del sogno , della grandiosità  e dell'infinito.