sabato 30 giugno 2012

Gocce...d'inchiostro di Paolo Labombarda


GOCCE
DI PAOLO LABOMBARDA

DI AUGUSTO BENEMEGLIO (*)


1.     Gocce d’inchiostro
A differenza di  “Venti di Grecale”, il primo romanzo di Paolo Labombarda , che era il libro della memoria , il libro degli incroci con la storia , il libro “necessario”, suggerito dall’incontro con i fantasmi del suo passato , questo suo secondo libro di racconti,  “Gocce”  , Albatros edizioni, 2011,  è invece basato sulla scrittura ,  sull’amore senza limiti per la difficile arte che è la scrittura . Sono gocce di misteri, di cuore di donna,  d’ironia, gocce d’alba,  di pastori e di cani abruzzesi , fiamme verdi, prati gialli , gocce di rami e lettere , dove il sole beve l’ombra fra i muri  di pietra  innalzati dalla memoria.  Ma anche  gocce cariche d’umori ,  come il siero che esce da certe specie  di fichi,  o dal muco liquido che cola dalle narici d’uomini e animali, spesso protagonisti “alla pari” in queste storie di gocce; ma sono anche   gocce d’aria
in acqua , sottile equilibrio di un liquido in un gas ,  o gocce d’olio,  da trattenere , da raccogliere religiosamente come si faceva un tempo nel desco familiare pugliese,  gocce di sangue , gocce di lacrime  , ma soprattutto gocce nere d’ inchiostro, l’inchiostro di una volta versato nei calamai , scritte con  la penna di una volta , che l’intingevi nel cuore, come facevano i poeti alla Saba: ” L’ultima goccia di dolcezza esprimi/ anima stanca”.
2.     Camaleontismo della scrittura
Ogni goccia, - scrive Paolo Labombarda , - porta con sé una storia : undici racconti che corrono  sul filo della memoria storica e  mitologica ,  dello stupore dell’infanzia , o del dramma della solitudine , o nella scena avventurosa della transumanza  dei pastori abruzzesi , con echi misti tra D’annunzio e London  (vds.  “ Wòhouw”) , dove la natura si fonde con l’anelito supremo della libertà , che è di tutti, uomini e – soprattutto – animali ; talora sono gocce che vanno verso il ricupero dell’utopia , la regione più luminosa  della nostra mente, dove si ritrova la leggerezza e il sogno dell’infanzia , gocce di puro miele  e di suono garganico (vds. “La Grotticella”  ) ultime braci  tra l’erba e gli insetti ostinati , il bagliore di  ricordi e le voci lontane , grotte , terrazze , spazi  e orizzonti infiniti, senza siepi leopardiane . Ma anche  gocce amare  in cui c’è il senso infinito della nostra solitudine e malinconia  per un mondo in liquidazione ( vds. “Foglie di Limone”) , o gocce con il gusto dell’ironia , della satira , che  si depositano a strati eleganti , sottili , estetizzanti   in un racconto di stile classico come “Ars scribendi”  , che sfotte le tante, troppe scuole di scrittura creative che stanno sorgendo un po’ dovunque, scuole che lo stesso Paolo ( che insegna all’Università di Tor Vergata) , ha frequentato ,  per fare diretta esperienza .  
Insomma c’è un po’ di tutto, un dispiegarsi della scrittura  nelle possibili forme di linguaggio di uomini animali e cose , con una ricerca di una vera e propria teoria linguistica , una rigenerazione dialettale , con frequente uso di  termini onomatopeici e una sintassi infantile  , con cui pensano gli animali , che testimonia il tempo aureo dell’innocenza originale , in cui si identifica il senso poetico del libro . Insomma  , come ha detto qualcuno, si assiste ad un vero e proprio camaleontismo della scrittura. 
3.     Il filo d’Arianna
E tuttavia ogni racconto ha una sua struttura una sua visione un suo intreccio , i suoi  turbini e pozze di luce , l’onda che esplode, lati planetari e i suoi edifici invisibili, la farfalla che sale, le cupole bianche del cielo, le  architetture senza peso, le vertigini, gli specchi, i corpi infranti , le cristallizzazioni mentali , gli abissi , le montagne,  le radici , le sillabe d’amore che si sciolgono, maturano in fronte, fioriscono in bocca  s’accendono i sorrisi a sgretolare , ad abbattere i muri. ( vds Madonne con bambino). Labombarda sembra aver  fatto tesoro della lezione di Stevenson che disse: “La causa e il fine di qualsiasi arte è costruire una struttura ; una struttura che può essere di suoni, di colori, di atteggiamenti mutevoli, di figure geometriche , di tratti imitativi; ma pur sempre una struttura…
Paolo , insomma , come un antico tessitore di  tele di ragno , o un mosaicista medievale ,  un danzatore derviscio,   ha  intrecciato i propri fili della scrittura , le tessere  di un mosaico geometrico, rigoroso e allo stesso tempo misterioso , ha disvelato  il profilo del proprio volto   celato dalla maschera della danza  e si è trovato stranamente vicino alle formiche e agli animali  in genere , e lontano, lontanissimo dagli uomini.  In questa prossimità lontana ,  dove le pause sono schiarimenti  , egli ha avvertito tutta la coscienza dei suoi limiti , l’assillo del tempo e dello spazio , la
necessità  di  fermare sulla carta “quel susseguirsi di sensazioni, emozioni e pensieri  che  scorrono come tante gocce di un mare senza fine”. E ha scoperto che il filo di Arianna di tutto ciò è il lavoro quotidiano, certosino, il concentrarsi   sull’apparente ma concreta semplicità di ogni azione a livello puramente artigianale, con la  precisione essenziale , rigorosa dell’orologiaio ,  dell’azione che potrebbe essere l’ultima, ma forse proprio per questo la più importante . C’è in tutto ciò  qualcosa che è incanto, ma anche tormento.
4.     Tormento e incanto.
“ I pugliesi – disse  lo scrittore tunisino Hèdi Bouraui  , in un’intervista a Telenorba- -  sono inventivi , folli , straordinari, trattano  lo spazio in modo diverso , e danno  al tempo un allungamento incredibile , allora l’immaginazione diventa elastica e aperta, si dilata all’infinito. Hanno il senso del grottesco, dell’arabesco e la fantasia che è il collante  e la  capacità di produrre i movimenti astratti, vale a dire che ti libera dalle cose , che trasforma le cose in immagini, linee e colori danzanti, ma sa anche essere spietata, feroce , dolorosa.   La  Puglia ha questa  stranezza il cui tormento è un incanto e il cui incanto è un tormento.  E Labombarda è un pugliese , che fa vivere i suoi personaggi  in costante equilibrio precario, dicotomico , talora in situazioni  impressionistiche, ( mi viene in mente  Monet) , lievi come farfalle , o un campo di papaveri , una favilla  di luce e voce ( vds. “Gisele”) , tal altra  in condizioni disperate,  ( vds.  “La canottiera di Lana” ) per un disorientamento, uno spaesamento, uno straniamento , un essere fuori sintonia con le cose e le persone.  



5.     Un buon libro:
Fare un buon libro è difficile , come mettere al mondo un figlio , la nascita di qualcosa di nuovo ,  nove mesi di gestazione, con le nausee e il vomito , la sensazione che il corpo fisico e psichico si deformi,  tutta la nostra esperienza anteriore lavora
per cercare un  nuovo modo di manifestarsi , abbandonando il guscio sicuro delle abitudini che ci impastoiano; in certi casi , bisogna cercare di sedurre , fino alla riflessione, avere il coraggio di muoversi nella terra di nessuno,  abbandonando il territorio certo della  propria conoscenza , bisogna cancellarsi l’orgoglio dalla faccia , abolirsi , spogliarsi di tutto , ricominciare da zero , assecondare quell’ansia di esistere che brucia  le vesti ingrigite dagli anni liberando le speranze  dalle  paure, le incognite  dall’impossibilità.  Ma il paese di cui hai nostalgia, il paese in cui vorresti tornare a morire  non è quello reale , è quello che  sta dentro di te , che coltivi da sempre  in momenti di sconfinata nostalgia e solitudine.  Vi sono solitudini simultanee  fatte apposta per far innamorare, - e una di queste è  certamente la scrittura . Ma vi sono anche altre solitudini ,  buie  come la pece , con cui dobbiamo fare i conti una volta per sempre. E bisogna saperle affrontare, altrimenti , inevitabilmente, soccombi.
Un libro – disse Calvino - è qualcosa che ha un principio e una fine ( anche quando non è un romanzo in senso stretto) , è uno spazio in cui il lettore deve entrare , girare, magari perdersi , da solo, ma ad un certo punto trovare l’uscita , o magari parecchie uscite , la possibilità di aprirsi una strada per venirne fuori. Questo è un libro dalle tante strade, fatto di incontri e scontri , e atmosfere, non necessariamente garganiche.  
E’ anche un  libro di umori , e vi si trovano , a tratti,   segni di cedimento, di stanchezza , di sfiducia  nell’uomo. C’è  quello scetticismo dell’ultimo Montale sulle sorti dell’uomo , “sempre in bilico tra il sublime e l’immondo, ma con preferenza per questo secondo aspetto”, c’è  qualcosa legata all’infelicità cosmica  tutta leopardiana , ad esempio  nel dialogo tra Pelago (mare)  e Gea(terra) , (vds. “Carezze di mare”)  , ma c’è anche tanta vitalità, tanta passione , l’amore per la vela , il vento, le nubi, l’ansia di fuga e di velocità,  l’illusione della leggerezza, il suono del clarinetto della distanza che suona le note di un mare che ti bagna di sonno. Penso al “caos calmo”, alla tempesta che attraversa il protagonista della “Canottiera di lana” , un racconto così bello, così intenso, così triste, in cui sembra sciogliersi il grido dell’anima più libero, ma anche il più sofferto e tragico. E tuttavia la sconfitta non è naufragare, né morire, perché anche un relitto può diventare  una scialuppa per rinascere. Ed è questa in fondo la speranza che si può trarre dal libro di Paolo Labombarda , che sembra voler dire: ciò che riferisco con mille parole è solo una piccola, piccolissima goccia di mare.  Ma che cos’è l’eternità, in fondo? Parafrasando  Rimbaud , possiamo dire che è  solo una goccia di  mare mescolata al sole.
Roma, 21 giugno 2012                            Augusto Benemeglio

(*) Relazione letta il 21.6.2012 all’Unar – Sala Italia,  in sede di presentazione del libro da parte dell’ Associazione  Culturale  “Amici  della Puglia”, via Aldrovandi, 16 – Roma .

2 commenti:

  1. Mi affascina tutto ciò che è incredibilbente interessante .
    Tempo vorrein tempo...per scoprire ,di più...

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