venerdì 16 marzo 2012

Lucignola di Gloria De Vitis

LUCIGNOLA DI GLORIA DE VITIS


DI AUGUSTO BENEMEGLIO


1.    Pinocchio guardiano d’odalische 

“Lucignola”  di Gloria De Vitis , Lupo Editore, Copertino, 2011 ,  è un libro tutto concentrato nel titolo e nella copertina, magistrale foto di Francesco Leone , in cui c’è un Pinocchio legato ( potremmo anche dire  “guardiano impiccato” alle grazie proibite  di un’odalisca  )   al collo di un’immagine di donna nuda vista però di terga , una donna che mostra un corpo perfetto e un fondo schiena scintillante.  La trasgressione , la ricerca del paese dei balocchi ( leggi una vuota ricerca del piacere e un’ impossibile felicità) e l’eros  ( i frequenti rapporti sessuali che la protagonista ha  con diversi uomini) , tutto il romanzo sembra  già lì, in bella mostra , non c’è bisogno – forse - di aprire quella scatola magica che è il libro . E non a caso l’autrice è un’artista figurativa ( pittura e fotografia) che sa come sia possibile narrare il “tutto”, o quasi  (questo sarebbe stato il sogno di un Fellini) con una sola immagine, la copertina appunto.  Del resto a che serve la scrittura, a che servono i libri? . E’ lei stessa a fornire la chiave di  lettura. “Ancora un altro libro, solo un altro sterile , inefficace libro…I libri , nient’altro che contenitori stanchi di mezze verità, e la verità, un’altra finzione?


2.    L’arte senza condizionamenti
Gloria De Vitis è  una leccese , nota soprattutto  come artista d’arte figurativa,  in cui ha conquistato i suoi spazi , grazie alla sua personalità e alla sua assoluta originalità creativa.  E anche a un suo modo di pensare decisamente  anticonformista. Della sua pittura informale -  , che richiama abissi mostruosi , spaventosa energia del caos della  materia , buchi neri ,  spazi senza confini, turbini agata e indifferenti beatitudini , luoghi di tenebra senza fine , nodi d’urli e nubi di silenzi , roba inconscia , che risale da memorie lontanissime , ancestrali , da  giorni di morte bianca o nera , -  non vuole  nessuna notazione o , peggio, “illuminazione”  critica (è da presuntuosi credere di penetrare e spiegare qualcosa che la stessa autrice non percepisce bene cosa sia, l’arte è un fatto emozionale e diretto ,  lasciamo che lo spettatore provi la sua libera sensazione di stupore o repulsa , senza  condizionamenti di sorta  ) 
Insomma è una che va controcorrente , una  vera e propria “Lucignola”. Ma chi è Lucignola?  E’  un’amica intima di Pinocchio il ribelle giocoso, 
il nostro Peter Pan  pieno d’energia , a cui è dedicato il libro , “la favola bella che ieri ti illuse, che oggi ti  illude …” Ma “lucignolo” è  anche un  asse della candela, un incrocio tra il filaccio e la luce vera e propria.   Possiamo dire che è un libro che sta nell’ombra , che non ha verità da trasmettere , che è tra il detto e non detto, tra il fuori e il dentro, tra l’altro e noi, tra istinto animale e collegamento divino; nel tutto s’infiltra una  passione totale di anima sesso e sangue, forse un inganno, forse un prurito , forse un destino, comunque un altrove.

3. Anna , Moravia e l’Ultimo tango.

Anna , la protagonista del romanzo , è un personaggio molteplice, che ha dentro di sé una confusa idea d’infinito e di rivolta ( Vivevano dentro di lei vari “personaggi in cerca d’autore” : l’imprenditrice , la barbona , la virtuosa, la puttana –pag.23) e  trova , dovunque si giri , nullità , banalità, o arbitrarietà di gesti   e di valori, crudeltà psicologiche, violenze, erotismo disperato e meccanico. 
“ In questo teatro  di incontri fugaci ,/  amori promiscui, orgasmi simulati,/  nell’incidenza di un corpo che   sembra offrirsi ridente / che si concede senza appartenenza ed appartiene senza concedersi, in cui in nuclei invisibile è celata la verità/ e la menzogna è padrona sulle  bocche velenose ,/ non trovo più il dolore  di un’esistenza che si contrae, ma assenza” (pag.29).
Ricorda un po’ i personaggi da ultima spiaggia di Moravia, che si arrendono a discrezione, per disistima di loro stessi, per indifferenza verso qualunque deriva della vita : Il suo corpo si concedeva con facilità , forse perché  non aveva conosciuto la sacralità del piacere…si donava semplicemente perché era stata scelta…ma l’apice del piacere lo sapeva raggiungere solo attraverso la masturbazione”(pagg.23-25)
Finalmente Anna incontra  Tobia , ed è una  lunga storia  d’amore che mi rievoca  vagamente  “Ultimo tango a Parigi”  ( Gloria De Vitis era troppo piccola quando uscì il film-scandalo, di cui allora non se ne comprese la portata  rivoluzionaria) , con una finale scena di sesso estremo che ricorda in qualche modo quella del film di  Bertolucci. E’ un sesso disperato, tragico, funereo, d’addio . Questa è la scena centrale , essenziale , di tutto il libro , come lo era di tutto il film .  Sembrerebbe  un po’ banale, ridurre la sua voglia di “ liberare la vita, quella vita che si ribellava a tutti i lucchetti di sicurezza cui era contenuta , per poi  afferrarla in volo”(pag.17)   solo a questa scena , ma lo fu ugualmente  a suo tempo per il film di Bertolucci , che era un film quasi metafisico  e fu scambiato per un film pornografico . 
3.    Maledettismo salentino
Anche Anna-Gloria cerca…( mi verrebbe da dire, con una battutaccia, la gloria , ma in realtà non è quello che vuole)   un proprio modo di essere, un proprio modo di esistere, un proprio modo di amare, ( …“fu letteralmente sommersa da una luce bianca che filtrava tra bollicine d’aria e d’acqua in sospensione. Era proprio così che si era immaginata l’amore: una cessazione temporanea dal sé…) che , forse, si raggiunge solo con la morte.  Del resto non diceva forse  Camus che c’è  incompatibilità tra l’uomo e la vita?…
La protagonista del suo racconto, Anna,  non ha più parametri di giudizio , tutto è pari  in questo mondo, in questa società  in liquidazione, il cinismo e la lealtà, l’amore e il disprezzo . Offre il suo corpo , il suo sesso spento , un po’ a tutti i diversi uomini che incontra ,  quasi in una sorta di gioco schizofrenico, ora  si fa puttana di lusso , ora amante frigida , ora  affettuosa samaritana  che si concede ad un vecchio amico del padre,  ma   sempre con la massima noia e disgusto , sempre  in cerca di qualcosa che esorcizzi la sua angoscia profonda , il suo  mal di vivere, ( direi che l’ artista leccese possa  entrare a far  parte del  c.d. “maledettismo salentino”  di cui parlava Donato Valli) .
Anna  è una  che sovente filosofeggia  sul mondo delle idee ( …le parve persino di vederle quelle idee, correre a piedi nudi verso…mentre lei portava addosso il peso del mondo – pag.33) , e chissà che – invece - alla fine non trovi la sua armonia insieme a Tobia , il solo uomo che abbia veramente amato?  
Sì, è , probabile.
Ma in un'altra dimensione .
Nel paese delle meraviglie? 
Più o meno.

4.    Il muro
Che ci vuol dire , infine , Gloria De Vitis con questo romanzo breve? Che la pienezza di esistere è preclusa da spesse cortine di limiti del corpo e dell’intuito, che possono coglierne l’intuito attraverso minimi respiri clandestini, fuori dalla pochezza dilagante dell’autoinganno.
La disponibilità alla vita deve districarsi in miscugli non risolti d’anima e corpo ( Cos’altro poteva essere lei, se non uno spicchio del mondo e del sogno cui lui anelava? Lei che non bastava a se stessa, lei che puzzava del suo io, lei e il suo niente)
Echi di sillabe si sgranano in parole o grumo che filtrano significati, e si tenta il precipitato e l’intreccio dei corpi ,l’estrema intimità, in cui la loro carne e mente  non richiedevano nessun’altra percezione ,  per ritrovare un suggerimento di senso in divenire. Ma  nonostante quella fonte inesauribile di baci , “tra loro c’era un muro ,un muro che non sarebbe mai venuto giù.
Quel muro era “ l’ Eterno ritorno senza ritornare mai
L’Eterno avanzare senza avanzare mai
L’Eterno  tempo di una sigaretta.
I suoi personaggi sembrano un po’ quelli di Moravia , finiscono col  vivere soltanto quel che c’è dietro quel muro ,coi loro gesti vuoti e il chiuso chiuso dentro il loro petto serrato. La realtà li fascia, li assedia, e non li scalfisce: forse  li chiama ad agire, ad essere, ma essi non ne sentono il richiamo, non riescono a compiere nessun salto liberatorio, restano impigliati nell’abulia di esistere, disperati senza disperazione.
Il muro è ancora alto. E non è caduto. 

Roma, 16 marzo 2012                                    Augusto Benemeglio

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