lunedì 9 aprile 2012

Lo sfondo blu dell'anima del Sud

Lo sfondo blu dell’anima del sud


Di Augusto Benemeglio

…E la  Puglia venne  a Roma ,  o meglio l’anima meridionale della Puglia , il tacco salentino ,   sotto forma di quattro artisti  diversissimi l’uno dall’altro, ma che formano una specie di crocevia  del Salento:  Galatina , Gallipoli, Melissano,  Maglie ,  quattro strade, quattro anime , tante memorie, evocazioni,  immaginazione , tanti  “respiri e sussurri dal profondo”  dice Augusto Cavalera , altro salentino  doc ,  l’eccellente  coordinatore-conduttore , il manager of art  che ha scelto il titolo della mostra:  “A sud  dell’anima” , e l’anima, si sa, è “immagine”, e immagine è anima, lo dice Jung.  E la Puglia venne a Roma in un momento di scarsa immaginazione , di scarsa sensibilità estetica, nell’arena pubblica di una stupidità anestetizzata , una specie di risposta  ritardata e sorda al muto mondo dei sensi , in un momento in cui diventiamo insensibili agli altri e alle  nostre stesse sensibilità, in un momento in cui abbiamo perduto ogni capacità di essere persuasivi.
E tu non vai?,  mi telefona il direttore di Espresso Sud. Certo, direttore, che vado, sennò che sud saremmo? . Ed eccomi qui, alle idi di febbraio , nella sede dell’UNAR ( Casa delle Associazioni Regionali) dove un tempo . a proposito di sud, c’era il museo africano e una biblioteca di 40 mila volumi , e ora  vi  campeggiano le grandi tele dei nostri artisti: Anteri, Cesari, Manco , Testa , in ordine rigorosamente alfabetico.  E’ un antico palazzo di fine ottocento,  grigio , solido , quadrato , possente , solenne, due piani senz ‘ascensore , senza termosifoni , saloni ampi, silenziosi  nell’umida penombra,  con molte stanze e una grande immensa terrazza  che guarda i magnifici tetti  ,le chiese  le fontane i laghi  , i pini  di Roma,  senti  la musica di Respighi , o il concerto grosso di Handel  , e immagini le brughiere , i corni e la volpe che non ci sono, ma tutto potrebbe esserci in quella dimensione onirica ,  in quell’ eden ritrovato tra i leoni gli elefanti , i salici , le scimmie e la statua di Francisco Santander , il fondatore della nuova Columbia , donata da quel governo alla città di Roma , e , più a nord, la Paolina Borghese  , la Venere Imperiale di Canova che ti guarda con l’occhio languente.  Sei a due passi dal giardino zoologico, a tre  dalla galleria Borghese e dal palazzo delle Belle Arti.  Qui, grazie all’acume e alla sensibilità del presidente dell’UNAR Pugliese, Avv. Antonio Ieva ,  si è celebrato l’”evento” ,  con gente che fa onore alla regione , professionisti  seri , artisti  veri , creatori di mondi sonori, mondi colorati ,  mondi  sotterranei .  Un  vernissage -presentazione -performance artistica  dal titolo emblematico , “ A sud dell’anima”, che mi riporta indietro nel tempo, tre ani fa , al piccolo Eliseo , con Maddalena Crippa e i suoi quattro compagni musicali  che fanno un  viaggio  , anche loro,  “a sud dell’anima” , coi suoi sogni irrinunciabili  e una lunga storia che racchiude  affetti, dolore, amicizie, speranze, memorie , nostalgie , disperazioni,  frammenti di immagini e di pensieri che si susseguono   come onde calde e ritmate dalle pagine dei grandi  autori del nostro tempo ,  Galeano, Neruda,  Rodriguez, Violeta Parra,  Mariangela Gualtieri , Gioachina Belli , Carmelo Bene, raccontati con  la forza disperata e solare di musica , parole e immagini.  E poi  i   sapori e gli odori del sud, i suoi ideali, le sue emozioni e le sue idee, le sue utopie . E i problemi del Sud , le angosce, le angherie ma anche le grandi gioie e gli scoppi di vitalità propri di questa parte del mondo.  Il Sud, non solo terra e denominazione geografica, ma  luogo dell’anima, di passione e di generosità, che ogni uomo, a qualsiasi latitudine appartenga,  cerca da sempre nella vita.  Andate almeno una volta a Leuca,   “finibus terrae”, raccomandavano gli antichi,  andate a vedere il Santuario di Santa Maria , dove un tempo sorgeva il tempio di Minerva , andate a vedere il faro , stele di luce, angelo giallo nella notte di tenebra , andate a vedere i  morti che risorgono col cappello in testa , come diceva Bodini ,  andate a vedere  “nuovi cieli e nuove terre” , andate a vedere l’anima del Sud-est , quello più profondo. Ed ecco  che  , magicamente , quella terra , quei luoghi , quei colori, quelle onde musicali , quel  Sud dell’Anima della Puglia più orientale e profonda, come se fosse stata evocata tre anni prima ,  venire  a Roma  in un 8  febbraio 2008 insolitamente mite e solatio .
Qui  rivedo  Mimmo Anteri,  creatore insonne a pane , acrilico , musica e divina proporzione .
Ora che ha smesso di fumare , si mette al pianoforte e strimpella un sound , “lascia passare la luce” dei tasti bianchi, lascia che le note si spalanchino ad una ad una come  l’oblò di una goletta in mare,  mentre i suoi quadri campeggiano sulle pareti , con quelle cromie incredibili, quei rossi e blu kandiskiani,  pieni di flauti, di contrabbassi, di violoncelli  , col fantasma  clownesco  di Mathias Ibach , un tedesco  che ha sposato una gallipolina , figlia dell’ex nostromo della Capitaneria di Porto ,  e rivedo andarsene  in giro a cercare concerti  improbabili tra le congreghe leccesi  ( se ne è tornato a Berlino) .  E finalmente  l’organo delle musiche invisibili  esplode  e i suoi universi se ne vanno alla  velocità della luce , ma io sospetto che in quei blu  alchemici di Anteri  ( sono anni che cerco di definire la sua pittura , così  sottile, così pulita, così precisa, così vasta, così distante, così nostalgica, così inaccessibile, così profonda , così infinita, così essenziale, così totale , e non ci sono ancora riuscito)   s’immerga la Signora della Notte e vada in giro nuda , nei  suoi  viaggi platonici , iperuranici , alla scoperta di  nuovi mondi possibili , di nuove traiettorie, di  “nuove geometrie  esistenziali”, che hanno quasi tutte uno sfondo blu . Ricordo che un notte ( quando fui suo ospite)  fui tentato di aprire quella porta che lui chiudeva sistematicamente , la porta che dava direttamente al mare greco, la porta della Signora Notte.   Mi dicevo, se l’apro trovo la via di Atlantide , il continente sommerso , trovo il paradiso portato in piazza,  magari al centro di piazza Imbriani o  sulla  rotonda , del lungomare Galilei , o  sul palco,  mentre Pici Tappo canta la sua mitica “ rotonda sul mare”  , o nella sua camera da letto dov’è rimasta quel magnifico girasole-margerita   vasto dolce sorridente e accogliente che è  il volto di  Gianna Schipa , sua moglie . Ma poi  mi trattenevo, non  avevo il coraggio di entrare,  avevo timore di annegare in un mare di stupidità.
E poi ecco davanti a me  Francesca Testa  , bella scura corvina calda affettuosa profumata di timo ginepro cactus  melagrana fertile e deflagrante , che più salentina non si può,  coi suoi blu sovrani  e misteriosi  , profondi ed elevati che s’innalzano , che vogliono dare armonia ordine alle cose, vogliono  definirle, renderle chiare , ma sono anche obelischi verdi e croci blu , sensi di colpa , scrupoli di coscienza , respiri di pietra , messaggi in bottiglia su una spiaggia , potenziale evocativo di richiesta di aiuto inascoltato, trama di rimandi affettivi;   e poi ancora rose blu, voluttuose , sensuali, ambigue , ma anche fontane , mari, cieli e ombre blu  , il blu della costanza , della fedeltà alla memoria , il blu che da profondità all’idea di riflessione, il blu romantico e immaginativo , il blu utopistico  contrapposto al realistico e al concreto, il blu che protegge il bianco dell’innocenza….E Dalì?, e la persistenza della memoria?, dico io. Francesca è perplessa. Oh, Dalì ,  coi suoi baffi ridicoli e Amanda Lear come modella , Dio mio, no, non c’è nei miei quadri, anche se c’è il surrealismo, certo. Ma forse Dalì non era poi così surreale. E il simbolismo? Certo. Ma tutto è simbolismo , dici arte e dici immagine, mandala, simbolo,  inconscio . Scrivi che c’è l’anima del sud, sì, questo sì, ma di tutti i sud del mondo. Il mio è  uno spazio-esperienza che cristallizza mille tempi diversi, mille mondi, e materiali e colori e incubi , mestieri, giochi, idee, fantasie, aranceti , croci ed echi. Quando ci sei dentro sei da un sacco di parti, magari per un istante solo, ma è un istante sgranato su secoli, Porto Badisco e Gabrieli, Calò, Suppressa, Sponziello, Nullo D’Amato e Della Notte , con le loro vibrazioni cromatiche e l’essenza lirica e mediterranea della loro visione pittorica , fino all’ultimo sperimentalismo di Doris Salcedo,  quel “Shibboleth”, un baratro sotterraneo, una  spaccatura che divide a metà il mondo moderno, bianco e nero, sud e nord, la storia del razzismo. E sorride con quel suo sorriso pieno di utopie. Bisogna pur stare a coltivare qualche utopia, se no diventa tutta una questione di mercatino delle vanità, bricolage dell’anima.
Ed ecco Nicola Cesari, tra i combattenti della libertà, nella pattuglia più avanzata dell’immaginazione , ieratico pittore di Maglie, con le sue voragini di sogni ricordi  desideri speranze,  uno che porta  l’abisso dei profondi blu nei suoi quadri che hanno il suono triste degli strumenti blu , o il grande respiro dell’organo , dal suo largo alla marcia solenne del filosofare che sa incorporare le ferite di una storia personale in un senso tragico della vita. Ma anche la nostalgia  che il blu di per sé induce , il desiderio del bianco che ti fa desiderare di tornare a casa , ma ormai il ritorno è precluso perché non conosci più il luogo da dove sei partito la prima volta. C’è Kandisnskij e Cezanne , che diceva: il blu dà agli altri colori la loro vibrazione , per cui bisogna usare in un dipinto una certa dose di blu. Ma nei blu di Cesari c’è anche una dose del  romanticismo di Stevens, del suo “L’uomo con la chitarra blu”, un’opera di pura immaginazione. “ Intelletto e immaginazione sono  entrambi blu”, ma anche il mare caldo del sud nelle antiche parole greche era chiamato blu, e per Tertulliano e Isidoro di Siviglia “blu” era sia il mare che il cielo  del sud. 
Artista finissimo, aristocratico, ricercatore e sperimentatore , Nicola Cesari  sa del dramma di un petalo in fioritura su un nero ramo bagnato , ma anche dei fucilati di Goya coi  blu, i cobalto, lo sfondo dei verdi smeraldo , o del vecchio Baudelaire , con il boudoir pieno di rose appassite , e le macerie , le irrealtà e il mistero senza fine bello dei crepuscolari e conosce il blu skin , il meticcio, il sangue misto.  Dentro di lui  c’è il suo maestro, Bodini , e i suoi tramonti di sangue da bestie macellate, ma anche  un  Benn  prismatico che lavora sui vetri , alla ricerca dell’algebra dei frutti maturi , - con quelle sue  notti piene , totali, assolute, cosmiche , blu, che di più non si può, coi cieli e mari affamati , da tutto quell’ultimo vuoto rotante , privo di significato o dai sconosciuti percorsi delle nubi che stanno sotto di noi, dai voli della luce , dall’oblio degli eoni, dal campo dei papaveri , dal fiato del mondo , dall’apoteosi del nulla.
La sua mente si muove nel silenzio, e nel silenzio si muove tutto il suo essere , e la sua anima non può che parlare per immagini. Per questo c’è  bisogno di concentrazione e di silenzio per guardare dentro il quadro di Cesari , artista sensibile a tutte le letterature e le religioni , con la volontà di immergersi nel profondo mondo psichico dell’uomo , nelle immagini primordiali , magiche e mitiche che lì, sulla tela, s’incontrano
Il quarto artista è Dario Manco , e prima d’ora non lo conoscevo affatto , è
nuovo, imprevisto, tutto segno, matematica, geometria , incastri, labirinti, architetture spaziali caotiche , uno che non fa concessioni allo spettatore, rigidamente monocromatico,  bianco e grigio , con qualche scavo marrone-nero, qualche  ustione, qualche bruciacchiatura , larghe ferite di memorie sui muri , o oltre i muri che stende sulle tele , o sui pannelli , “pura essenza di concetto e assenza di superfluo”, come scrive Cavalera. E la poetica del muro  mi richiama alla mente Antoni Tapies , un basco dai segni  monocromatici grigi illuminati, o meglio feriti o da un colore acceso, forte. Ma  è anche la poetica del gesto come impulso interiore , l’alfabeto primigenio di Hartung, il punto zero di Jean Dubuffet,
 soprattutto i sacchi di Alberto Burri e i concetti spaziali di Lucio Fontana , degli spazi cosmici, dei gesti che si fanno eterni.  “E’ un territorio , quello di Manco , - scrive Dores Sacquegna – di reminescenza , di sentimenti lontani e vicini , ma anche di ripresa neo-spazialista in cui il “muro”  non è solo una suggestione figurale ed architettonica ma un’essenza concettuale” . Si muove tra le ombre bruciate di Afro, intento a cercarle dentro di se, nei muretti a secco della campagna di Melissano  rivisitati dal suo genio , all’ombra degli ulivi saraceni dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole. Immagini come corrispettivo poetico della volontà di mantenersi sul confine tra tenebra e scintilla , tra scavo (scuro) della materia e sogno (bianco-luce) , tra aree grigie del tempo e  momento tragico (le ferite marroni o nere dell’esistenza)  che annulla l’opacità fisica del supporto
Manco cerca di concretizzare la spiritualità della materia come fa Hazuo Shirago, creando uno spazio che altro non è se non lo spazio della memoria , oscillazione in una dimensione lontana imbevuta dal rimpianto o dall’attesa di un’altra atmosfera lontana .La sua è una mano bruciata, due piume e un paio di scarpe in mezzo alla sparatoria della vita , razzi e botte al muro, roba da Montedidio  di Erri De Luca, con l’occhio buono e l’ombra alle spalle, la farfalla nera, il lauro, il carrubo , il mirto, il ginepro, le braccia che bruciano, e il volo sotto il diluvio., i vasi e i piatti vecchi gettati dai balconi l’ultimo dell’anno, e i fidanzati che precipitano nel vuoto, abbracciati, con le loro voci che sono grumi caldi d’aria e ragli d’asino,  e che ora si fanno gridi a pieni polmoni, gridi che non ode nessuno, e se anche li udissero nessuno ci baderebbe. E intanto loro precipitano nell’ignoto, dove sta forse la verità. “ La vera difficoltà dell’arte – diceva Constable , di tutte le arti, è quella di unire l’immaginazione con la natura”.
E’ stata   una performance  davvero memorabile, quella dei nostri artisti salentini , iniziata  con una magica serata inaugurale , con il Maestro  gallipolino Luigi Solidoro al pianoforte ,  tutto fuoco jonico e passione, ed ecco i chiari di luna debussiani,  le “alborade”  raveliane e le sonate  rachmaninoviane . A seguire  i versi densi  , profondi , viscosi ,  avvolgenti , di Maria Rita Bozzetti,  con la voce  vibrante  di Gianfranco Catone ,e    l’ouverture critica ellittica, persuasiva,  ammaliante , essenziale, tutta bollicine e champagne  del conduttore  e coordinatore ,  Augusto Cavalera,  tutti  brillanti interpreti della cultura pugliese e in specie salentina.
“Esistono  - scrive Cavalera – ( giovane manager colto, preparato, di talento , a cui bisognerebbe aprire strade e autostrade in tutta la regione , ed invece – mi dice – fa queste cose sulla sua pelle, solo per passione e per amore dell’arte )  dei luoghi-non-luoghi dove il percorso emotivo può emergere,situazioni inattese, quasi casuali, in cui l’animo assurge alle nobili vette del supremo,sussurri interiori che sono grida di piacere, appagamento di istinti,induzioni di ragione,sedimenti di nuova memoria.L’arte, senziente, emotiva, ancestrale, intimamente sofferta e goduta , è quel sito dimorato dalle emozioni,è quel luogo-non-luogo del corteggiamento tra istinto e ragione,è fonte inesauribile di piacere e di linguaggio rivelato.In uno di questi siti, vive la mostra  “A Sud dell’Anima”, si ciba dello spazio che attende, dell’entusiasmo che sottende, della forza a cui protende.  Questo è solo un invito, una voce premonitore, il resto è privilegio del visitatore.”
Ed è  vero. Da sottoscrivere.  E’ stato un  privilegio l’essere partecipi ad una serata così straordinariamente  rappresentativa per la regione Puglia , per il Sud  in genere , per tutti i Sud del Mondo.
Roma, 16 febbraio 2008

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