lunedì 9 aprile 2012

Lu Titoru maschera gallipolina

          LU TITORU

 

di Augusto Benemeglio
Chi è “Lu Titoru”, quel fantoccio che giace su un carro funebre a causa di una pantagruelica indigestione di polpette? Certo di carne deve averne “levata”  molta (troppa) , interpretando al meglio il senso del carnevale :“carne-levare” , in attesa dei lunghi digiuni della  Quaresima che s’approssima... E poi  che sia un frusciar di seta   


color del fuoco  
e un frullar di gambe.
Chi è il  protagonista del più antico e famoso gruppo mascherato di Gallipoli costituito da questo  corteo funebre grottesco , tendente al macabro, in cui le figure si muovono in contrasto  apparente con l’ambiente festoso ?
Di lui sappiamo pochissimo, quasi nulla. Qualcuno dice che era un militare, rifacendosi probabilmente alla tradizione di San Teodoro, ch’era un soldato romano martirizzato e venerato , a partire dal IV secolo, in medio oriente. Ma in realtà l’unico dato certo della maschera-simbolo della “città bella” è che si tratta sicuramente di un personaggio del popolo simile a Pulcinella  , Stenterello , Arlecchino , ecc. , celebri maschere  che fanno parte della Commedia dell’arte e che possiamo ricondurre nella famiglia demonica degli “zanni” (Giovanni) medievali , astuti servi ricchi di vitalità e destrezza.

Ma “Lu Titoru”  ( Teodoro) , a differenza di loro , non ha un’identità precisa , né una storia, né un passato , e neppure un  costume  che lo faccia riconoscere come ad esempio un Arlecchino con le sue losanghe policrome, o un Pulcinella con il volto  bianco e nero e camice bianco,  o uno Stenterello con  tunica e calzoni bicolori. Di lui  c’è solo la salma ( un pupo di cartapesta come tanti ) distesa su un carro fastoso accompagnato da quattro uomini travestiti da vecchie in gramaglie cenciose, con il volto infarinato e annerito, e in mano il fuso e la conocchia. Sappiamo solo che  è morto a seguito di un’indigestione di  “purpette” ( forse una gli è andata di traverso) e ora lo vediamo su un carro funebre con quattro prefiche ai lati che lo piangono in modo così platealmente sguaiato da far diventare il tutto una pantomima farsesca e grottesca.
Mi disse un vecchio gallipolino che , tanti anni fa , al martedì grasso, il fantoccio de “Lu Titoru” e i carri allegorici che avevano sfilato venivano alla fine bruciati  in un grande , immenso falò, per la gioia e il delirio della popolazione che assisteva compatta alla festa. Così , com’era cominciato, con la “focara”  di Sant’Antonio, finiva il Carnevale (c’è anche chi giura che in quella stessa notte di martedì grasso si faceva il “sabba” , con le “macarie” e un concerto di gatti si recavano in corteo , preceduti da un gigantesco Micio che suonava il violino).  Certo è che in quel rogo ardente che celebrava la fine dell’inverno e della sterilità e del ritorno alla bellezza e alla fecondità della natura ,  maschere che assurgono a grottesca  ipostasi comica d’un pallido e diabolico spirito sotterraneo , emerso a esibire in una parentesi carnevalesca l’insaziabile voracità,la sfrontatezza e la goffaggine, il gusto perturbatorio del tipico diavolo sciocco, ma che appartiene anche al popolo inteso in senso lato, che celebra nel carnevale la negazione del quotidiano, il mascheramento, la baldoria , il gusto dell’eccesso e della trasgressione , con le grandi scorpacciate, lo spreco, il lazzo, la danza, lo smemoramento delle proprie miserie e sofferenze, il ribaltamento dei ruoli. 
E , in questo senso , “Lu Titoru”  rappresenta  il “capro espiatorio”  su cui vengono scaricati tutti i peccati della comunità  e quel corteo funebre , che sfila tra risate  e lazzi , improperi e lanci di polpette di mare  rappresenta ,  forse ,  l’elemento finale della ritualità del Carnevale inteso in senso moderno ( dal XVII secolo in poi) che consisteva nel “processo-parodia” , ( denuncia pubblica di tutte le malefatte compiute dalla comunità durante l’anno ) , nel “testamentum domini asini ” , componimento latino in cui  un asino morente detta il suo testamento ,  nella messa a morte del carnevale medesimo , sul quale si addossavano tutti i mali del vecchio ciclo annuale. Al testamento seguivano le due scene finali, trasporto funebre in parodia e uccisione per bruciamento , annegamento, lapidazione , impiccagione ,decapitazione,  fucilazione, seppellimento, ecc., che era il momento culminante del dramma.
La forma più usuale era  il rogo , su cui veniva  arso il fantoccio, con la funzione di purificare dalle influenze malefiche e rinnovare la natura. 
Al trasporto funebre il feretro veniva accompagnato dalla moglie del Carnevale ( la Quaresima, ovvero la  “Caremma” gallipolina , in questo caso madre de “Lu Titoru”) e da maschere col volto bianco e nero , che cantano in coro il pianto funebre (ovvero le prefiche gallipoline) .
Chi è , dunque,  “Lu Titoru” ? E’ una maschera  classica del carnevale moderno, la maschera per eccellenza, ovvero la personificazione  del Carnevale stesso nel suo ultimo drammatico splendido grottesco momento della ritualità

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