giovedì 5 aprile 2012

LA CITTA' DELL'ANIMA DI NICOLA APOLLONIO

LA CITTA’ DELL’ANIMA DI NICOLA APOLLONIO
“ La città dell’anima”, è un romanzo di  Nicola Apollonio,   leccese,  fondatore e direttore della Rivista “ Espresso Sud”, un mensile di politica attualità e cultura che resiste ormai da quasi quarant’anni, come voce libera del Salento , della Puglia , dell’Italia , come emblema e ultimo avamposto della piccola editoria nonostante le mille e una difficoltà economiche in cui si dibatte da..sempre..
Melanconia ed humour , mescolati,   inseparabili,  caratterizzano alcune pagine di questo libro che sa molto  più   di  documento di  cronaca,  società   e costume,   piuttosto che di letteratura  in senso stretto   (del resto, non a caso il protagonista   è un giornalista  e il libro è “coraggiosamente”  autobiografico,  i nomi dei personaggi, i fatti, gli accadimenti sono tutt’altro che fantasticati).   La melanconia, dicevo, che però non  è mai  una  cosa  cupa e compatta, ma piuttosto come un velo  di particelle minutissime, d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi. E’ simile a quella   “ amarezza  virile”, di cui  parla   Feltri nella sua prefazione,  che scaturisce dalla trasformazione, in negativo, della “ città dell’anima”.  E’ la “perdita  di forma”  dei  leccesi, una volta  gentili , educati e campioni di discrezione, che lo amareggia. “Lecce, l’oasi colta e tranquilla delle Puglie, aveva mandato in cantina lo splendore del suo passato  e archiviato tutti i segni della sua signorilità e del suo modo di essere diversa. “ (pagg. 57-58).
Ma subito  dopo, nello stesso capitolo,  quella malinconia – amarezza si mescola con l’umorismo e l’ironia ( un popolo senza ironia  è barbaro, diceva Palazzeschi),  quando l’autore si diverte a mettere  a nudo i difetti dei suoi concittadini,  che si credono  “li megghiu te tutti”   e assumono un atteggiamento spavaldo e impettito, con l’aria da sapientoni, “ per incutere timore e rispetto”, o  parla  delle donne di Lecce,  che  hanno rivoluzionato i ruoli tradizionali all’interno della famiglia, “ arrivando a orientare giudizi e desideri”.
Ma in questa opera c’è dell’altro.  C’è molta  autocoscienza,   vivo senso dell’etica,  e, insieme,   turbamento,  stupore, talora smarrimento,  desiderio di quiete, di leggerezza, di fronte ad un mondo “pesante”, fatto di piombo, così radicalmente  mutato  da risultare irriconoscibile;  c’è la presa d’atto  del declino  o la scomparsa di molti valori  tradizionali e storici  del mondo contadino del Salento .  E c’è, soprattutto,    una  testimonianza che assume il valore della denuncia,   del    coraggio civile, della lotta contro  la sopraffazione e  il male,  ma anche  il male che  produciamo noi  o  facciamo a noi stessi.   
“Questo romanzo, -  scrive il prefatore Vittorio Feltri,  - “ ha  l’andamento di certi pensieri notturni. Quando ci si specchia  dentro la propria memoria  e ci si sente turbati  dal male che siamo stati capaci di fare e di sopportare.  Palpitano in molte pagine  i crimini che lo Stato  lascia accadere senza opporre resistenza.” 
Ed è  questo  un problema  annoso ,  storico. Il sud  ha ricevuto una cultura errata  dello Stato.  Arrivavano  i dominatori , gli ultimi, soprattutto , non esclusi i piemontesi e i governi dall’Unità ad oggi dicevano: “ Voi non dovete fare niente , voi dovete solo obbedire e  aspettare.   Così si è man mano radicato uno Stato assistenziale  che si rubava l’animo e il protagonismo del popolo”. 
E questo lo dice un uomo del nord, Don Riboldi,   il prete-coraggio, che conosce e ama il Sud , che ha lottato e  lotta  per il progresso del Sud , contro i soprusi , la malavita organizzata, la corruzione , il disordine morale e amministrativo , in una continua opera di apostolato e di denuncia.
Riproporre questo spirito, questo sentimento di lotta , civilmente, senza sentirsi martire o crociato. Non mollare , non darsi per vinti di fronte alla violenza e alla criminalità,  ( chi sta solo a guardare poi non  ha neanche il diritto di piangere) , non cercare il proprio tornaconto , ma mirare ad un reale progresso e benessere di tutti , dando il proprio contributo per costruire un cammino di giustizia e di civiltà nel Sud del Sud , che è il Salento, è  questo , secondo me,  il senso e il valore di questo romanzo ,  che   è , lo abbiamo già detto, scopertamente autobiografico  e narrato in prima persona . 
Il protagonista è  un giornalista  che “dopo tanto girovagare nel mondo”  decide di rientrare  nella terra dove è nato ,  nella “ città dell’anima”. Ma non vi torna solo perché   “ improvvisamente invaso dal demone della nostalgia”  ,  vi torna perché  Lecce  è un’ammalata cronica , calpestata, vilipesa,  in mano  ai delinquenti  (lo sanno tutti  che  nel leccese si è  radicata la quarta mafia  nel Salento) ed ha bisogno dei suoi figli  migliori.   In tal senso lo esorta un vecchio comandante del giornalismo leccese,  Domenico Faivre , che  lo richiama   all’ordine : vieni  combattere  in prima linea    “ per dare addosso ai prepotenti e ai malfattori… e  a scuotere le coscienze intorpidite dei leccesi”.  E lui  torna  nel Salento ,   venticinque anni dopo  ,   come   una sorta di  disincantato  scriba-soldato della riserva ,  che  le ha viste un po’  tutte ,  è stato testimone  dei fatti  di cronaca  e della  politica che hanno fatto la storia  del mondo nell’ultimo quarto di secolo.   Si mette in viaggio  sicuro di sé ,  tetragono alle emozioni ,   ma quando  s’avvicina alla sua  “città  dell’anima” il cuore gli batte a mille e “ persino i fichi  d’india dietro i muretti a secco  avevano le spine che brillavano come piccole gemme” Man mano scoprirà , però, che il  Salento è irreversibilmente cambiato: “L’ho ritrovato imbarbarito  nell’anima e nel corpo. Somiglia, per certi versi, ad una provincia araba , affogata nella canicola d’agosto , immobile nella grande afa estiva” (pag. 62)
Bombe, omicidi, droga, racket  delle estorsioni , prostituzione , contrabbando , mafie russa e cinese, turca e albanese. “E’ colpa del lassismo e dei tanti peccati di  omissione , se la situazione si è così deteriorata …ma nessuno ha voglia di riconoscere le proprie responsabilità  e tutti sono pronti a giurare che l’espandersi delle attività criminali è inevitabile conseguenza del progresso civile e democratico del popolo leccese e salentino” ( pagg. 62 – 63)
Questo moderno Odisseo non è neppure arrivato  che  trova subito  l’amico Cosimino che  gli dice senza mezzi termini  che ha fatto malissimo  a tornare  nella sua Itaca-Salento:  “Ma tu sei matto. La nostaglia di che? Nostalgia di starsene seduti al bar o al circolo per sentire le cazzate di questi  poveri mentecatti? Tu sei proprio matto.” (  pag. 90)
La sua  “città dell’anima” , come l’aveva vagheggiata , rimpianta,  sognata, nel lungo soggiorno romano non esisteva più. Trascurata, pigra, insolente, caratterizzata dal disordine e dalla delinquenza, accumulava  ritardi su ritardi e nefandezze d’ogni ordine. Era la sconfitta della moralità  e i salentini mostravano il loro lato peggiore : “ fottersene di tutto e di tutti , rischiando di precipitare in un abisso di omertà….L’importante è giocare a carte“ ( pagg. 108-110)
“I salentini fanno pochissimo per la liberazione dei loro mali”, aveva detto l’arcivescovo Mincuzzi ed era stato facile profeta.Nel frattempo capita,  per caso, nel bel mezzo del preliminare di una “messa nera”, dov’erano convenuti rispettabilissime persone, magistrati, avvocati, medici ,agenti di viaggio, fabbricanti di pasta, assicuratori, ecc, con le loro gentili signore….E’ sinceramente disgustato. Forse si è pentito di essere tornato.   Che fare?   Si  sente isolato,  incerto,  dubbioso,  tormentato,  avverte tutta la pesantezza del difficile momento storico.   “ Lecce non  è più la città dei sogni e del benessere intellettuale , è diventata una specie di Babele con mille sfaccettature “.( pag. 157)   Deve riflettere, tutto , dentro di lui , vacilla ,  gli sembra molto complicato, confuso.   Si  rifugia nei ricordi romani, sfoglia il vecchio album delle fotografie:  Palazzo Farnese con Amedeo Nazzari, Colonna Traiana con Alberto  Bevilacqua; negli studi televisivi del Teatro delle Vittorie con Pippo Baudo e  Loretta Goggi , e poi il presidente  Emilio Colombo, Silvano Pampanini, Lisa Gastoni,  al bar Vanni con Maurizio Costanzo,  e poi ancora Modugno, Ferzetti, Sordi, ecc. ecc.  Ma ecco d’un tratto il ricordo luminoso di Otranto, con l’amico celebre scrittore,  a curiosare tra “ l’albero della vita” di Pantaleone, nell’antica cattedrale dei martiri, ad ammirare quel capolavoro musivo  “ che ha fonti bibliche e in cui la letteratura greca vedeva la dimora d’un essere soprannaturale che parlava all’uomo con il fremito delle foglie.”   ( pag. 124) “Otranto è  bellissima – gli diceva l’amico scrittore . Qui ogni angolo ha una sua caratteristica, una sua anima, un suo modo di raccontarsi”
 Ecco la bellezza magica , misteriosa , del Salento ,   con i  tramonti di Gallipoli,  le ville di Santa Caterina , le Quattro Colonne di Santa Maria al Bagno,  e Lecce “con gli antichi lampioni che spandono una luce soffusa sul verde prato dell’anfiteatro, piazza Duomo, la magnificenza di Santa Croce, il barocco dei miracoli, il barocco dell’anima”.
Ora sa che non si sarebbe mai più mosso dal  Salento per “ contribuire sensibilmente alla rinascita di una città …che si andava piegando sotto i colpi  di una politica schizofrenica  e di una malavita organizzata  che le stava togliendo finanche il respiro (pag. 165).  E così fonda  e dirige uno di quei  periodici  locali , con pochi mezzi economici ma svincolati dal potere, liberi, soprattutto   “ decisi a risvegliare le coscienze e a farle riflettere  sui cambiamenti  che stavano interessando la società italiana  e che nel Salento, invece, venivano sottaciuti o addirittura contrabbandati  come  atti di vandalismo politico e sociale ( pag. 182).
E tuttavia  , quella prima  mattina ,    in un’alba in cui si poteva essere tristi o malinconici”,  ha bisogno di un conforto, di un cenno di incoraggiamento interiore.  Arriva a Santa Caterina di Nardò ,  sosta nella piazzetta dove c’è l’unico  bar,  con un cameriere assonnato, una ragazza sorridente  , un pescatore di  sardine   e un cagnolino vagabondo.  E’ questa la nuova umanità  da cui ricominciare, gli dice la voce di speranza  che aspettava. E’ una voce che viene da lontano, dalla  grande croce di ferro sulla collina della piccola località di mare

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