lunedì 2 luglio 2012

La morte della farfalla di Pietro Citati


"La morte della farfalla" di Pietro Citati
Di Augusto Benemeglio
1.     1. Francis e Zelda

Prefiguratevi la scena, come in un film in bianco e nero di Billy Wilder. Siamo nel 1918 , a Montgomery, media città dell’Alabama, profondo sud. In una sala da ballo , vicino al “Camp Sheridan”, un elegante , giovane Ufficialetto dell’esercito , originario del Midwest settentrionale , invita a ballare una delle southern belles, fanciulle del Sud , che sono in sala. Lui è molto dotato. Molto ambizioso.Molto egocentrico. L’unico suo obiettivo, nonostante sia molto sensibile al fascino femminile , è quello di aver successo , far soldi , ottenere ricchezza e fama attraverso i suoi libri . Lei è un vero fiore di bellezza del Sud , piena di grazia e fascino. E di insolite buone maniere. Una che vuole vivere nell’abbondanza e sentirsi bella , ammirata, al centro delle attenzioni. Splendido fulcro di una società dalle continue emozioni , una società in continua trasformazione. Lui è Francis Scott Fitzegerald, lei Zelda Sayre , insieme daranno vita alla leggenda dei “ belli e dannati” , del sogno americano degli anni venti e trenta.

2.La ricchezza è lo scopo principale dell’uomo

Di loro due si occupa l’ultimo libro di Pietro Citati, “La morte della farfalla”(Mondadori, 116 pagine,€ 13), la storia di una “coppia in bilico tra genio e follìa , una storia che è una linea metodica fatta di destini che s’incontrano e che si allontanano”, scrive Giovanni Mariotti sul “Corriere della Sera”. Una storia di inseguimento del successo come “dono” e “grazia” dell’esistenza, ma anche una storia di fallimento , alcool, dissipazione, vite bruciate. Una storia che rispecchia il mito di quei tempi. Se è vero come è vero che lo stesso presidente degli Stati Uniti di quell’epoca , J. Calvin Coolidge , il puritano di Babilonia, dichiarava che la ricchezza “è lo scopo principale dell’uomo”. E non esitava a definire le fabbriche i nuovi “ templi”, e il lavoro che ivi si svolgeva la celebrazione di un “ufficio divino”, anche se i lavoratori dell’industria del tempo ( vedi “Tempi moderni” di Charlie Chaplin) forse non lo percepivano come tale e volentieri avrebbero buttato nella spazzatura il loro Presidente .

3.La maschietta

I due giovani dei ruggenti anni ’20 erano profondamente diversi l’uno dall’altra , ma in alcuni aspetti erano molto simili, anzi perfettamente uguali: volevano tutto, una vita senza risparmio , senza limiti , per un “ obiettivo superiore” . Volevano tutto e possibilmente subito, somigliando in ciò moltissimo ai giovani di oggi.Lui aveva ventidue anni, lei appena diciotto, ma era già abituata a giocare col fuoco, coll’alcol e la droga. Bella , ricca e viziata , con un carattere ribelle , Zelda era una talentuosa , ma certamente non una good girl. Abituata ad essere la più corteggiata in occasione delle varie feste , già esperta in tutte le pratiche nella provocazione erotica, per lei quell’Ufficialetto è uno dei tanti, per lui invece no. Francis è affascinato dal nuovo tipo di femme fatale , infantile . Una demi-vierge , che ribattezza subito flipper ( maschietta) , e la idealizza enormemente per tutto il tempo in cui si troveranno assieme in quel week-end del 1918. “Eppure ero assolutamente consapevole che Zelda fosse la ragazza più complicata che avessi mai incontrato. Era sicura di sé, presuntuosa e priva di autocontrollo. Ciononostante non volevo cambiarla. Ogni suo difetto si accompagnava a un’energia passionale che lo annullava. Il suo egoismo la portava a stare al gioco con grande durezza; la sua mancanza di autocontrollo mi incuteva addirittura rispetto e la sua arroganza era ripetutamente spezzata da istanti preziosi di rimorsi e autoaccusa, in un modo che quasi quasi mi piaceva. Mi pungolava a fare qualcosa per lei , a ottenere qualcosa da poterle offrire “.

4. Mi piace la tua dolcezza triste

Tutti i successi che Francis otterrà al College divennero una sorta di trofeo da esibire a Zelda. Lei in una delle sue tante lettere  gli scriverà: ” Mi piace la tua dolcezza triste, dopo che ti ho ferito: è uno dei motivi per cui non potrei mai dispiacermi per le nostre liti, che ti assillano tanto, queste care piccole alterazioni durante le quali , ho sempre cercato con tanta energia di indurti a baciarmi e dimenticare tutto …Scott, al mondo non voglio altro che te e il tuo prezioso amore : tutte le questioni materiali non hanno assolutamente importanza”. Erano la coppia di sogno dell’età del jazz : entrambi di estrazione borghese, belli e di talento , affamati di vita e di emozioni, volevano realizzare il sogno americano di fama e di ricchezza. Per un po’ ci riuscirono. L’America stava vivendo i roaring twenties , l’epoca che tentò di esorcizzare lo spettro della Grande Guerra con un vitalismo sfrenato e una sconcertante libertà di costumi ; erano gli anni delle “ maschiette” dai capelli corti , del proibizionismo , dell’automobile e delle facili fortune.

5. Di qua dal paradiso

Si sposarono il 3 aprile 1920, subito dopo il primo romanzo di Fitzgerald , Di qua dal paradiso , che diventò immediatamente il culto di una generazione. La coppia cominciò a vivere nel gran lusso e mondanità, fra amici come Hemingway , Dos Passos , Edmund Wilson e Lardner . Zelda viveva nei personaggi femminili di Scott , con la sua sensualità aggressiva , la sua istintiva anticonvenzionalità, il suo estro disordinato. Avrebbe voluto scrivere, dipingere, danzare , ma non riuscì a realizzarsi in nessuno di questi campi . E lui in qualche modo la ostacolò , incitandola contraddittoriamente a rendersi autonoma e ad assoggettarsi al suo talento superiore. Questa spinta ambigua contribuì alla lacerazione della fragilità psichica di Zelda. I suoi crolli nervosi, l’alcolismo di Scott gli eccessi di entrambi , la spietata concorrenza in campo letterario all’interno della coppia fermarono bruscamente l’ascesa verso il sogno stesso. E poi incomprensioni gelosie , la lontananza dovuta a sempre più frequenti ricoveri di Zelda, li portarono a separarsi. Scott continuava senza tregua nella sua lotta contro l’alcol e contro i debiti , malgrado il successo letterario dei romanzi che seguirono.

6.Il Grande Gatsby

La loro vita la troviamo trasfigurata nei personaggi del Grande Gatsby , di Tenera è la notte , mentre si avviava al suo inevitabile tragico epilogo , una vita che diventò simbolo di una generazione . I due , pur da sempre inconciliabili , rimasero egualmente legati fino all’ultimo , rivivendo a tratti l’eco di una passione lontana. Il tour in Europa , nel periodo di Parigi capitale del mondo dell’arte e della cultura , l’amicizia con Ernst Hemingway ( “Non riesco a dirti, caro Ernst , quanto abbia significato per me la tua amicizia in questo anno e mezzo: per me è l’evento deciso del nostro tour in Europa”) In realtà erano due tipi completamente diversi, Scott ed Ernst. Scott era minuto e poco sportivo, aveva poco coraggio, reggeva malissimo l’alcol e perdeva facilmente la testa mettendo da parte ogni sensibilità e tutte le buone maniere; Ernst era temprato dalla guerra e dalle avventure , aveva un aspetto robusto, tetragono , abituato a bere, buon boxer , amante delle corride e delle imprese rischiose. Scott viveva in un albergo a cinque stelle , Ernst in una stamberga di Parigi , e scriveva ogni giorno in un piccolo caffè, la Closerie des Lilas. Di Scott dirà: “ Ha sempre abusato della propria persona , del proprio talento. Lui rappresenta la grande tragedia di un ingegno della nostra generazione maledetta”

7. Hemingway omosessuale

Quando si conobbero , Ernst viveva a Parigi con la prima moglie , Hadley,ma le cose non funzionavano, erano in procinto di separarsi, ma anche Scott viveva un momento particolarmente difficile del suo matrimonio. Zelda era gelosa , aveva in grande antipatia Hemingway , (che a sua volta la considera una squilibrata , una rovina per Scott) e smascherava il macho che era in lui con salaci battute e calunnie. Arrivò addirittura a far circolare voci che fra i due scrittori ci fosse una relazione omosessuale , sapendo benissimo che era la cosa che più temeva Hemingway, cioè quella di essere considerato un pansy , un gay , che avrebbe distrutto la sua virilità . Ernst respinge rabbiosamente il sospetto di Zelda e dice a Scott di ricoverarla . Ma Zelda insiste , e dice che lo stesso Scott ha mostrato in più circostanze le sue espressioni ambigue riguardo al proprio lato femminile. Del resto – ammette – io stessa ho tendenze lesbiche , mi sono innamorata della mia insegnante di danza , Jegorova ,colla quale ho avuto una relazione erotica . Ormai il matrimonio è al crollo , alla catastrofe , quasi in coincidenza del crollo della borsa di Wally Street , il 24 ottobre del 1929, un venerdì nero . Insieme al collasso finanziario , si compie il destino di Scotte e Zelda, destino che la realtà politica sfiora appena. In realtà il progressivo disorientamento spirituale , l’alcol e altre droghe , lo stress nervoso e la follia di Zelda alla fine composero una sorta di miscela esplosiva e irreversibile.

8. La morte di Zelda

Ispirato alla tragica esperienza della pazzia di Zelda , che morì arsa nell’incendio dell’ospedale dov’era ricoverata , a soli trentasei anni ( “Che cosa rimane di ciascuno di noi? Una pianella carbonizzata, come quella che permise di riconoscere il cadavere di Zelda) nacque il romanzo “Tenera è la notte” , l’ultima grande opera di Scott. Nel giugno del 1937, in parte per pagare i propri debiti, in parte perché subiva ancora il fascino di Hollywood ( da cui era stato più volte respinto) e non aveva rinunciato al vecchio sogno di conquistarla, Fitzgerald accettò un contratto di sei mesi con la Metro Goldwin Mayer, e un’opzione per altri dodici mesi che non si lasciò sfuggire. A dispetto della cattiva salute e dell’alcoolismo, nel settembre del 1939, avendo Collier’s accettato di pagargli venticinque o trentamila dollari come anticipo sui diritti di serializzazione per un nuovo romanzo alla consegna delle prime quindicimila parole, smise di bere e si mise al lavoro con indomito entusiasmo, non scoraggiato neppure da un primo attacco di cuore nel novembre del 1940.

9. Gli ultimi fuochi

Non riuscirà tuttavia a portare a termine The Last Tycoon (Gli ultimi fuochi), perché il 20 dicembre 1940 venne colpito da un secondo attacco di cuore, che gli fu fatale. Aveva solo quarantaquattro anni, e il dono e la grazia del successo lo stavano già abbandonando, ma forse quello che veramente aveva corteggiato Scott era in realtà l’esperienza drammatica della perdita, della sconfitta, del fallimento, dov’erano le trame invisibili e gli smalti fascinosi e seducenti di una tela di ragno, le note più profonde della sua musica naturale che lo aveva accompagnato per tutta la sua adolescenza.

domenica 1 luglio 2012

IL CARRUBO DI GALLIPOLI


                                            IL CARRUBO DI  GALLIPOLI


                                               DI AUGUSTO BENEMEGLIO
Della rigogliosa flora antica e  di tutte le enormi foreste che ricoprivano il Salento ( c’erano oltre duecentomila ettari di boschi , nel principio dell’Ottocento, in Terra d’Otranto ,oggi ce ne sono meno di diecimila) ,sono rimaste solo tracce:  il “Bosco di Rauccio” ,  gli ulivi millenari nelle campagne di Vernole, la quercia vallonea di Tricase (oltre 700 anni ), la quercia virgiliana della “Masseria Macrì”, nelle campagne di Supersano , e il maestoso Carrubo della “Masseria Paccianna” di Gallipoli, uno dei più importanti esemplari dell’area mediterranea, superiore perfino al tanto celebrato carrubo marocchino di “Moulay Idriss” . Sotto quel carrubo  glorioso veniva , un tempo, a sostare il “ poeta gabelliere”, Raffaele Carrieri , conscio del fatto che “ noi siamo i naufraghi di un’altra civiltà” e che il compito di un poeta è quello di aprire i muri e ciò che sta intorno/Sopra e sotto./Il chiuso voglio aprire/In ogni luogo persona cosa:/Il chiuso che sta in me, in te./Il sangue voglio aprire/Per fuggire/E l'anima per tornare/ Più aperto altrove.    
Qui veniva “a incidere dispersi richiami , sulle spesse cortecce del sughero della storia , che lievi ondeggiavano al vento , come un nulla di cui si possa parlare “, un poeta quasi dimenticato nella sua terra natìa, Taranto, dove nacque nel 1905. Parliamo di un  eccezionale poeta nato dentro la tradizione della migliore poesia italiana del Novecento, quella dei Montale, dei Luzi, dei Sereni, dei Caproni, quella dei Bodini, dei Pagano,  ma anche quella dei grandi autori francesi , da Apollinaire a Valery , o dei surrealisti spagnoli come Lorca , un poeta che per tutta la vita visse nomade e disordinato , che fece tutti i mestieri possibili, pastore di pecore in Albania e in Montenegro , legionario a Fiume vicino a D’Annunzio , riportandone anche una ferita al braccio destro , che da allora in poi potè usare poco e male ; un poeta che divenne marinaio su navi da carico e andò girovago per tutti i mari , i porti e i bordelli del mondo ; poi fece il gabelliere in Sicilia (“La notte il gabelliere/ è più povero di Giobbe/La lepre ha la tana/ la pecora la …il gabelliere sconta il peggio”) e  si fermò  (e , direi , si formò)  a Parigi,  allora capitale universale della cultura , dove conobbe i maggiori artisti del tempo e fece tutte le esperienze d’avanguardia subendone tutte le suggestioni e fascinazioni possibili; scelse i suoi modelli “eroici” in  Rimbaud , Eluard, Esenin e di Federico Garcia Lorca, di cui fu grande amico.
Un poeta che disse  che la poesia “non si fa”, la poesia siamo noi , quello che avremmo voluto essere e non siamo . “ Alla malora le carte / cartigli e scartoffie/ che potevano darmi la gloria…E’ follia, follia, restare chiuso in un calamaio/ come la seppia nel mare / che fa macchie d’angoscia e le sparpaglia”  Per Carrieri , che se ne andava in giro nudo , con i suoi pensieri , ma libero  ( “Non più gabella , non più barriera…/senza sonno  e senza frontiera”) come un girovago ,  il ritorno nella terra dei suoi avi , nella Magna Grecia , a contatto con il Grande Carrubo, era un modo per rigenerarsi. C’è ancora chi lo ricorda settantenne col suo basco , le tele e i  pennelli ( sì, perché fu anche pittore oltrechè critico d’arte di notevole e riconosciuto valore ) andarsene al solito posto, sulla pietra glabra caotica e rocciosa ,  butterata e silente quinta teatrale del Grande Carrubo della Paccianna , si poggiava lì seduto come una “nuvola in calzoni neri”  e accarezzava il fondo campestre  ora sfigurato da una orrenda edificazione ,  e il volo della vespa solitaria ,  gli sfilacciati sentieri , la sinfonia della mosche , i terreni nudi, le acque paludose ; aspirava il profumo del mirto e il fragore dei papaveri e delle margherite di campo . “ La poesia non è scrivania / e tanto meno carta…La poesia è in alto e anche in basso/ dove crescono semi/ fiumi e vermi”.

Raffaele Carrieri si faceva sacerdote antico dinanzi al Carrubo-tempio votivo . “Tremano gli indovini / a leggere nelle tue mani / i miei profili oscillanti.
Da vecchio  poeta tarantino-spartano , da “ alchimista fuggiasco /dalle remote ginestre /di Finisterre “ , egli aveva dentro di sé echi  di guerrieri nudi , pieni di coraggio e d’avventura , e  filtri , e magìe d’antico stregone . Nella sua bisaccia  di nomade si portava la  favola lunga , inesauribile , che non ha inizio , né fine , ma nel cui sottofondo è possibile avvertire  un senso sottile di sofferenza e di tensione ; ricreava ,  quasi per istinto , la sua terra d’origine , quella Magna Grecia vitale e preziosa, di lamine metalliche , di mare e fantasia, miti e riti  che alla fine gli lasciava un retaggio  di malinconie ( I tuoi rami sono lunghe mani di ragazze more…/ il tuo profumo è una scala di tondi lisci gradini / alla fine se ne vanno i cavalli / sentendo da lontano il mare / come gli zingari il rame”)  Alla sua Patria antica , Taranto , la Puglia , che lo ha trascurato,  che lo trascura ,  ha lasciato un linguaggio immaginoso  ed epigrammatico , ora ermetico, ora surreale , con dei versi che “ sono degli orologi , regolati sulla vita e sul calcolo” .
Un poeta che segna i tempi dell’indugio e le antiche cadenze, ma anche un grande critico d’arte  stimato da De Chirico, Savinio , Picasso, a cui aveva detto: “Pablo, hai più sguardi tu che pesci il mare” , un pittore e un musicologo , un vero artista che conosceva il canto disperato dei “pompili” e attraversò tutti i boulevard di Parigi assieme a Prevert e ai clochards dei ponti della Senna,  un  uomo che fu tutto e il contrario di tutto : raffinato e trascurato , semplice e imprevedibile , generoso e implacabile , lucido e malinconico giocatore di prestigio , equilibrista del calembour , inesausto bevitore di Pernod  , consolatore di puttane e mistico sacerdote del Grande Carrubo di Gallipoli.  Lo abbiamo davanti agli occhi , assorto intenso con lo sguardo lontano, come nel ritratto che gli fece Giorgio De Chirico , pur – ahimè – non avendolo  mai  incontrato , né mai veduto in vita nostra ( “Anche a noi capita talvolta d’essere guardato così , come si guarda uno che non dovrebbe esserci, uno che non c’è mai stato “) e potremmo salutarlo così, con un ciao di sorriso e coi versi del suo amico poeta milanese Giovanni Raboni, che lo vide morire , nel 1984 , a pochi passi da casa sua : “ E noi davanti  agli occhi non avremo che la calma distesa del passato/ a ripassare senza fretta / fermando ogni tanto l’immaginazione ,/ tornando un po’ indietro , ogni tanto/ per capire meglio qualcosa, / per assaporare un volto, un vestito…un albero antico”

           Roma, 16 luglio 2009



Le mani le braccia

E la voce per farmi udire.

L'oscuro voglio aprire

Che mi chiude.

I muri voglio aprire

E ciò che sta intorno

Sopra e sotto.

Il chiuso voglio aprire

In ogni luogo persona cosa:

Il chiuso che sta in me, in te.

Il sangue voglio aprire

Per fuggire

E l'anima per tornare

Più aperto altrove.