mercoledì 11 gennaio 2012

Elsa Mola

La Logica e le Margherite 




Di Augusto Benemeglio


1.     Bagliori tra Leuca e Costantinopoli

Un libro di liriche sospese tra l’evocazione e l’allusione, l’ironia e il fil di fumo della “Butterfly”, il flauto e il violoncello, il volto e la conchiglia sonora, il volo della gazza tra gli ulivi e la picchiata del gabbiano nel mare messapico, quello di Elsa Mola, dal titolo sibillino e filosofico,  La Logica e le Margherite, Arcipelago edizioni, Milano, 2011. Si tratta di un “unicum”, una piccola epopea di frammenti, accadimenti che accendono bagliori qua e là, tra i germogli del vento di finibus terrae di Capo di Leuca e gli occhi che tagliano le melodie tutte islamiche di Istanbul, la vecchia Costantinopoli. Tra gli specchi di labbra di Brindisi e le mute grida e la cenere di Baghdad, in un ricercato controcanto mediterraneo, o attrito smorzato, rispetto alla lapidarietà lucida e bianca, pura come una ferita d’amore, di una Dickinson, a cui si rifà la Mola, in alcuni accenti.
L’autrice è salentina, più specificamente leccese, città d’arte e di miele che a sera si accende come un insieme di rose spinose, oppure diventa tramonto simile a bestia macellata di memoria bodiniana. Città estrema, calda e passionale, città araba che sa essere anche ironica, o meglio autoironica. Tutta la poesia di Elsa Mola è, dunque, ossessione d’amore, a dispetto del titolo “filosofico”? Non esattamente.

2.     Labirinto di Arianna

In “La Logica e le Margherite” c’è un po’ di tutto, anche la filosofia. E la mitologia. Il simbolo. Una sorta di labirinto d’Arianna, un gioco degli specchi, o anche di voci, di echi, di rinvii, che vanno dai richiami letterari mitologici ai motti di spirito, dall’ironia alla sciarada, dalla citazione all’ammiccamento erudito; c’è la logica dell’assurdo, appunto, mescolata con il grottesco e la scissione dell’io, che è propria del nostro tempo. Ci sono intrecci e sbarramenti, frammenti di memoria, fantasie, sogni, gioco delle metafore, fuga dalle asprezze dell’erudizione, una sorta di psicomachia fra Apollo e Dioniso, Forma e Senso, risvegli di coscienza: “dal lungo sonno/durato molti anni/qualcuno volle svegliarmi”. Per Elsa Mola, - un’Arianna di memoria niciana, che si trova ora nel momento fondante del suo passaggio dal logico e lineare Teseo al simultaneo e risonante Dioniso- svegliarsi è stato, in questo caso, probabilmente- come dice Deleuze- “una questione di clinica, di salute, di guarigione”. Ed ecco che i miti, i simboli, le favole, le margherite, altro non sono che vie di fuga dai “fatti”, dalla “nuda brutalità dei fatti”: violenza, dolore, morte, cose ormai diventate banali che accadono ogni giorno e che entrano nelle nostre case con assoluta noncuranza.

3.     Raccoglitrice di favole

“Escludi dal tuo canto il reale, perché è vile” disse Mallarmè ad un giovane poeta. Elsa non esclude il reale, anzi lo soffre molto, ma cerca di affrontarlo con uno spirito nuovo, uno spirito danzante: “slacciati i sandali/mescolate le chiome/è tempo di riprendere/ a danzare sull’erba/ è tempo di rimuovere le antiche pene/ scrollare gli affanni”.___ Se Baudelaire aveva fiutato un mistero nelle immondizie delle metropoli, e l’aveva fatto con una lirica di fosforescente sfavillio, era riuscito a fondere immagini dissonanti, luce a gas e cielo crepuscolare, profumo di fiori e odore di catrame, Elsa Mola raccoglie le favole più abusate e trite della sua infanzia, Cenerentola, Cappuccetto Rosso, La bella Addormentata, ecc., per farne un corollario di ironiche e grottesche malinconie. E lo fa con leggerezza e intensità; con versi free jazz, a volte, pieni di angosciosa gioia e armonioso lamento, versi che cercano farfalle, profumi, fiori, una via di fuga dal labirinto di una storia-incubo da cui tutti cerchiamo di risvegliarci. Versi che sono vetri spezzati, frammenti, cocci, frantumi, che talora inseguono il misticismo orientale di un Tagore, per cercare di ricomporre il tutto, in quell’unità, quell’interezza a cui accennavamo. Per trovare quell’oscura radice che sta oltre “gli ulivi contorti/possenti scavati” della sua terra salentina, che “immobili offrono al cielo/foglie d’oro e d’argento”. Ma cosa c’è dietro quegli ulivi sacri ad Athena, che resistono fino a quando non vengono straziati dal fuoco? “Un fascio di gialle margherite”,ovvero la poesia,  di cui ”faremo ghirlande da offrire” E’ quello il sentiero invisibile, la strada obbligata che porta alla trascendenza, all’armonia, a quell’interezza che nessuno può vedere, nè afferrare.


Roma, 7 gennaio 2012                                Augusto Benemeglio

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