giovedì 5 aprile 2012

GIORGIO BARBA E GLI ARABESCHI

ARABESCHI DI UN SOGNO
DI GIORGIO  BARBA



                                          DI AUGUSTO BENEMEGLIO


“Arabeschi di un sogno “ di Giorgio Barba   è un poemetto che fa pensare  ai silenziosi tramonti che avvengono nei sobborghi ultimi, nelle città estreme , città bellissime e da sempre sconfitte  da una guerra di cielo e di albe che vengono dal profondo tempo dello spazio, albe di una luce incredibile e definitiva, albe iniziali e nuziali che generano quell’incredibile luce che è solo salentina ,   e poi riviere di sabbia e scogli che s’aprono basse e tenere , quasi rarefatte , come certe marine del tugliese  Cosimo Sponziello ,  così fragili e luminescenti  , immerse  in uno specchio d’acqua che è una  profusione di lapislazzuli e talora se ne può vedere il fondo , come nei quadri di silenzio blu del leccese Francesco Rocco:  è  il mare di Gallipoli, quel mare che corteggia ancora le case e le chiese bianche che grondano salnitro ,  le lune nuove  e l’eco musicale di divinità  tranquille , sirene che volteggiano negli anfratti di Sant’ Andrea o addirittura nei pressi dello scoglio del Campo , come in una piscina ;  sirene domestiche , che non tolgono più  la vista a nessuno, nereidi   che vanno in barca  nude ( le vele issate a bordo sono null’altro che le loro clamidi messe ad asciugare ) .  E poi  silenzi . Silenzi filosofici e labirintici dei greci , acrostici  bizantini , chiavi segrete , ardue geometrie , i misteri della volta e  dell’algebra degli arabi , le lunghe  sciabole con l’elsa d’avorio degli spagnoli  dai vasti  cappelli e  dai grandi inchini  barocchi , con nomi e prenomi innumerevoli  e un poco comici o ridicoli. 
Voler descrivere Gallipoli è un po’ tutto questo e un po’ voler danzare sull’ acque  , imitare i dervisci turchi rotanti  , che fanno il “Sema” , il movimento universale  che è danza e preghiera e vanno in estasi ,  diventano senza peso  ,oppure  provare a volare come Icaro per vedere da lassù l’effetto che fa.
Gallipoli è come  un tango litigioso,  un carnevale infinito fatto di vento perle e stracci  colorati che volano , un popolo che  è in costante festa con sé stesso , il tempo e la storia e , che fa continue  battaglie  d’aria e di nulla ,  un popolo che ama  giochi di memorie di echi e di spade , di palline d’oro e  biglietti in bottiglia , e le uniche cose serie le hanno sempre fatte le donne prima con l’olio bollente  versato sugli assalitori veneziani , poi con la rivoluzione femminile  ante litteram… Gallipoli città  indomabile e ingovernabile città dicotomica ,  città degli opposti , dove tutto è possibile e anche il  contrario di tutto.
Ma  Giorgio Barba , gallipolino  con radici  di popolo  e una laurea in lettere moderne  col massimo dei voti ,  professore  di valore  , insegnante creativo  e appassionato , uno che crede in quel che fa , nonostante il vuoto e lo scetticismo che lo circonda , vuole  dimostrare che Gallipoli è altro , è teorema  d’ombre e  luci  d’angeli prismatici e trasmigrazioni dolorose , è una città –Stato sorretta da dodici colonne profondamente infisse nel mare   da un dio  nostalgico e  solitario , è uno straripante tramonto di cieli appassionati , qualcosa che non è mai stato e deve venire , qualcosa da sognare  in un lungo sogno crepuscolare , la sua città è , in definitiva , un incanto di arabeschi , un luogo che si fa musica , diventa melodia  di vento  e  frammenti di cristalli , labirinto   con l’intersecarsi delle stradine  battute dai raggi di una  luna traversa , con  losanghe colorate delle finestre : gialle rosse  e verdi ,  un luogo che  attraversa epoche ricordi e stupori di gente da sempre in attesa del nulla , con i deliri stellari  di certe notti chiarissime  in cui  si vede come se fosse pieno giorno, un giorno fatto di  luce azzurrissima , che si spande all’infinito . Un posto dove tutto è mitologia  e tutto è poesia : le rocce , i volti  di rame dei vecchi pescatori scolpiti dal tempo e rosi dal vento e dalla salsedine , gli stati di felicità e di dolore , e certi angoli  pieni di maschere grottesche e certi luoghi  misteriosi  che sembra vogliono dirci qualcosa di non scritto , come  una disvelazione o rivelazione che avremmo dovuto conoscere tanto tempo fa …
Giorgio Barba  esplora tutto ciò  , con quell’inesauribile bisogno di poesia , con  la bisaccia piena di metafore e scrive  la sua storia di Gallipoli che  è la storia universale di tutte le città del mondo , la storia della sua vita , del bambino che se ne andava a giocare nel porto  dietro i pesci  il carparo  e i sogni ,  e dalla riviera di scirocco scrutava la sua Kalè Polis :  “ Sirena del mare / dall’onda cullata / dal vento amata / dal cielo rapita / ti specchi e ti scruti/ ti guardi e ti miri/ in piani specchi d’acque / bagnate di sole . Si frange sulle tue mure / la violenza dei flutti / mentre s’alzano nell’aria / segnali delle torri di fumo/ sparse lungo archi d’azzurro.
Inconsapevole , non sapeva che quegli occhi pieni di stupore e quei pensieri colorati erano la sua poesia e faceva versi  di memoria  già allora davanti  al mare  tenero e poderoso ,  trasparente e misterioso,  al mare mitico  di sale greco,  che lo vide crescere rapidamente, liceale  zelante e brillantissimo , poi giovanetto universitario,  che veniva a trovarmi in via Gian Giacomo Russo  e non mancava mai alle riunioni  dell’Uomo  e il


Mare,  con accanto la sua Musa vivente , la dolce  Anna Maria,  oggi sua moglie e madre dei suoi figli.
Parmenide , Empdocle , Omero e Virgilio e gli altri latini ,  poi  Leopardi , Baudelaire Valery Pascoli Saba  e Ungaretti… e forse da ultimo un poco di Comi  , Bodini, Pagano, (chissà!).  Giorgio Barba si è nutrito  di classici che ha ridisegnato con la sua vena barocca che fa parte del suo Dna ,  ed eccolo tessere  pazientemente , Ulisse in pantofole ,  la tela arabescata di un sogno , che è un sogno  del pescatore senza Dio, anche se vorrebbe che ci fosse e anzi talora lo bestemmia apposta con la speranza che ci sia e che si è allontanato solo temporaneamente.
“Ma quale preghiere può dire / al Dio che non sa? . In silenzio in giù inarca / le ciglie e prega la sua rete / che cuce , che si c scuce , che ricuce. / Pensa a notti di luna / quando il mare è dio l’estate / e l’uomo un eroe di miti greci”.
E’ una sinfonia di barocco gallipolino ,  una frottola , una pastorale , una di quelle nenie che sembra l’abbia scritta il popolo , tutti insieme , sull’immensa  tastiera  del vento , un sogno di purezza , quello di Barba e  un  verso  semplice, piano , rispettoso della nostra lingua nonostante le mode trasgressive – dirà  Florio Santini -  ma anche un uomo dai “dubbi tortuosi/ come angioli androgini/  (che) martirizzano l’anima”  , che  non vuole venire mai meno ai richiami della coscienza e alla  fede per cui si è nati,  e ribadisce che  essere poeta è una dimensione dello spirito , non si sceglie , né si viene scelti in questo  tipo di capacità immedesimativa , dove tutto è  simbolismo d’antichi paradossali bestiari , vita e morte , la

dialettica degli opposti , ,l’allegoria , le  allusioni ironiche , i sogni, gli  arabeschi di un sogno. “Uomo dolce e timido triste come uno strano Leopardi del duemila ,  capace di riconoscere  in un temporale o un a foglia che cade nell’attesa  sul ciglio di una rupe  oppure in  ‘ un barlume /di fumo che pigro /precipita nell’incubo dei vicoli/ o in na farfalla di vetro colorato, Giorgio Barba è un uomo che grida il suo tempo e cerca **un guizzo  di  stella e  di carne/ nella parola che ammalia . Un  miniatore di realtà inferiori , minime  l’erba,  o la pica , le castagne , ‘ demoni e angeli / delle chiese barocche”.
Una sorta di sintesi  fra poesia colta e popolare. La sua forse più che un’aspirazione letteraria ,  è  una  necessità  vitale di superare un dualismo che si porta dietro,  una dicotomia che fa parte della sua vita: il  professore piccolo borghese preparato , colto , brillante , l’operatore culturale  impegnato , il giornalista da ex  terza pagina  introverso e sempre un po’ scontento  dentro  l’anima popolare  esplodente  del pescatore gallipolino  pieno di  impulsi vitali, passionale , anarchico ,  prodigioso , incessante  rematore dell’essere , felice e  commosso di esistere e grato del dono dell’esistenza, con  le sue dualità e ambiguità:
“…e l’ombra della notte / è la notte dell’ombra/ la luce delle stelle / le stelle della luce/ il suono del mare/ il mare del suono/ e la luna compassione/ non ha ma bianca / pallida assorta/ contempla e non soffre/ al canto di dolore/ al pianto d’amore.
          Il poemetto nasce  forse da un’abile quanto sofferta e faticosa ricucitura di frammenti lirici , pensieri e sentimenti vissuti e sentiti in tempi ed epoche diverse , che sii sono sedimentati e maturati a forza di limature  e d’aggiustamenti  pazienti e meticolosi, costituendo un corpo organico in cui si fondano pensiero filosofico e sentimento. Ma forse neanche questo è giusto dire , perché tutto è frammento di stelle , soprattutto quando si parla di poesia, frammento colorato, sospeso, metafisico…..
…“ affacciate sui  balconi / a gustare aurore tramonti/ notturne follie e serenata/ ai moreschi balconi/ incarnati nella pietra visi/ orrendi con bocche spalancate e occhi di fuoco:…La sofferenza il dubbio/ l’ansia di sapere/ l’assenza di un Dio./……ma dentro nell’intimo della pietra/ anche loro hanno un’anima>/ come le donne di quest’isola/ di questi balconi di queste case”
Emblematico viaggio nel crepuscolo di Gallipoli , attraverso un mondo di specchi , dove si affastellano memorie sogni versi ombre e luci che non ricordi più, strade vietate  ai tuoi passi, porte chiuse  sino alla fine del mondo, e libri, tanti libri , una cattedrale di libri, un’immensa biblioteca che forse non aprirà più . C’è artificio e ingegno , parole suoni voci, è un crepuscolo in cui l’anima ritesse itinerari che forse non esistono più , con incorrotta passione , un itinerario che è etico oltrechè poetico.
Tre voci , tre scansioni , tre momenti diversi accompagnano questo  viaggio nel  labirinto del sogno : una voce musicale  accompagna i suoni e le armonie della fanciullezza scandendo i ritmi e le straordinarie leggerezze dell’età ,  si realizza quella straordinaria leggerezza dell’essere , ossia la reazione alla materia del peso di vivere , che assume il valore  della fantasia e del sogno. Eccola questa voce di stupefazione, di curiosità e di mistero , la voce dell’infanzia  che si fa eco di nostalgia , risonanza , malinconia,  dimensione  panica , momenti che non torneranno più:
Come “ il vagare fanciullo/ tra le vie le piazze e le chiese;/ quel mio rifugiarmi sul tuo seno / e il rapido volgere del tempo/ In quelle strade tortuose / cadente, bambino/ m’aggiro sonnambulo/ attento nell’istinto.
La seconda voce è quella dell’antitesi sogno-realtà, tra passato e presente , una voce conflittuale , piena di contrapposizione: silenziosa e dilacerante , inquieta e trasognata ,aspra e dolcissima, rabbiosa e tenera , ma più spesso delusa e dolente ( il mondo umano è da sempre una barca di esiliati e una nave delle follia) come sempre avviene quando si scontrano l’idea e la materia.La terza voce è quella delll’uomo che cresciuto di fronte alla proprie responsabilità nei confronti di una umanità sofferente e della storia ha dovuto aprire gli occhi per vedere
“ rapidi arrivi/ di vele nere”, per acquisire coscienza del sentimento del tempo “ che batte i rintocchi / del vecchio pendolo / e corre come un treno senza ritorno / e della gente – di tutta quella schiera di eroi umili – che fatica la propria esistenza giorno dopo giorno  - un fluire e rifluire / di gente tra gocce  di luce .
Il poemetto finisce con le prime voce  , quella del sogno e si conclude con un desiderio panteistico che è anche il messaggio estremo d’amore un voto augurale per Gallipoli sirena del mare.
E mi risveglia d’un tatto/ l’azzurro nuovo del cielo/ L’aurora arruffa appena / i suoi riccioli rosa / specchiandosi nelle distese/ vellutate del mare/ E allora m’ inazzurro nel cielo - / per non dimenticare - / m’inanello nelle rare nubi/ mi disgrego in atomi nel mare/ al canto di una sirena della tua sirena , Gallipoli, / sirena del mare, isola serena.
Se è vera la teoria che ci ha lasciato il buon Sinesio da Cirene ( anche noi siamo figli spirituali del più puro oriente) secondo la quale i sogni predicono il futuro ed in essi ( anche nelle loro oscurità  risiede il vero, lasciamo che il nostro valente poeta continua a sognare e ci dia altre prove , in un prossimo futuro, del suo talento di sognatore.

Nessun commento:

Posta un commento