sabato 31 marzo 2012

La vita di Schubert ? un'incompiuta

LA VITA DI SCHUBERT? TUTTA UN’INCOMPIUTA


1.     Franz  allievo di Salieri
Salieri , da cui andò a lezione fino a tutto il 1817 , lo aveva incoraggiato. Il Maestro di corte severo , impassibile , dallo gelido sguardo,  parco di complimenti , magro, pallido, quasi ieratico sotto le ciprie  i rossetti e i  lustrini , ad un certo punto si alzò e gli disse ,  Franz  tu hai  talento , sei un poeta della musica ,e  potrai far onore alla mia scuola ,  ma devi lasciar stare Schiller e Goethe , che sono grandi poeti , ma scrivono in tedesco , una lingua non adatta alla musica .  Se devi musicare  versi pensa a  quelli di  Metastasio , e degli altri poeti  italiani, sono gli unici ad essere musicabili, credi a me.  Del resto in  quel tempo , a Vienna, imperava la musica di Rossini  e lo stesso Beethoven ( “Rossini e compagni sono i vostri eroi. Sì, sì, così siete voi viennesi . Di me non ne volete più sapere!”) faticava ad imporsi. Ma il giovane  timidissimo impacciato goffo Franz aveva una sua volontà, delle sue idee, e non gli diede retta. Perché doveva? In fondo quell’italiano ormai anziano , tutto pelle  e ossa , e livida invidia per chiunque  avesse genio , dopo cinquant’anni  che stava a Vienna  ancora non parlava la lingua tedesca,  e quando lo faceva era un po’ comico.

Antonio Salieri era rimasto “italiano”  in tutte le sue manifestazioni, mentre lui, Franz Schubert , era un viennese puro sangue, un viennese integrale  che non amava i musicisti italiani ( tranne Rossini, che non era però il suo modello) e , forse , gli italiani in genere. Anche il suo amico Franz  Doppler  disse che  a lui  di italiano  piaceva solo una cosa , il buon vino rosso corallo  , e – quando aveva da spendere (raramente) - ne tracannava  parecchio  sotto gli alberi del boschetto , o sotto i parapetti dell’Himmelpfortgrund ( porta del cielo) . Era come un discepolo della Gaia Scienza ,  e  talvolta oltrepassava la misura . Quando lo spirito di Bacco fermentava in lui,  si ritirava in un suo cantuccio e si abbandonava a un tranquillo furore , distruggendo tutto ciò che gli capitava sotto le mani , bicchieri, bottiglie , archetti violini e sogni .Un altro amico , Anselmo Huttenbrenner  , ricorda le bevute di birra al “Gatto nero”  , oppure al “Lumacone”  in Piazza San Pietro e  dice che Franz  fumava molto… Ma  quando eravamo in fondi  - dice -  si beveva vino  rosso italiano  , o addirittura  del punch, in Weihburggasse.  Ma non è vero che sfasciava tutto. Anzi, s’addolciva e ricostruiva le sue architetture interiori. Con un bicchiere di vino , o di punch,  Franz  diventava piacevolissimo , perdeva quel suo aspetto goffo e campagnolo , da mugnaio del paese , e  le sue opinioni musicali erano acute brevi e concise . Coglieva sempre nel segno, come musicista era vent’anni avanti a tutti . Assomigliava in questo al vecchio  Beethoven, che nel suo barbarico isolamento sapeva – sorprendentemente -  essere molto ironico. E guarda caso , Beethoven fu l’unico che disse  ( ma sarà vero o si tratta di una leggenda, dato che i due in vita non si incontrarono mai?)  che c’era  in lui  una “ scintilla divina”, ma fu comunque un parere che non produsse alcun effetto pratico.

2.Il giardino del padre
Infatti, per  Franz  , che volle vivere di sola musica , - era la sua ossessione e la sua estasi quotidiana  –ci  furono solo grandi  delusioni e amarezze , e una vita di stenti, da bohémien ante litteram.
Gli editori  lo snobbarono , il grande pubblico non lo conobbe mai veramente ( “il vento è caduto e abbiamo perso il nostro pubblico”) ,  protettori mecenati non ne  ebbe mai ( ci fu una parentesi ungherese con il conte Esterhazy in cui Franz  fece da maestro di musica delle figliole , e di una delle quali, Carolina ,  forse s’innamorò, ma fu trattato come il resto della servitù) , né era in grado di procurarsi favori , sia  per la sua estrema timidezza e  goffaggine , sia per la sua musica che fu capita realmente solo molti anni dopo la sua morte . Per cui si trovò sempre fuori  – non solo metaforicamente – da  ogni recinto e ogni giardino , anche quello dello stesso  padre. Era appena un ragazzo quando un giorno  il genitore    con cui c’erano stati dissapori  ( lui lo voleva maestro di scuola , ma a Franz  interessava solo la musica)   e si erano  da poco riconciliati per il funerale della madre  -    lo condusse nel giardino della loro casa del  “ gambero rosso” , e gli disse, Franz , ti piace il mio giardino, guarda com’è pieno di fiori , di alberi da frutto , onesti meli e intense rose rosse .  Ma lui non rispose.  Lo trovava orrendo quel giardino , pieno di spine aguzze  e di ortiche , un mostro logoro dall’occhio rosso .  Per la seconda volta, il padre gli chiese , irato, se gli piacesse il giardino. E Franz , tremando , disse No, non mi piace il giardino . Allora il padre lo colpì con un manrovescio pazzesco  che gli fece saltare gli occhialini , e lui fuggì.  ( Per la seconda volta volsi altrove i miei passi e col cuore pieno di infinito amore e dolore andai errando lontano. Cantai canzoni per lunghi anni. Se cantavo l’amore , esso mi diventava dolore. E se cantavo il dolore , esso mi diventava amore) .
Fuggì  com’era fuggito a diciassette anni  andando a vivere con l’amico poeta  Mayrhofer, in una squallida stanza in subaffitto , un ex seminarista , ex giurista  ipocondriaco , un tipo  introverso , incline alla più cupa malinconia ,  ordinato , frugale e semplice fino allo stoicismo, tutto chitarra libri e pipa , con tendenze omosessuali. Di  Mayrhofer , Franz avrebbe musicato una ventina di mediocri  poesie, anche se lui ne era entusiasta ( Le sue poesie sono sempre come un testo a una melodia),  ma non aveva una grande capacità critica letteraria. Musicava anche la nota della spesa .Si guardava le mani grassocce, con le dita tozze, che scrivevano la musica con una rapidità incredibile, che muovevano i tasti di quello sgangherato pianoforte che gli aveva regalato il padre quand’era bambino , e diceva , Le mani , le mie mani non hanno lacrime da spargere.
Dopo un paio d’anni il loro sodalizio , fatto di privazioni e miserie ( spesso non avevano da mangiare, soffrivano terribilmente il freddo, erano sempre senza un soldo bucato , vita da pura boheme)  finì. Erano troppo diversi l’uno dall’altro, opposti . Franz era troppo disordinato, rumoroso, con scoppi esagerati sia di gaiezza  che di tristezza ,  e poi era  trascurato nel vestire, fumava tutto il giorno e  puzzava sempre di tabacco con i denti anneriti dalla nicotina.  Ma anche fisicamente stavano agli
antipodi .  Mayrhofer era alto e magrissimo , col volto scavato ,sofferto ma intenso , ieratico , sempre vestito di nero , il passo agile, elegante nel portamento ,  mentre Franz era goffo e caricaturale, una “pallottola di grasso”, dice Chèzy, “un fiaccheraio ubriaco” , dice Huttenbrenner . “Piccolo di statura e pingue, con una pancettina prominente,  le spalle curve, una selva di capelli irti e cresposi, un volto grasso troppo largo e rotondo, labbra tumide e quasi africane, il naso schiacciato e un po’ camuso , il mento grosso e segnato da una fossetta curiosa.
Ma sotto le sopracciglia folte e irsute,  dietro gli occhiali a stanghetta –  Franz – dice Joseph von Spaun , che era stato con lui nel regio Convitto di Vienna  – aveva due occhi splendenti, accesi da una  fiamma divina. E quando si metteva al pianoforte, quel pianoforte sgangherato , logoro e fetido che gli aveva regalato il padre, con le sue grosse mani tozze dalle dita corte , e toccava i tasti con tanta  maestria, e sapeva far vibrare le corde con squisita inimitabile grazia e passione , e cantava con quella sua voce , voix de compositeur , un misto di tenore leggero e di baritono, semplice, naturale, senza  civetteria, il ristretto gruppo di amici che riceveva  questo straordinario dono andava letteralmente in estasi . Ma se occorreva, se mancavano le signore , Franz    cantava anche  con un falsetto assai esteso, cantava la parte di contralto e di soprano, come capitò in casa Salieri quando si cantavano le vecchie partiture della biblioteca di corte. 
2.     E’ stato il più grande musicista viennese
Franz  metteva in musica il galoppo del cavallo e l’incalzare del destino del Re degli Elfi, la tempesta che urla nella tenebra e nel cuore della “Giovane monaca” , il mare e il vento che scrosciano e sibilano accanto agli amanti desolati  “In riva al mare”, lungo la via senza pace del “Viandante solitario”.
E l’Ave Maria?,  La morte e la fanciulla? ,Rosamunda? ,  l’Incompiuta?   - mi dice il maestro Luigi Solidoro – l’incompiuta  con le  incomparabili sonorità orchestrali ,le  incantevoli sfumature e colorature , le mirabili delicatezze armoniche ,la  tenebra e la luce, il dolore e la gioia , i sorrisi e le lagrime , l’amore e la morte , l’estasi divina  e il grido di disperazione ?  Non c’è dubbio alcuno che sia stato  il più grande  genio musicale viennese.
Maestro, e  Mozart? E  Beethoven ? E Haydn? Dove li mettiamo? 
Amico caro , nessuno di loro era viennese, lui sì. Franz  lo   "schwammerl", il  funghetto,  come lo chiamavano  i compagni di cordata , per via di  quella grossa testa piena di ricci , incassata nel piccolo corpo grasso e un po’ untuoso .  Lui   era del sobborgo dell’Himmelpfortgrund  , e con quei suoi ridicoli occhialini da travet dickensiano ,  con il suo umore  instabile , da arcobaleno nero sopra la notte azzurra , con la sua indole  che inclinava verso i sentieri del fior di loto , a una fondamentale malinconia  da Danubio blu  e  da sospiro rassegnato che va di monte e in monte , ha rappresentato meglio di tutti lo spirito viennese dell’epoca, anche se allora pochi se ne accorsero. Ma  Franz  Schubert  rimane per molti – anche oggi -  quasi un'incognita musicale. Si eseguono tantissimi compositori, alcuni dei quali anche francamente inutili,  invece a distanza di 200 anni molta della sua musica è ancora  da scoprire . Direi quasi tutta. Se si escludono un paio di sinfonie, alcune sonate per piano , e ovviamente i lieder, cos'altro conosciamo?
Perché tutto ciò, maestro ?
Forse Schubert  paga la sua collocazione storica, il trovarsi tra il periodo classico-viennese (Mozart Haydn Beethoven) , e poi le tempestose cime dei romanticismi, e il quadretto a volte oleografico che ne hanno tracciato molti biografi, a partire dalla seconda metà dell’ottocento. Ma se lei si mette in ascolto della  sinfonia n.8 in sì
minore , “incompiuta” , capisce come  sia stata tragica la sua vita , capisce quanto grande sia stato il suo forte e disperato  impegno artistico al quale destinò i più alti messaggi interiori , e subordinò la propria amara vicenda esistenziale. Alla propria irrinunciabile vocazione,  che era – come ha detto qualcuno – tutta nei suoi occhi scintillanti , nel suo sguardo  teso attento bello , che scopriva pianure monti e mari pur non avendoli mai visti , nell’espressione rapita di chi dimentica se stesso in una funzione suprema,  tale da fargli ignorare le dee di tutti gli altri  desideri, disertare gli altari della gloria e di ogni altra cosa terrena .

4.La sua musica era piena di sesso imbottigliato
Ma la sua musica – disse Josef  Kenner -   era    piena di “sesso  imbottigliato”, è così, maestro? . Vede ,  la storia ci racconta che per fare musica quasi tutti i grandi musicisti sublimavano la loro sessualità , o si concedevano grandi lussurie per trarne ispirazione.  Dice il suo amico Franz von Schober ( pittore poeta e libertino di famiglia aristocratica , che influenzò molto Schubert)  che chiunque conoscesse  “Schubby”   sapeva quanto potente fosse la sua avidità di piaceri , -  che avvilì  la sua psiche fino alla degradazione – e quanto una parte di lui vi soccombesse ( Il peccato ha forma di donna, o di giovinetto ancora imberbe?) .Allora gli artisti   erano permeati di un ideale romantico che, se pur appagante nello spirito,  spesso non soddisfaceva la loro parte carnale: per questo molti si innamoravano di donne irraggiungibili , e poi si davano via con qualsiasi prostituta che passava.  Oppure
praticavano l’omosessualità -  con ragazzi minori ,a pagamento , - cosa che allora era considerata immorale e inconfessabile , turpe e  indicibile, ma tollerata  tra le èlites degli intellettuali  e degli artisti  purchè  rimanesse nei limiti della clandestinità e segretezza . In ogni caso la sifilide era spesso l'inevitabile risultato di queste voracità sessuali , e a quel tempo era molto più pericolosa di quanto sia l'AIDS oggi  E Franz Schubert morì di sifilide quando non aveva ancora 32 anni, sifilide che contrasse a 26 anni, e tutto ciò incise molto sulla sua musica, che man mano si fa sempre più drammatica, disperata, tragica, senza speranza.  E che lui fosse consapevole del suo gravissimo stato di salute , viene testimoniato da una lettera che scrive all’amico Leopold Kupelweiesser  l’8 marzo 1824. - Mi sento il più infelice miserabile disperato degli uomini . Pensa ad un uomo la cui salute non si ristabilirà più e che per
disperazione peggiora invece di migliorare le cose; pensa ad un uomo le cui speranze luminose si sono annientate , cui la felicità dell’amore e dell’amicizia non offre più nulla se non il più profondo dolore , per il quale l’entusiasmo per la bellezza minaccia di sparire , e ti domando se c’è al mondo un uomo più miserabile infelice e disperato .
Quando vado a dormire spero di non svegliarmi più, e ogni mattina mi parla di nuovo del dolore di ieri. Così senza gioia e senza amici  io trascorro le mie giornate …
Poi scrive  anche che la “ nostra compagnia”, ossia quella delle famose “schubertiadi “( che in realtà sono state mitizzate solo dopo la sua morte) non c’era più, era morta, disciolta ,  a causa  dell’aumento del “coro grossolano dei bevitori di birra e dei mangiatori di salsicce.”  
5. L’incompiuta
E tuttavia in questo grido di dolore ,in questa sorda di “ ricordanze” infelici schubertiane ,  Franz  ancora sognava grandi successi ,  anche a teatro ,  considerato che il più  grande cantante dell’epoca, Vogel , ormai faceva sodalizio con lui da diversi anni e cantava i suoi stupendi lieder , i cicli della “ Molinara”, del “ Canto del Cigno”, del “Viaggio d’inverno” , un po’ dovunque. Ma erano opere raffinate , non destinate ad un grande pubblico e comunque non erano commerciali ( gli editori pagavano male e pochissimo ) e  neppure tali da poterci campare. Schubert  non poteva vivere  ( e infatti visse malissimo) con la sua attività di musicista nonostante fosse chiaramente  un genio  , il genio dell’incompiuta. “Vi saranno opere orchestrali più potenti, più grandi , forse, -  scrive  Mary Tibaldi –, ma nessuna   potrà  uguagliare  l’incanto divino e la grazia celeste dell’Incompiuta di Schubert.   E’ come la Pietà Rondanini di Michelangelo, capolavori , perché incompiuti. Essa è una gemma impareggiabile e la sua bellezza è perfetta . In questa pagina sinfonica , scolpita da due grandi movimenti,  si raggiunge il massimo del romanticismo sinfonico: le immagini  musicali fioriscono da modulazioni di ineffabile dolcezza , colme di incanto melodico e timbrico , e  procedono come in dissolvenza in un errabondo ed estatico viaggio che sembra tendere all’infinito . All’inizio piangono il
clarinetto e l’oboe , e la musica si sparge nel cuore malinconica , con un senso di pena, un’ombra dolorosa ,  un’infinita tristezza ,  finché i contrabbassi e i corni ci riportano la quiete nel cuore, e ci fanno grazia i violoncelli  con  il loro suono vellutato . La melodia , così semplice , così soave ci prende nel profondo lago  dell’anima  con un desiderio struggente di sovrumana  bellezza e di gioia.  La musica incorporea e ineffabile passa su di noi , e vola  come la visione di un coro  di figure del Beato Angelico nella loro  serafica abitudine , nel loro immortale candore . Schubert ci guida nel regno dell’innocenza primordiale , in un mondo di sogno fuor d’ogni spazio e d’ogni tempo , lontano da ogni miseria da ogni bassezza da ogni colpa nel regno della bellezza eterna e dell’eterno mistero”.
Ma Franz  non l’ascoltò  mai eseguita da un orchestra . La donò  alla società degli amici della musica di Graz  che non la fecero  mai eseguire. Solo quarantatre anni dopo la sua creazione, il 1° maggio 1865,  il direttore d’orchestra Herbeck di Vienna ebbe la ventura di scoprire la  composizione e la fece subito eseguire .
In realtà – per concludere , maestro – possiamo dire che tutta la   vita di Schubert   fu un “incompiuta” ?
Tutta la sua esistenza è  rimasta nell’enigmatica sospensione dei suoi due tempi lontani. Schubert fu un mistero per se stesso, i parenti, gli amici, che tuttavia lo adoravano, e i musicisti , gli intellettuali dell’epoca che  contavano non ne capirono la grandezza ( Goethe non rispose mai alle sue lettere, lo stesso Salieri che era stato suo maestro e aveva una certa influenza non gli fece avere alcun incarico pubblico) Franz non vide mai il mare in tutta la sua vita, eppure  nessuno  seppe descriverlo come lui  nei suoi famosi lieder e nella sonata per arpeggione ( una specie di viola da gamba con sei corde , ma che suono aveva?)  e pianoforte.  Visse di tormenti e di dolori, ancor prima di essere colpito dalla micidiale malattia venerea ,  e finché visse  la sua arte non ebbe nessuna particolare risonanza, tranne nel gruppo ristretto degli amici e di qualche aristocratico con l’hobby del canto come il barone Schonstein, amateur di qualche talento, a cui Franz dedicò l’edizione dei canti de “La bella molinara”.
Solo molto più tardi si parlò di lui come del più grande musicista poeta che sia mai esistito,  quando i lieder , canzoni-poetiche , che erano famose solo nella cerchia dei
suoi amici , ebbero una valutazione più completa e consapevole. Fu verso la fine dell’ottocento, quando Franz era morto da quasi settant’anni, che i grandi cicli liederistici , disposti in collane pensose, si imposero come capolavori di inedita bellezza.( Anche l’Ave Maria era in origine un lied ) Il lied tedesco aveva una secolare tradizione , ma  il lied di Schubert è tutto inventato , come se la storia della musica non esistesse. Nessuno prima di lui aveva reso perfettamente in musica la parola parlata , il grido  autentico, l’autentico sussurro , potenziati e trasfigurati dall’intonazione musicale , ma sostanzialmente fedeli alla pronuncia prosodica.
Ma in genere tutta l’opera cameristica di Schubert  è tesa alla ricerca di forme nuove, nascenti  da esigenze interne di sviluppo del materiale tematico , tutta l’opera è di assoluta originalità, le composizioni di pianoforte inventano un nuovo modo di trattare l’armonia, che è ad un   tempo classicamente irreprensibile e romanticamente inquieto, quartetti e quintetti sono alternative sapienti composizione sulle orme dei classici e compiacimenti improvvisativi che sembrano ammiccare agli amici che li ascoltano . La su musica una volta ascoltata non si può dimenticare, essa scende nel cuore e vi rimane per sempre
Schubby sembra ormai salutarci , con quel suo sorriso timido e lo sguardo che scintilla nel crepuscolo: “ Come un estraneo sono comparso/ come un estraneo me ne vado.  Per questo viaggio non m’è dato/ di scegliere il tempo/ da me devo trovare la via / in questa oscurità/ M’accompagna l’ombra della luna . Buona notte a tutti.
Ed eccolo il piccolo uomo grasso con l’organetto che nessuno ascolta, nessuno vede, i cani  gli ringhiano alle caviglie , ma lui indifferente a tutto, lui gira , gira la manovella e l’ organetto mai non tace.
Addio, piccolo grande "schwammerl"!

Ezra Pound il poeta fascista


(*)EZRA POUND IL POETA FASCISTA
Ciò che sai amare rimane
Di Augusto Benemeglio

1.Il grande fabbro della poesia moderna

Ezra Pound , nato nel 1885 nel profondo e provinciale Far West (Idaho) e morto nel 1972 in una città irreale come Venezia , è stato ( è)  il più internazionale , inevitabile, imbarazzante poeta del Novecento.  E’ il poeta “fascista”, il poeta “traditore”, il poeta “pazzo” , che visse 13 anni della sua lunga vita rinchiuso nel manicomio criminale di Saint Elizabeth’s  di Washington ; ma è anche il “grande fabbro”  della poesia moderna , poeta “imagista” , che sposa le idee filosofiche di Hulme  e  spoglia i versi da ogni sovrastruttura retorica e sentimentale , l’ideatore  di  una nuova poesia fondata
essenzialmente sull’elemento visivo , e poi sarà il poeta della speranza di un rinascimento culturale americano , il poeta  che pubblica i sonetti di Cavalcanti e fa conferenze a Londra sul poeta fiorentino stilnovista ; il poeta “vorticista”, ( nato come risposta al futurismo)  che esplora  la complessità psichica dell’immagine poetica , ne complica l’espressione cercando effetti di simultaneità e di spazialità, ( è quello il tempo delle innovazioni dell’arte, di Braque, Picasso ,  Matisse, Kandisnsky, Marinetti, etc) . L’immagine  - dirà  Pound - non è un’idea , è un nodo, un grappolo radiante , un vortice.  Ed ecco il “Vorticismo “ che , diversamente dall’ imagismo, che è statico , è  il movimento racchiuso nell’immagine stessa . “Voi mi parlate di Marinetti?  Ma Marinetti è solo  un cadavere!”.
2. I Cantos
E’ il poeta che postula la necessità dell’impersonalità della poesia ricorrendo alla tecnica delle “maschere” , maschere che non occultano, ma anzi disvelano.  Infatti  , nel suo viaggio cinquantennale attraverso il suo interminabile poema dei “ Cantos” , un’immensa enciclopedia poetica del sapere del nostro tempo , uno dei monumenti della poesia contemporanea in cui l’autore racconta la storia del mondo e di se stesso , ossia il suo inferno, il suo purgatorio, il suo paradiso , Pound è insieme  Dante ( il suo inarrivabile modello , di cui si innamora fin giovanissimo, anche grazie a Henry Wadsworth Longfellow, lontano parente della madre, che aveva effettuato la prima traduzione in americano della “Divina Commedia” e fondato il Circolo Dante, nel 1867)   e Virgilio, guida e viaggiatore, giudice e peccatore , spettatore e protagonista. 
I Cantos –dice  Montale – contengono tutto lo scibile di un mondo in disfacimento e in essi il senso del carpet domina su quello d’una costruzione ,di un avvicinamento a un centro… I troni  nel paradiso di Dante sono assegnati alle anime delle persone responsabili  di buon governo, i troni dei “Cantos” rappresentano uno sforzo per uscire dall’egoismo e per dare la definizione di un ordine  possibile o comunque  concepibile sulla terra”.
In quel suo poema che rifà la storia dell’umanità in cui le epoche e le civiltà più remote e diverse si sovrappongono e s’intrecciano , così come  l’impasto di lingue e stili diversi , toni lirici e toni saggistici, il balenare di immagini pure e definitive in un apparente accumulo di dati materici , qualcuno ci vede una miniera di splendidi frammenti lirici, una scarica elettrica di versi di straordinaria intensità  e innocenza lirica , versi talora delicati e rigorosi nella loro libertà. E per quanto sia forse arbitraria e spesso inafferrabile la struttura complessa del suo poema , - dicono alcuni studiosi - essa ha un’importanza  notevole , ed esercita  un fascino immanente. Dopo di lui la poesia di lingua inglese non è più stata la stessa, - dirà Auden,  - è uno dei maggiori innovatori dell’arte novecentesca. Le avanguardie novecentesche devono molto a Zio Ezra , gli devono il coraggio di uno sguardo sempre volto al “nuovo” ( Make it new era il suo motto) , ma anche l’esempio di come  conservare il meglio delle tradizione del passato, occidentale e orientale . Si può dire che non ci sia autore di versi che non abbia imparato qualcosa da lui , come nessun scrittore di racconti è privo di debiti nei confronti di James Joyce , che fu una delle tante scoperte di quel  formidabile cacciatore di geni che era  Pound .  Fu lui che fece pubblicare l’Ulysses a Sylvia Beach , a Parigi, e lo difese quando lo accusarono di  pornografia;  fu lui che scoprì Eliot  e “La terra desolata” , di cui fece anche uno spietato “editing”   di riduzione che varrà , in seguito, al poeta americano , il nobel per la letteratura;  fu lui che insegnò a Hemingway ciò che si deve scrivere e ciò che non si deve scrivere.

          3.La radice di ogni male è l’usura

Ma cosa ci vuol dire Pound con questo vertiginoso poema i cui procedimenti stilistici si fanno  via via sempre più ardui ed ellittici , con tecniche espressive fatte quasi interamente di citazioni e ideogrammi cinesi che rendono assai problematica non solo la comprensione del testo , ma la sua stessa lettura? Pound dice che  la poesia per  essere davvero nuova e rivoluzionaria  deve essere totale ,  la poesia  è anche storia, società , politica, economia . La poesia diventa giustizia internazionale contro la corruttela del mondo finanziario, dei traffici bancari, dell’usura. Ecco l’intuizione! La radice di ogni male , di ogni decadenza, di ogni corruzione è annidata nella pratica dell’usura , e quindi nell’istituzione quattrocentesca delle banche e dei banchieri, e quindi negli ebrei che la praticano da sempre. E per rimanere  fedele a questa idea ispiratrice  singolare quanto maniacale , al suo ruolo di poeta e  di educatore della poesia , ruolo a cui si sentiva vocato e che s’era scelto fin dall’inizio  dei suoi precocissimi studi  classici ( “Già a quindici anni, -scrive in How I began , - sapevo esattamente ciò che avrei voluto fare…Decisi che a trent’anni avrei saputo tutto sulla poesia , più di ogni altra persona al mondo; avrei saputo distinguere il contenuto dinamico dal guscio , e riconoscere ovunque la poesia, in qualunque lingua fosse stata scritta” ),   Pound  commette  una serie di errori grossolani , dolorosi e tragici. Un uomo  gentile , un sognatore  che studiò le lingue classiche , le letterature  romanze, Dante, Cavalcanti e Villon , e poi Confucio , il cinese e il giapponese , un uomo di cultura , di larghe vedute , un poeta inquieto e combattivo , errante , ma non reietto ,    diventerà , via via , in una sorta di drammatica escalation , antisemita, fascista, traditore, pazzo.
4. Fuochi d’artificio stravinskjiani
Ma altri  affermano che  zio Ezra non era  affatto pazzo (  quello di farlo ritenere  infermo di mente fu  un espediente del suo avvocato  per sottrarlo alla condanna a morte) ,  e le sue poesie non sono quelle di un pazzo , altrimenti lo sarebbero i tre quarti degli scrittori contemporanei . Ma forse  Pound  non era neanche quel gran poeta che si vuol far intendere . Per carità, dice Montale,  ottima persona , buona  , generosa ,che accoglieva e sfamava giovani aspiranti scrittori che lo venivano a trovare a Rapallo ,nella sua torre d’avorio e ”ombelico del mondo”,  dov’era la sua casa,  organizzava stagioni di concerti di musica rara per la sua compagna violinista Olga Rudge ( si era improvvisato critico musicale a Venezia, ventitreenne, per sbarcare il lunario, ma poi aveva scoperto che la musica ce l’aveva dentro, in modo prodigioso, e la studiò davvero e fino in fondo fino a divenire un raffinato compositore) ,  ed era  sempre dignitoso, cortese , umano , grande giocatore di tennis e quasi altrettanto professionale scopritore di geni che non sempre si dimostrarono tali   Per il resto – dice sempre Montale - era uno che si era divertito a giocare con le parole , che aveva ridotto  i fatti della storia ( cinese, giapponese, italiana)  ad altrettanti stravinskjiani fuochi d’artificio ,o a quadri cubisti di Braque e Picasso, a costruzioni ideogrammatiche, a esperimenti su  teorie dell’inconscio collettivo.  E questo fu – forse - il sospetto che turbò sempre qualcuno  tra i suoi migliori amici , letterati e artisti , parliamo di Eliot ,Cummings, Hemingway, Williams, Lowell, Elizabeth Bishop , Cyril Conolly, Ginsberg, Ungaretti, Sheri Martinelli, Bukowsky ,  Frost , Palazzeschi, Saba , Ungaretti , Picasso, Bogart, Caproni Luzi Moravia Rebora Pasolini , Fernanda Pivano , tutti coloro che si mobilitarono per chiederne la liberazione .
5. Mary de  Rachewiltz
E la Corte Suprema, su mozione del giudice Thurman Arnold , dopo ben 13 anni ,  lasciò cadere l’accusa di tradimento e fece uscire dal manicomio (siamo nell’aprile del 1958 ) il più famoso imputato e ricoverato d’America sotto custodia della moglie Doroty Shakespear, che lo aveva conosciuto nei salotti di Londra cinquant’anni prima , nell’agosto del 1908 , e se ne era subito innamorata.”Pound ha imparato a vivere fuori del suo corpo. Lo vedo come una persona duplice , tenuto insieme dalla carne…Può anche languire la fame , ma il suo spirito riuscirebbe sempre a perseguire la più alta delle arti, la poesia. Per lei si può anche morire, mi ha detto un giorno”. Si erano sposati nel 1914 e  negli anni ’20 erano andati a vivere a Parigi  ( la Parigi di Hemingway, Joyce, Eliot, Satie, Picasso, Tzara, Cocteau) , dove  Ezra avrà una relazione anche  con la violinista Olga Rudge, da cui nel 1925 , quando si saranno ormai stabiliti  a Rapallo, in un menage a troi, nascerà la figlia Mary.  
 Ed è proprio dalla figlia , ormai contessa Mary de  Rachewiltz , (ha sposato il nobile egittologo Boris de Rachewiltz)  , nel castello di Brunnenburg ,vicino Merano , che   il poeta  andrà a vivere subito dopo essere stato liberato ( luglio del 1958). Con la figlia ,  che sarà devota custode , traduttrice ed esegeta della poesia del padre ,  rimarrà   per circa tre anni , poi andrà a  Roma e infine si stabilirà definitivamente fra Venezia e Sant’Ambrogio di  Rapallo  ,dove , ormai ultrasettantenne ,  continuerà  a scrivere. Ma le sue vecchie certezze lo avevano ormai abbandonato da tempo. E sebbene continuasse a lavorare a “I
Canti”, sapeva che erano stati   il suo fallimento , sia come artista che come uomo. Si pentì di molte delle sue azioni passate,  tanto che in un'intervista con Allen Ginsberg del 1967 si scusò di quello  "sciocco e provinciale pregiudizio dell'antisemitismo". Distrutto da quei durissimi anni di sofferenze sia morali che fisiche trascorsi in manicomio , “anni immedicabili” , dice Fernanda Pivano , che ne raccoglie il dolore in un ritratto commosso e nostalgico, “ sembra davvero che su quest’uomo il sole sia tramontato” ,  ben presto Ezrasi ammalò e si chiuse in un silenzio quasi completo.
Gli ultimi dieci anni li trascorse con Olga Rudge , la celebre violinista per la quale aveva scritto  diverse opere musicali. Vivevano  fra Venezia e Sant’Ambrogio, vicino Rapallo , in una spartana casetta immersa nel paesaggio ligure che domina “i Canti Pisani”, da molti ritenuto il suo capolavoro. 

6. Ciò che tu sai amare  rimane / non sarà strappato da te.
Li compose , mentalmente ,  in una gabbia di ferro, costruita appositamente per lui nel cortile della prigione militare di Metato, presso  Pisa, dove lo avevano

rinchiuso , in isolamento , dopo essere stato prelevato da due partigiani e consegnato, su sua richiesta, al comando americano. L’Alta corte di Giustizia degli Stati Uniti l’aveva ufficialmente accusato di tradimento per aver diffuso durante la guerra propaganda antiamericana da Radio Roma. Su di lui era stata messa anche una taglia di mezzo milione di lire. Nella gabbia non c’erano sedie o brande, giaceva sul cemento, avvolto nelle coperte , bruciato dal sole, bagnato dalla pioggia; chiuso in  gabbia , dove vento e pioggia sono “parte del processo” , e solo la luna gli è sorella . forse la stessa luna a cui anche l’amato Leopardi aveva affidato il proprio dolore ,  traduce Confucio , l’unica cosa che ha portato con sé, e compone buona parte dei Pisan Cantos, il suo Inferno, il confronto tra sofferenza individuale e sofferenza storica, in attesa di una condanna a morte ( viene trasferito nella death row, cella dei condannati a morte) in cui come un proiettore che si sia incantato la memoria continua a mandare la stessa immagine, ecco Omero le Muse e Johon Donne, Nessun uomo è un isola, intero da solo, ecco Ernest Hemingway , con la sua campana, “Ogni morte di uomo mi diminuisce perché sono parte dell’euomo/ e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana, / essa suona per te”
Immaginate – scrive Montale - come si possa radiografare il pensiero di un condannato a morte dieci minuti prima dell’esecuzione capitale, e supponete che il condannato sia un uomo della statura di Pound  e avrete i Canti Pisani: un poema che è una fulminea ricapitolazione del mondo senza alcun legame di tempo e di spazio . Migliaia di personaggi, fitto intarsio di citazioni in ogni lingua , ideogrammi cinesi, allusioni a tutto ciò che per cinquant’anni ha alimentato , nella storia, nella filosofia, nella medicina, nell’economia o nell’arte il pensiero moderno , non senza salti vertiginosi nel mondo del mito e della preistoria . Poesia- pittura a spicchi , ai limiti del non figurativo , mosaico fatto a pezzi e poi ricomposto senza che le tessere siano per nulla accostate.

Chiuso nella death row, Pound afferra spicchi di fotogrammi , spiragli di esistenza, pezzi di cielo , zaffate e suoni improvvisi, un gatto che attraversa il rettangolo del suo campo visivo, una piccola cavalletta  verde senza una zampina,”Le cose belle sono difficili da capire veramente”. Prova a capire la difficile bellezza dell’erba che cresce sotto la tenda infernale della morte, la bellezza del gesto pietoso, o delle nuvole, o della polvere  sul fondo d’una vasca, la bellezza della propria sofferenza: Ciò che sai amare rimane, /il resto è scoria. 
E’ tutto qui il simbolo dei canti pisani  ed è anche il simbolo di come la poesia vinca ogni barriera ideologica.
E anche quando verrà internato nel manicomio criminale di Saint Elizabeth , Pound non smetterà di essere ombelico del mondo dell’arte ; come davanti ad un Prometeo incatenato sfileranno in quella stanza artisti giornalisti critici amici di tutto il mondo.
          7. Il suo incontro con Mussolini
          Ma ormai è stanco, i sogni cozzano l’uno contro l’altro e si frantumano.
Ho perso il mio centro/ a combattere il mondo. Come aveva previsto ( era stato sempre una specie di  chiaroveggente, anche nei confronti di se stesso)  e come aveva lungamente desiderato  morì a Venezia , la città che aveva intensamente amato ,    il giorno dei santi , due giorni dopo aver  compiuto  gli ottantasette anni. Si era preparato prima della confessione , “querulo come le allodole sopra le celle dei condannati a morte”.  Morì da sradicato, qual era sempre stato  . Il solito Montale disse che  in Pound lo sradicamento fu quasi un’involontari autodistruzione. E lui stesso ammise che era abituato a sentirsi un estraneo. “Per me sentirmi a casa significa essere straniero in un posto o nell’altro”.
Non  era riuscito ad arrivare alla meta prefissa  - il centoventesimo canto. Si era fermato al centosedicesimo, che aveva tutta l’aria di un congedo anticipato: “ un po’ di lume come un lume di paglia, per ricondurre allo splendore”. E in qualche modo chiude il cerchio con la sua prima raccolta di poesie, A lume spento. E privo di candele, il vecchio zio  Ezra  se ne era andato ancora pieno di candore , dopo una vita intera passata a risalire le correnti , come un salmone , e fare il grande periplo che spinge le stelle alla nostra riva. dopo aver varcato le colonne d’ercole , le sbarre di Lucifero e chiarità di diamante dei cieli della Nord Carolina . Ezra se ne era andato sereno , coll’ultimo giorno di lettura e in mano la chiave di liuto e del mondo. Forse aveva ricordato i suoi grandi errori, come quello di paragonare Mussolini a Thomas Jefferson, uno dei padri della sua patria americana.
Il Duce lo aveva ricevuto, dopo tante insistenze, a Palazzo Venezia, il 30 gennaio 1933, dapprima incuriosito da questo strano poeta americano che parlava un italiano trecentesco,
Voi siete degno di grande ammirazione, Duce. Siete la guida di un popolo “immaturo” così come la intende Confucio . So che voi seguite , con magnifico intuito, le dottrine di Confucio .  Con il Fascismo avete eliminato la disoccupazione lottato contro l’inflazione , migliorato il tenore di vita delle classi sociali medio-basse . Ho letto della battaglia del grano  e delle bonifiche delle paludi . Voi, Duce, avete restituito all’Italia il senso della  giustizia  economica , che è alla base di uno Stato moderno, e quella dignità umana che era ciclicamente apparsa nei momenti più alti della storia dell’uomo e che ora rende il vostro meraviglioso paese degno del suo passato , e lo pone all’avanguardia di tutte le nazioni civili. Mussolini lo guardava perplesso, mentre il poeta si infervorava sempre di più.
Dovete, però, tener conto, Duce, delle teorie economiche di Gesell e Douglas , che sono basilari per uno Stato moderno e che ho riassunto nei miei “Cantos” , che vi dono con gioia e onore . Sono teorie fondate su una forte critica al sistema capitalistico usaraio e guerrafondaio , che io condivido al massimo grado. Il maggiore Douglas ha scoperta la “grande falla” dei grandi Stati di oggi  , consistente  in un potere economico interamente affidato ai grandi gruppi bancari che applicando un sistema usuraio ( basato cioè sui prestiti a interesse) impoverirebbero le popolazioni , abbattendo il potere d’acquisto dei salari  e provocando la paralisi del mercato. Vi farò avere , al più presto,un mio piano per una lega internazionale che sostituisca la Società delle  Nazioni, “baracca di bari”.      

8. Una mente nebbiosa
Il Duce rimase perplesso di fronte a questo bohemien americano che parlava un italiano  trecentesco e sembrava vivere in un  mondo tutto suo. Formalmente lo ascoltò, lo approvò, scrollando il mascellone ,  prese il libro con dedica , gli strinse la mano, e lo congedò . Poi non volle mai più riceverlo. E sul famoso “piano internazionale” , che il poeta aveva depositato un paio di anni dopo negli Uffici di Palazzo Venezia , fece scrivere una nota, ad uso interno: “ Si tratta di un progetto strampalato concepito da una mente nebbiosa , sprovvista di ogni senso della realtà. “
Ci si chiede come sia  stato  possibile che un uomo di tale statura intellettuale, un uomo di  cultura, che aveva conosciuto la vita democratica di Londra e l’esistenza libera di Parigi ,  un “chiaroveggente”  a cui bastava un niente , anche quando gli venivano dati i più nudi dettagli , per riuscire  a penetrare l’intenzione centrale di un autore, di una persona , di un fatto , avesse fatto un simile macroscopico tragico errore, perpetuato fino all’ultimo, fino allo sfacelo della guerra , fino alla Repubblica di Salò? Dire ai microfoni della radio , situato all’ultimo piano del MinCulPop , in via Veneto, nella trasmissione di Uncle Ez, zio Ez, che veniva ricevuta in tutta Europa e anche oltre oceano , che la guerra non era stata cagionata da un capriccio di Mussolini, né di Hitler e Mussolini,  ma dalla usurocrazia per trarne profitti. “Questa guerra fa parte della guerra millenaria tra usurai e contadini , fra l’usurocrazia e chiunque faccia una giornata di lavoro nesto con le braccia o con l’intelletto, questa è guerra dell’usura contro l’umanità; ovvero degli ebrei contro l’Europa.

9. Non vive la vita reale, come tutti i poeti
In realtà Pound non fa altro che rimaner chiuso nella sua torre d’avorio di Rapallo , e ne esce solo per entrare nella gabbia di Pisa,  e  poi nella stanza di un manicomio criminale. Non vive mai la vita reale, come tutti i poeti .( La vita la si vive o la si scrive, disse Pirandello) Il fatto è – scrive Contini – che tutto cospira a farci credere che l’Italia di Pound  non sia mai esistita, o al massimo fosse un paese archeologico produttore di una lingua morta, qualcosa di profondamente etnico.…Se vogliamo il cosiddetto tradimento di Pound anticipa la Grande Disobbedienza che scoppierà in modo massiccio durante la guerra del Vietnam, quale ne fosse il quasi irrilevante segno, destra o sinistra.
Ezra – scrive Montale - difese allora non l’Italia reale , della quale s’infischiava , ma la cornice dei suoi sogni ad occhi aperti . Antiquario senza saperlo, custode del museo del suo cuore , egli leggeva le nostre vecchie cronache per cercarvi qualche episodio eccitante, qualche parola peregrina.
A Rapallo, qualche tempo dopo il suo ricovero nel  manicomio di St. Elizabeth, ( 1948) un migliaio di cittadini , con a capo il Sindaco, firmano una dichiarazione con cui si afferma che Pound  non aveva mai svolto attività fasciste , ma esclusivamente artistiche-culturali;  che non aveva mai usufruito di privilegi  da parte dei fascisti , e non aveva mai compiuto atti di antisemtismo. Era vero, ma gruppi e movimenti di estrema destra non cesseranno mai di strumentalizzare la figura di Pound per farne un paladino delle loro ideologie ( vds. i cosiddetti gruppi di Casa Pound).   
10. Al tramonto
E sul finire della sua vita, Ezra , per quanto spento, assente, ormai ridotto ad un ectoplasma , ebbe barlumi di coscienza di tutti i suoi errori, dei suoi fallimenti, delle sue amare sconfitte, di uomo e di poeta. Sapeva che ormai la  bellezza era per sempre perduta “ per mancanza di energia nella mano che scrive”Così lo ricorda Fernanda Pivano, in un giorno trascorso assieme a lui , e ad Allan Ginsberg , una gita da Sant’Ambrogio a Portofino ,  alla fine del 1967.  “Il poeta era indifferente, muto , curvo, con una sciarpa al collo , che gli aveva messo Olga Rudge,  e un bastone… Non aveva mai parlato, se non a monosillabi, ma ogni tanto mi lanciava uno di quei suoi sguardi penetranti come lame, che mi ricordavano quelli del St Elizabeth…Al tramonto ritornammo a Sant’Ambrogio;  Olga lo accolse sorridendo e mi chiese sottovoce alle sue spalle se tutto era andato bene. Sì, tutto era andato bene. Bene non era andato però il destino di questo genio falcidiato dalla vita che nell’ultimo frammento dei Cantos scrisse:  “Mi perdonino gli dèi ciò che ho fatto/ Cerchino coloro che amo di perdonarmi ciò che ho fatto”.

Cijakoswskij e la baronessa

CIAIKOVSKIJ
E LA BARONESSA VON MECK


                                                       Di Augusto Benemeglio

      A chi gli diceva che era il più occidentale dei compositori russi , che i suoi modelli erano più italiani e francesi , e che nella sua musica non si avverte quella ricerca dell’anima del contadino russo , come avevano fatto Mussorgsky e gli altri nazionalisti ,  l’elegante , aristocratico , fine , bellissimo  Piotr Illic Ciaikovskij , artista geniale , angosciato dal “ fato” , dominato da una sensibilità morbosa , che cercava di trasfigurare in un sinfonismo eroico, rispondeva di sentirsi  russo “fin nel midollo delle ossa”. Ma era  “ diverso” , come disse Stravinskij ,  un russo incline alla malinconia e ai sogni , che incarna  la fine secolo con una morbida sensualità , a tratti femminea , posto nella condizione panica del predestinato , un russo che sposa il canto popolare , ma lo  sottopone alle più sfrenate sollecitazioni , lo deforma , trascinando l’ascoltatore nell’ebbrezza della sensualità liricamente più accesa, fino a   raggiungere effetti plateali.

Un musicista che crea strutture d’aria – dirà la baronessa Nadezda von Meck, sua viscerale estimatrice e mecenate , - ed esprime un diverso grado di malinconia , quella malinconia  nostalgica che ci assale di sera, assieme a un’ondata  di profumi e di ricordi, in cui l’oboe racconta il volo lirico della lontananza, con una dolcezza straziante che lenisce le ferite ancora aperte della nostra esistenza. Un musicista che – sebbene schiacciato dal fato - cerca la melodia rasserenante e chiara , cantata dai  clarinetti e dai fagotti , assieme agli archi, che cerca la frase dell’eloquio caldo e partecipe , sino al  ritorno scorciato con fiorite divagazioni “sognanti” , alla Ciaikovskij . Il suo è un altro modo di  sognare , fantastico,  fiabesco,  che somiglia al Mendelssohn del “Sogno di una notte di mezza estate”, al Berlioz dello “Scherzo della regina di Mab”, ma che in realtà è solo suo.
Si scrissero tante lettere , oltre mille e trecento , un rapporto epistolario fitto , intenso, che avrebbe mandato in visibilio un Oscar Wilde, considerato che per tutta la vita Piotr e Nadezda non si incontrarono mai , preferendo frequentare i luoghi segnati e “ profumati “ dalla presenza dell’altro. Lo racconta , immaginosamente , il regista Ken Russel  nel film-biografia di Ciaikovskij “L’altra faccia dell’amore”
Piotr dedicherà a Nadezda  opere importanti come Eugene Oneghin e la Quarta Sinfonia , in cui viene ribadita la  sua idea principale e ossessiva, il tema apocalittico del fato, “nefasta potenza – scrive a Nadezda - che si oppone alla conquista della nostra felicità e malignamente s’adopera perché il benessere e la pace non siano mai  privi di nubi “. E il fato è rappresentato , in questo caso, dall’incalzante , ostinata fanfara di ottoni e fagotti  in “fortissimo” che apre il lavoro: gesto sonoro e teatrale che tornerà per tutta la sinfonia, schiacciata, appunto, sotto il peso del fato”. Ma ci sono anche motivi popolareschi , melodici e rasserenanti:  “Se non riesci a trovare dentro di te un’atmosfera di gioia, guardati intorno ed esci, Nadezda, va in mezzo alla gente, confonditi con loro. Ed ecco così un vorticoso , rutilante andamento di festa popolare , che ti trascina , ti avvolge, ti stordisce, ma alla fine – cara Nadezda , il fato tornerà a schiacciarti.”Durò quindici anni il loro  rapporto e Ciaikovskij potè vivere agiatamente, senza alcuna preoccupazione di dover fare altro che scrivere musica, l’unica cosa che veramente lo interessasse. Nadiezda era la prima a cui Piotr sottoponeva le sue opere e  andò in delirio – occultata fra il pubblico – alla prima del Concerto n. 1 , in cui quell’introduzione  che ha quasi le dimensioni di un movimento a sé stante , sembra non finire mai  e  quel finale allegro con fuoco diviso tra la danza popolare e il balletto classico , tra il canto ucraino e le atmosfere da “Bella addormentata “, ti strappa le viscere.
Era bellissimo, alto, con gli occhi azzurri, e le donne della buona borghesia russa deliravano per lui, ma Piotr sembrava non degnarle affatto. Si sottraeva a tutte le occasioni mondane. Evitava di rimanere a lungo da solo con una delle splendide creature che lo attorniavano , lo ammiravano , lo desideravano , volevano essere  da lui guardate, desiderate , amate. Ma non poteva. Cominciarono così a circolare dicerie insistenti sulla sua anormalità . Per  tacitarle, Piotr fece la cosa peggiore, sposò  nel 1877, all’età di trentasette anni, una delle sue ammiratrici, quella più insignificante ,  Antonina Miljukova, che sembrava essere la meno passionale , la meno esigente , la più quieta . Invece fu un’esperienza disastrosa, troncata dopo soli tre mesi, che gli generò una grave depressione nervosa. Numerosi viaggi gli fecero poi  ritrovare l’equilibrio psichico e un’apparente serenità , ma tutto fu incrinato, al suo ritorno ,  dall’improvvisa fine della relazione con la Von Meck.  
Per tre lustri Ciaikovskij era stato l’idolo di Nadiezda , che non aveva  mai voluto vederlo, anzi , che aveva condizionato il suo munifico sussidio all’impegno formale da parte di Piotr di non cercar mai di conoscerla. Per quindici anni non si erano mai incontrati , anche se Nadiezda si sentiva al centro delle sue composizioni , era la regina del lago dei cigni ,  la piccola Clara che s’addormenta sotto l’albero di Natale e sogna lo Schiaccianoci, il re dei topi divenuto un meraviglioso principe,  e poi una ballerina della danza dei fiori, o quella araba , o la danza della fata confetto; era in tutti quei capolavori di un arte difficile come il  balletto che Ciaikovskij portò ai massimi livelli , grazie all’altezza della sua musica sinfonica. Per quindici anni  non si erano mai incontrati  , anche se la ricca vedova tutte le mattine andava a poggiare la sua testa sui divani e poltrone , o si sdraiava sui cuscini e sui letti  dove Piotr  aveva sostato, pensato, fumato , respirato ,  lasciando i suoi odori. Per quindici anni non si erano mai incontrati , ma una sera d’ottobre , uscendo dal  teatro di Pietroburgo , non poterono evitare di farlo. E fu la fine. Fu Piotr che le andò incontrò per salutarla , aveva un disperato bisogno di vedere un volto amico, dopo la sua disgraziata esperienza matrimoniale , ma lei gli voltò le spalle sdegnata. E  dal giorno dopo cessarono  i sussidi e le lettere .  Si disse che la sua benefattrice aveva avuto un rovescio finanziario, ma forse era solo una scusa. I loro rapporti cessarono del tutto, definitivamente . Per Piotr fu un colpo tremendo e non solo perché veniva meno la  sua principale fonte di reddito, ma anche perché Nadiezda era diventata una vecchia amica e ora gli mancava.  Scoprì d’un tratto che non aveva amici e che in fondo era colpa sua , era un misantropo che passava il suo tempo libero a fare i solitari con le carte e a bere vodka , che  gli procurava , però, terribili emicranie. Divenuto ormai famoso sia come musicista che come direttore d’orchestra , Piotr s’allontanò sempre più dalla Russia , e girò un po’ tutto il mondo, da Parigi a Londra, da Roma a New York , diresse concerti, ma sempre controvoglia e con una sorta d’angoscia, continuò a comporre fino agli ultimi giorni della sua vita . Le sue sei  sinfonie, i concerti, i  balletti, le ouverture , riproducono la sua storia personale , la sua tortura creatica , fatta di ultimi fuochi romantici , gli echi del grande romanticismo , l’estremo romanticismo che diviene ormai una finestra spalancata sul decadentismo: niente più eroismi, niente più certezze,  tanto da dire molto umilmente di sé stesso:“Rimpiangere il passato e sperare nel futuro senza mai essere soddisfatto del presente: così ho passato la mia vita e la mia vita è stata una tragedia”, una tragedia omosessuale in musica , dirà qualcuno riferendosi alla sesta sinfonia , La patetica.E fu nove giorni dopo aver diretto questa sua ultima sinfonia , - che contrappone toni di gioia barbarica e di raffinata eleganza alla più cupa e conclusiva desolazione , una sorta  di requiem struggente , con i suoi violini , forse quella più amata da posteri , la sinfonia che il musicista confessò di aver scritto solo per se stesso,  - che Piotr Illic Ciaikovskij si tolse la vita . Aveva 53 anni, e forse,un attimo prima dell’insano gesto rivide i suoi genitori  (il padre , un ingegnere minerario profondo russo, collerico, tutto fuoco passione e vodka; la madre , timida, raffinata, sensibilissima, nevrotica gentildonna di origine francese), che lo avevano destinato alla carriera di magistrato,     se stesso bambino di sei anni con i primi esercizi al pianoforte e i quaderni con le fiabe e le poesie in russo, tedesco e francese, scritte  con la propria mano infantile. E poi   l’università di Pietroburgo , dove si era laureato in giurisprudenza a soli vent’anni, il Ministero della Giustizia, dove aveva lavorato come funzionario di prima classe , il conservatorio  di Pietroburgo , ove aveva studiato orchestrazione con  Rubinstein , che aveva scoperto il suo talento ed era divenuto suo amico, e la prima  volta che si trovò  davanti ad un’orchestra , colto da un tale panico che dovette deporre la bacchetta:“Era come se la testa mi si svitasse, staccandosi dal collo”. E poi si rivide insegnante al conservatorio di Mosca , con pochi soldi in tasca e molte aspirazioni di grandezza, o lungo la Senna a inseguire il giovane bellissimo polacco , e gli incontri a Parigi con  Liszt, Saint-Saens, Bizet e Massenet.  E quello mancato con Wagner, che alla fine non amò. E la sua predilezione per Mozart , che considerava il vero Cristo della Musica.
Forse chiese a sé stesso quale sarebbe stato il suo posto nella storia della musica. “Tu sei stato il primo , caro Piotr, - gli disse Stravinskij, - ad aver gettato un ponte musicale fra oriente e occidente , fondendo le anime di questi due mondi. Alla sua morte lo Zar di tutte le Russie gli fece il più bell’elogio funerario: “Abbiamo molti duchi e baroni , - disse - ma avevamo un solo Ciaikovsky e ora non  c’è più”.