mercoledì 2 maggio 2012

Ci sono tante Puglie


1.     Ci sono tante Puglie
La Puglia è luce , è  colore . La Puglia è il mare . La Puglia è un museo a cielo aperto .E’un ricamo di pietra,  un giardino di ulivi,  la patria del barocco e del romanico pugliese. Un’Andalusia di lingue e culture , come memoria e nostalgia del suo passato greco latino e bizantino. E’  la più bella regione d’Italia, parola di Goffredo Fofi.  Voi pugliesi – dice Hèdi Bouraui , scrittore tunisino - siete inventivi folli , straordinari, trattate lo spazio in modo diverso e date al tempo un allungamento incredibile , allora l’immaginazione diventa elastica e aperta, si dilata all’infinito. Per Baudelaire il grottesco, l’arabesco e fantasia sono strettamente connessi. Voi li avete tutti e tre . E la fantasia è il collante , la capacità di movimenti astratti, vale a dire liberi dalle cose , dello spirito libero, aperto, gioioso, fantastico, che trasforma le cose in immagini, linee e colori danzanti, ma sa anche essere spietata, feroce , dolorosa. La Puglia ha quella stranezza il cui tormento è un incanto e il cui incanto è un tormento. 
Uno dice Puglia e dice tante cose , dai dinosauri di Altamura ai castelli di  Federico II, dall’ archeologia delle Grotte di Badisco alla storia medievale , dal paesaggio incantato e tormentato ai misteri della musica , della matematica , dell’astrologia e della poesia , per arrivare ai mille popoli che l’hanno attraversata , conquistata , dominata , saccheggiata , facendone teatro e scenario delle loro lotte ; uno vede la Puglia e  vede , tutte assieme , tante cose con lo sguardo e con l’anima che fanno ressa nel cuore :  pianure , castelli, cattedrali, eucalipti , fichi d’india , e la vite  che dà il vino , l’unione mistica di Dio con l’uomo nell’estasi dell’ebrezza, e   l’ulivo , che è la luce che illumina i profeti , un’immersione nella luce delle cose , una luce che non ha eguali, meravigliosa, chiara, ma anche spietata . Un’ immersione nel vuoto dove ci sono emozioni e pensieri sospesi nell’aria , pensieri che uno vorrebbe afferrare , acchiappare  come farfalle colorate , perché  sono pensieri ed emozioni  che vengono da mille e mille anni di storia. Uno vede la Puglia e tenta di armonizzare la trama del suo pensiero, che si dibatte tra il sonno e il sogno, tra il desiderio del ritorno e l’ebrezza del volo e dell’avventura.
Ed eccola questa zattera che si allunga nel mare, dalle Isole Tremiti a Santa Maria di Leuca, “ in poca rissa d’acqua/ ai piedi di un faro” , dove i salentini dopo morti fanno ritorno col cappello in testa, dice Bodini, forse il maggiore dei poeti pugliesi. E  poi il canale d’Otranto , la città dei martiri e del sangue , “mare de sale, jentu senza cantu:/cinque sèculi de jentu,/frange de cràuli an celu, e stu spamientu/ ca dura, e llu ribbombu de ddu sciantu, come ricorda il magliese De Donno…Qui  è come entrare nel cuore dell’uomo , nell’utero della storia con la sua atmosfera onirica , il sogno architettonico poderoso , il mosaico di Pantaleone , messaggio teologico in forma d’arte , la vastità dell’orizzonte  e il senso dell’infinito . E poi la Messapia , la terra dei due mari, di qua l’Adriatico, con la grotta di Roca , la grotta dell’amore ,  di là  lo Jonio che “mostra la sua dolcezza d’estate / e  il suo terribile moto d’inverno ./ E’ allora che il viso dei pescatori / ha la forma del vento / e fra mare e terra vi è un unico spazio.”, scrive il gallipolino Vittore Fiore.  
Il Salento  è patria del barocco , con un bel po’ di esoterismo , e magia  antica, e un po’ d’algebra dei frutti maturi, come diceva Krolow,  e Benn aggiungeva, Io sono prismatico, io lavoro con i vetri.  Ed anche il Salento è  fatto di una bellezza prismatica scandita dai violenti contrasti,  è qualcosa simile ad un laboratorio di pittura , dove un uomo vestito tutto di bianco con guanti di gomma , lavora secondo un orario ben preciso ed è attorniato da strumenti speciali,  e  da non so che cosa di arbitrario , accidentale , caotico .E un pizzico di horror vacui  , una infarinata di mare azzurrissimo con un versante liberty e l’altro greco classico. E  poi c’è quella ruga , quella  piega , quella cicatrice colorata che non sai bene dove  si trovi esattamente , ma sai che c’è e si prolunga all’infinito. E’ precisamente lì che trovi la linea segreta di attraversamento per “ l’oltre”, lo spazio mentale , il mito , la leggenda , ma anche il quotidiano convertito e reinventato in mito: la sensuale melagrana  aperta, simbolo della fecondità femminile,  e la dolcezza  del fico d’India , sotto scorza ruvida e spinosa.
Il Salento è una sinfonia tutta barocca , con echi di surrealismo bodiniano e di follìa, anche. E’ lo spettacolo meraviglioso della storia , il luogo dell’abitabilità spirituale , ovvero di ciò che appare sensibilmente , sia esso misero o anche meraviglioso. Ma devi stare attento a dosare gli ingredienti , altrimenti ti smarrisci tanto nello spazio quanto nell’anima e non riuscirai a trovare la tua meta, ti ritrovi come un narciso decadente bizzarro dannunziano in un quadro-specchio delle tue brame che riflette  la tua vanità , nascita crescita e morte di un Narciso qualsiasi freddo , ed estraneo a se stesso , con l’infanzia che ti segue e   scava nidi , e tu insegui  farfalle, il sogno perpetuo della farfalla che sogna d’essere uomo , leggera  variopinta , coll’ali iridescenti,  bellissima, o  dell’uomo che sogna d’essere  farfalla , che sogna di volare ( e voli sul serio, tocchi il cielo basso ,  t’immergi nel cielo medio e ti senti puro  siccome un angelo, anzi , sei un angelo) , ma stai attento al cielo in cui voli . E’  troppo chiaro, sei costretto  a coprire  la tua vista con la mano , ti devi difendere  dalla luce  , da questa incredibile fissità  della luce da mattino iniziale dell’universo, una luce che ti piove dentro,  che ti ferisce, che ti fa male agli occhi e ti costringe a rifugiarti nel buio, in cieli notturni sotto la luna , donna-maga  e donna-strega. Ecco l’anello inutile  di  Aretusa , la ninfa trasformata in fonte, parodia del peccato , e di nuovo la melagrana aperta che ti si offre  come fanciulla vergine. Ecco nuovamente le farfalle di Taranto che danzano a milioni , con le invisibili ali . Ti viene la nostalgia delle ali che non hai più, la nostalgia degli odori d’incenso, dei riti misterici,  i sabbath   nelle memorie della luna,   di  tutti i concerti per farfalle e angeli soli che avevi dimenticato. La luna ora si bagna nell’acqua , nell’acqua salata di mare , che sta   dietro la tenda del cielo. Ecco i vani presagi che stanno nell’altra parte della luna , ecco ciò  che non vediamo, che non potremo mai vedere  (c’è chi vola e chi no , il sogno delle sirene , la verità  eternamente sospesa  e l’inganno , i  luoghi comuni , le cose pensate e non dette , gli inafferrabili frammenti di luna che l’uomo dello spazio tentò di portar via, e invece sono  rimasti  tutti lì, affinché la luna , la luna dei Borboni, la luna del Salento rimanesse intatta umorale azzurrina piena di magia e di follia. “Mi ascolterai dietro l’amaro volto dell’erbe che la luna dissolve?”    
Ecco , questo è  il Salento , il barocco fragile di Santa Croce , il nido degli Zimbalo,  il libro di pietra leccese , dove  le pagine non volano, ma si consumano , si erodono , e perdono il gesso e l’oro.  E i cervi di Badisco sulle pareti delle grotte neolitiche . L’artista  continua a lanciare  la sua opera come si lanciano le lance, i pugnali, i dadi,  come il primo uomo lanciò la prima parola ,  e non sa se essa sarà  qualcosa di diverso dal solito grido di dolore.
Oh ,  dio,  la grotta dei cervi e il percorso senza ritorno! , un trekking dello spirito , il canto isolato di fronte al morto irraggiungibile , il poeta non può cantare altro che di una  brezza triste che spira ancora tra gli ulivi millenari. Il poeta non placa mai l’attesa, l’eterna attesa di qualcosa che non verrà mai. Mai. Oh, dio , ma che cos’è questo barocco dell’anima rosacea che ti si sgrana , che esalta in estatiche visioni  ascensionali  , e t’affligge nel tormento del dubbio?. ….Il tarlo del dubbio …Sono stati scritti trattati sul tarlo del dubbio…la mano enuncia verità  e gioie  che la lingua non può dire.
La Puglia , si diceva, è  il mare , quello stesso mare che avevano solcato quattromila anni fa i Fenici , il mare  dell’Odisseo omerico dalla fluttuante incertezza, o  dell’Ulisse dantesco  , della conoscenza e dell’esperienza , ma anche il mare della sofferenza e della paura , delle aggressioni saracene, il mare  delle onde che bruciano , il mare cattivo delle libecciate , dove , in ogni tempo,  “li poviri piscaturi/ chini te miseria, te fame e duluri  vanno   ciarcandu  lu pane e lu sole te la ‘nvarnata”, come ricorda Aldino De Vittorio.
 La Puglia è  una regione dalle molte facce, una  regione di frontiera che si è trovata a far fronte all’est , che ha avuto i suoi  problemi gravi , con le  calate e gli assalti dei mori  e dei turchi che tutto squassano arraffano stuprano uccidono , lunghi secoli di scontri/incontri  e di paura, che hanno costretto i pugliesi – dice Fofi - a diventare levantini e amorali, a farsi, insomma diffidenti e “paraculi”, quando occorre. Macchè – ribatte l’ammiraglio Fadda – ,  niente vero . Quello pugliese è un popolo multiforme , terribilmente intelligente , ma non ama affatto il mare, anzi lo teme , non solo per le aggressioni che ha dovuto subire nei secoli passati. Il fatto è che  il mare da lontano è fermo , piatto , poetico; ma se vai nella pancia è tutto diverso, pauroso,  cattivo, spietato nemico , quando ci sei dentro in quel ventre azzurro il mare ti mostra tutta la sua ferocia … Ad esempio , prendi Brindisi , testa di cervo , il porto degli imperatori romani , da Vespasiano a Marc’Aurelio , il porto cruciale per le partenze dei crociati fin dal medio evo , il porto che dà lavoro a un mucchio di gente. Ebbene, paradossalmente , a Brindisi non ci sono marinai , né pescatori. Ma io dico che in genere noi italiani , a dispetto della storia e geografia , non abbiamo grandi tradizioni marinaresche, anzi credo che ancora oggi metà popolazione non sappia nuotare, anche se tutti si fanno la barca. Ma i  pugliesi hanno una cultura di fondo contadina , la cultura della vite e dell’ulivo , una cultura trasmessa per sangue . Se  tu parli con un contadino  qualsiasi senti che le sue riflessioni sono profonde .
 Io dico – sostiene Luigi Malerba – che troppi , troppi popoli hanno attraversato la Puglia  e ognuno ha lasciato una traccia , una ferita , un cratere , a partire dai lontanissimi costruttori di dolmen e menhir , e i frequentatori dell’età dei metalli, tra fossili calcari e coralli, pietre levigate e vetri vulcanici. Ceramiche incise , con conchiglie, stecche , canne e denti di lupo. I primi  abitatori di questa terra avevamo  losanghe e fasce a linee parallele, lisciatoi  e punteruoli d'osso accette votive e scalpelli di ofiolite. Erano portatori d'ascia con ferite di silenzionel chiuso morso del cuore. Avevano  un'esplosione di grida dentro e
tanti semi ancora fulgidi di inconsce  speranze da gettare sul mare.Qui c’è  un tale ingombro di storie , e di architetture , e di vicende da far mettere le mani nei capelli.
E’ vero. Ci sono tante Puglie, tanti posti diversi  da vedere, posti che fanno a botte l'uno con l'altro , come i pugliesi che appartengono ad etnie diverse , - i Dauni nella Capitanata , i Peuceti nella Terra di Bari e i Messapi nel Salento ,  senza contare gli spartani di Taranto , - e non sono sempre amici fra di loro , parlano dialetti diversi , ma  stanno insieme , uniti da una continuità storica che sta nell'aria , una storia che si incontra ad ogni passo , una storia povera e fastosa , miserabile e luminosa , fatta di muretti  a secco e di cattedrali , di menhir , alberi di pietra votivi, e di umili sassi, di  pianure sterminate  e di mare vetro bianco fuso contro il  bianco delle città;  la storia sta in ogni dove , in ogni luogo,  e questa è una grazia  rara. C'è il senso del sogno , della grandiosità  e dell'infinito. 

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