“NOMEN OMEN” DI FABRIZIO CENTOFANTI
LE FACCENDE DELL’ANIMA
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1.Le faccende dell’anima .
Per Fabrizio Centofanti l’impulso alla ricerca della verità non ammette frontiere di fatica . Ogni rivo del proprio sangue, ogni energia , ogni atomo chiuso nel suo corpo e nella sua mente che vive in lui è come una porta aperta in cui entra ogni storia , ogni angoscia , ogni ferita , ogni dramma che si fa ora canto , preghiera o disperata allucinazione d’amore, sacro o profano che sia . Il ruolo essenzialmente umano, primordiale dell’arte, costituisce il tessuto connettivo del suo lavorio interno , e poi c’è l’orma , il marchio indelebile della sua fede cristiana , la sua passione nel viverla , la sua ossessione, la sua speranza , anche quando sei in crisi nera e hai davanti a te “muri d’ombra e altri fallimenti” , il “cuore butta sangue” e temi di non farcela : …ti sembra a volte di non avere /più nulla dalla vita. Ti guardi dentro/e vedi solo polvere . Allora cerchi un volto/ qualcuno che t’assolva nei giorni in cui non credi (pag.72), oppure t’avventuri nella “Selva dei suicidi e cerchi “ scampo anche nelle tenebre/ quando il cerchio è un baratro che s’apre /sotto un ponte leggero .(e) non basta l’innocente varco nel cuore (pag. 35)
Per uno come lui, abituato a indagare nelle faccende dell’anima e nello scandalo dei sentimenti , oggi, in relazione allo squallore dei tempi , alla miseria e alla violenza dei giorni , “quando i nomi delle cose sono lampi,/coltelli che s’imbrattano di sangue (pag50) , tutto si fa attualità , cronaca viva, pioggia densa scura come il sangue//tra le rovine intrise di catrame(pag.83). Ed ecco la morte di Vittorio Arrigoni, l’utopia della pace , e i cecchini israeliani, il fora di ball leghista per i sepolti dentro l’acqua senza un nome, i trecento migranti annegati in un sogno di accoglienza ( pag.106), lo Tsunami giapponese, la morte di Simoncelli , il ragazzo dai riccioli di stelle , gli eroi di Fukushima .Ma di fronte alle avversità bisogna battersi con fede e coraggio (Il coraggio è una virtù scaduta/Ma è il coraggio che serve//io non m’arrendo: anche se il tempo/infierisse, lo guarderò negli occhi, /gli tenderò la mano, pronuncerò/- con l’ultimo respiro -/una parola inascoltata di perdono –pag.109), battersi anche con “Il vomito , la febbre, la solitudine appesa/all’attaccapanni dei ricordi (pag.114) e “la mia solitudine infinita”, che è quella di un’anima che ha una sensibilità da orchestra di violini , di un prete che è sempre e comunque solo col suo Dio, che l’ha chiamato per custodire intatta la “sua parola” e darla a tutti, ma in particolare ai poveri, con tenerezza, con spirito di servizio, fraternità, ma anche con fierezza. Seguire lui significa darsi un bacio che oltrepassi il muro // e giunga dalle stazioni della memoria // all’ultima stazione. Noi lo sappiamo bene che ricadremo mille volte, “ istante dopo istante, nella corsa buia dell’abitudine ” , che resteremo attaccati al nostro io , e che tarderemo molto a fare un falò di tutti gli ignoti desideri e le nostalgie smarrite . E’ sempre difficile fugare l’ombra triste del ricordo/ferito e rifugiato dentro il cuore// le mille strade aperte e poi sbarrate/ da forze oscure ed eventi senza nome (pagg.75-76).
Mi viene in mente quel capolavoro del “Diario di un curato di campagna”, che Fabrizio spesso cita dall’ambone. E’ difficile fare l’esperienza dell’ingiustizia e non lasciarsi divorare, è difficile sfuggire al suo fascino , alla sua vertigine . E nemmeno la si può far indietreggiare fissandola negli occhi come un domatore. “Non guardarla che quel tanto che occorre, e non guardarla mai senza pregare”.
2. Naufrago veggente
Con un “tempo largo di apertura al futuro , in cui speranza e carità si mescolano, si integrano , si ritrovano nelle azioni degli uomini e della loro (spesso) incomprensibile condotta “, come acutamente annota l’eccellente prefatore , Giuseppe Panella , Fabrizio continua a dirci del sogno di redenzione possibile per tutti gli uomini , a parlarci di un Dio che non fa rumore , un Dio dei fiori sorto a primavera , del canto infinito dell’oltre , della testa dell’angelo di cartapesta dell’Annunciazione , del giorno dell’incontro fatale che avverrà per tutti , e mentre la lacrima scende /Il re dei re bacia la tua fronte. Non ci sono più necessità , si placano le amarezze e le disavventure del pensiero, scorre il fiume del ricordo, ma tutto ora è costantemente nuovo. Ancora non sapevo /che amare è morire// L’amore ha parole molto strane ,/e gesti che si perdono nel tempo /è candela che brucia all’infinito… Ma eccolo , l’amico Fabrizio (“saremo chiamati tutti alla vita , si risponda a quell’invito, non si intraprendono lotte contro la sacralità dell’amicizia, della solidarietà, ma se ne ascolti l’esempio”), te lo trovi di fronte come un dono immeritato , con quel bel viso ancora da ragazzo , un po’ pallido, smagrito , lo sguardo intenso, il gesto affettuoso, la dolcezza del sorriso, un po’ Dylan Thomas ( “Me stessi/Coloro che piangono/Piangono fra le strade bruciate…/Ed io sono muto per dire alla rosa contorta/Come la mia giovinezza è piegata da identica febbre”), con la sua forza elementare , la sua linfa grandiosa, la concezione panteistica della vita e della morte , un po’ Nichita Stanescu ( “Che bene che ci sei…/E’ un destino del mio essere/e allora la felicità del mio dentro/è più forte di me, delle mie ossa, /che le stridi in un abbraccio /sempre doloroso, meraviglioso sempre”) , poeta romeno della resistenza e dell’amore . “La poesia non ha un senso preciso , è solo comprensione , la poesia vive di accoglimento e amore , è senza intenzioni , è senza progetti, è senza secondi fini , è puro mistero”.
Ma lui è soprattutto se stesso e continua a guardarci negli occhi/con flauti di canna/nudi , continua ad aspettare un nostro bacio “dalla parte nascosta della luna” ( Vorrei scrivere di nulla //- ai disperati, ai soli , a tutti quelli /cui basta una carezza per tornare/ alla vita, scordarsi di morire –pag.134. Ma ci parla anche dei sudori d’attese/ e dell’insensato silenzio delle stelle , dell’angoscia dei Getsmani che “è una fiamma che s’accende / con le preghiere svanite nel mattino , del “dolore afono/che raschia la gola del futuro , dello “strazio del volersi uniti / e inabissarsi/ nel profondo del secchio.
In quel secchio c’è –forse - l’Infinito , e Fabrizio è una sorta di “Naufrago veggente” che , ora con un sermone , un’omelia (“ Quella – gli scrive un’anima della sua parrocchia - è già poesia nel modo più alto e dolce che solo Dio sa darti quando ti illumina”), ora con i libri-diario, i romanzi, i saggi, e ora con questo libro di poesie continua a dirci che il Cristo del Vangelo è vivo , sta in mezzo a noi , sotto i ponti, alla mensa dei poveri, agli ingressi delle chiese a chiedere l’elemosina , sulle vecchie carrette della morte , si fa gitano, barbone , alcolista , drop out. ( “Ci saranno sempre dei poveri tra voi”).E’ un povero Cristo che continua a portare la sua croce da malfattore , a essere sputacchiato , sbeffeggiato , deriso, un Cristo “che soffre”, come ci ricorda Ungaretti: “Fratello che t’immoli/Perennemente per riedificare/Umanamente l’uomo/ Santo, Santo che soffri”.
Con la sua voce icastica, illuminata , profetica , profondamente umana , che si fa via via più colloquiale , semplice, diretta, aperta a tutti ( “Il popolo ha bisogno di poesia come di pane”, -diceva Simone Weil , -ma di una poesia che sia sostanza quotidiana della sua stessa vita , che può avere solo una sorgente, Dio”) , Fabrizio Centofanti dice che bisogna fare “ Quello che rimane” , cioè far spazio dentro di sé agli altri , saper ascoltare il grido della coscienza , e ritrovare la voce di “sottile silenzio” di Dio , che è immagine , attesa , svolta, incrocio, libertà : “sì, la vita è un bivio, un incrocio continuo. il tormento e la bellezza della libertà// Faccio quel che rimane /ciò che resta per sempre /lascio tutto quello che passa/in un anno o in una notte/ costruisco con le mani d’uomo/ un destino preparato dal mio Dio. (pag.55),
3.. Tre nomi e un destino
In lui non esistono soste, non perde un secondo del suo tempo . Ha – come afferma lui stesso – “il karma della focalizzazione” , è nato per produrre , per fare. Il suo primo nome è , infatti, Fabrizio, Faber , un nome nel destino. E’ nato per le vigilie , le attese, i perpetui presagi che illuminano i suoi gesti, le sue parole, il suo impegno quotidiano , e la sua opera è ormai diventata salda , viva , germinazione di fertilità presente e futura. Il suo nome – scrive una blogger – “è quello di saper amare, di conoscere davvero cosa sia l’amore per l’altro, e di insegnarci ad amare”. Ed è come il chicco di grano della parabola evangelica : per fruttificare deve morire a se stesso , deve farsi pane per gli altri. In lui non c’è un luogo e un tempo, ci sono tutti i luoghi e tutti i tempi di un’attesa improvvisa, sfuggita alla coscienza per concessa fragilità. Ma ci sono altri due nomi nel suo destino, Maria, che è segno di una fede garantita , un’apertura a un’energia straniera . E poi Leopoldo, il santo che trascorse la sua esistenza a confessare . “La produttività e la fede non sono sufficienti se non si è disponibili per gli altri con la stessa cura.” Per amare ci vuole un occhio /lungo che sappia guardare nella notte /mani che riescano a stringere /ogni sogno ogni strano pensiero / piedi disposti a camminare anche /sui sentieri più scoscesi e duri. / Per amare ci vuole un cuore bianco (pag.79) Fuori dell’amore c’è solo una cieca cattività, il delirio della risalita , la luce che scende, le agoniche memorie solitarie , il destino collettivo di un treno che non arriverà mai, o che , alla fine di un giorno senza senso/non è mai partito.
L’anima del mondo – lungimiranza dell’amore - , le nuvole , gli uccelli, le pietre , gli alberi, gli animali , gli uomini, “anche” gli uomini possono sperare in una salvezza , e l’anima può essere risarcita , può smettere di piangere. Tutte le illusorie perennità penetrano nel terreno della storia, ma garanzia dell’offerta, sarà quella della propria integrità , l’estremo sacrificio del sacerdote e del poeta che rende sangue un tramonto , che sente la ferita nell’essere come sorgente di vita sempre ostinata a vivere donando al mondo un cuore chiaro del suo sapere oscuro. In questo suo vagare giorno dopo giorno “non resta che la pietà nascosta/del silenzio/la ferita aperta della fragilità;/ il canto muto di un’attesa che ha fermato/tutto, anche il tempo che fugge (pag.113)
4. L’arte della sospensione
La contemplazione delle cose nel tempo sospeso, è arte suprema della pittura, l’arte , ad esempio, di un Piero Della Francesca. Ma anche di un Klee , di un Dalì , o di un Magritte . Nella poesia , abbiamo ad esempio lo straordinario realismo lirico di Sandro Penna , che ha la capacità di cogliere l’emergenza dell’attimo che è luce , di trasformarlo , appunto, in sospensione , languida e vitale , del tempo (“Ognuno è solo, ma con vario cuore/ riguarda sempre le solite stelle// Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo/che il mio bianco taccuino sotto il sole) . Questa luce , che è la luce stessa dei suoi versi, che hanno un dono di grazia e limpidità, la sa cogliere anche Fabrizio negli occhi o nei gesti delle persone , nello spirito delle cose e della natura , ( C’è qualcosa di umano/al di là di tutto/qualcosa che ti tocca/che non sai definire//E tu risorgi in mezzo a questi avelli/danzando ancora al ritmo di quel tempo // Il corpo e il sogno sono nella mani / di strani pomeriggi nelle stanze /, segrete, lontane da ogni assedio// l’invisibile / l’oro femminile , acceso d’ambra // il mare , che ci invade come assenzio. Queste oscillazione ondose della coscienza e della fantasia tracciano indelebilmente una danza consacrata ad una consapevolezza che è paziente cura dell’altro. Se la luce talora ci incenerisce brano a brano , rimangono pur sempre briciole di carità, la volontà e la tenacia nel ricercare quei sassi sprofondati /nel fiume come baci ancora in volo (pag.132)
La pienezza di esistere spesso ci è preclusa da spesse cortine di limiti del corpo e dell’intuito , echi di sillabe che si sgranano in parole o grumi che filtrano significati , e si tenta il precipitato chimico per ritrovare un suggerimento di senso in divenire. Ma ha davvero l’arte quel potere di sospensione? Può essere l’arte un efficace mezzo di comunicazione , di intervento sociale e spirituale ? ( E’ quello che cerca di fare da sempre Centofanti). Può essere l’arte una radicale e insostituibile speranza per l’uomo dell’avvenire? Deve diventare l’arte un nutrimento essenziale del nostro quotidiano progetto esistenziale? Non lo sappiamo , non possiamo dare una risposta , ma quel che conta davvero ,in arte , così come nella vita in generale , è che sia espressione di autenticità , non esercizio stilistico retorico, quel che conta è il mettersi in gioco con tutto se stesso, darsi interamente senza riserve, come diceva Pessoa: “Per essere grande, sii intero: non esagerare/ E non escludere niente di te./Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei/ Nel minimo che fai,/Come la luna in ogni lago tutta/ Risplende, perché in alto vive”. Soprattutto bisogna distillare l’oro del cuore, che conosce le cose , l’oro del cuore pascaliano che conosce le ragioni che la ragione non sa , che sa cosa chiedere , o non chiedere, che è la forma unica possibile per una più vasta sapienza.
La poesia – diceva Calvino - è come una tensione verso l’esattezza , una geometria delle sofferenze. E’ un po’ combattere la sofferenza fisica attraverso un esercizio d’astrazione geometrica. Ma per Fabrizio è qualcosa di più. E’ un ritrovare le radici del cuore, un cuore diverso nuovo già risuscitato d’antiche pene mai scontate , è la luce improvvisa nella stanza, è una sapiente voce che salpa dal tuo porto, è comunicare il sogno di ogni uomo”
5. Conclusione
Siamo alla conclusione, caro amico Fabry , e nulla è stato detto delle tue fatiche artigianali , il timbro , le inflessioni , il fraseggio , l’ombratura del tuo sillabare e vocalizzare , l’attingere ancora una volta alle emozioni a caldo per ritrovare l’armonia giusta – il giusto tono drammatico – la giusta luce – il segreto stregonesco nella camera alchemica del suono – le pagine e i nastri rappezzati , cuciti sui cigli estremi delle note, le suture microscopiche – il costante tuo maniacale rifare interiore che spiega la tua estetica , il tuo rendere semplice e fruibile a tutti il fluire vasto e colto del tuo pensiero , perennemente insoddisfatto. Nulla è stato detto dei sogni, dei fosfeni zanzottiani, del pavesiano “verrà la morte è avrà i tuoi occhi” , e il già citato Dylan Thomas , con la sua forza vitale che “sospinge il fiore , e la verde miccia che lo fa esplodere “, le sue pulsazioni sensuali , (“la vita è in ogni mia poesia, dall’utero della guerra cerco di costruire quella pace momentanea che è la poesia” ) , della mistica erotica della Merini ( “Le più belle poesie /si scrivono sopra le pietre/coi ginocchi piagati/ elementi aguzzate dal mistero) , del Sereni del “Diario d’ Algeria” (“rinascono la valentia e la grazia/non importa in che forme – una partita/ di calcio tra prigionieri) , o il Penna “diverso” ( “Felice chi /è diverso /essendo egli/ diverso. /Ma guai a chi /è diverso /essendo egli /comune”). Ci sarebbe ancora il “timore e tremore” kierkagardiano , la febbre della poesia baudelariana, le parole di Proust sull’amore, il secchio che vola di Kafka, e se vogliamo anche i muri-siepi di Leopardi , la “vita” del Belli e la fantasia dell’immenso Dante. Per non parlare della Venere del Botticelli (“Ancora viva emergi dalle acque” ), o del carnaval di Schuman e di /quest’ultimo improvviso di Chopin . Ma quel che conta , l’abbiamo già detto più volte : è essere sinceri con ciò che sentiamo , con la nostra natura e il nostro giudizio. Nitidezza , precisione , sentimento del tempo , perfetta esecuzione orchestrale di pianoforte , violini e arpe. Ma niente applausi , please. Noi siamo cristiani , non pratichiamo l’esercizio dell’insignificanza , né quello dell’indifferenza . Bisogna saper cogliere ogni sguardo, ogni lamento, ogni sospiro, ogni distanza , poiché le occasioni perdute si fanno avvenimenti di inesistenza. Converrà non aver vissuto piuttosto che vivere senza amore. L’uomo nuovo sarà l’eletto al silenzio delle stelle, o piuttosto la sua risposta alla verticalità è nel desiderio della parola?, quando è la tua parola “illuminata” , soprattutto quando viene detta dall’ambone, e ti ridà il senso dell’origine , il senso della storia ( non ci sono entrate e uscite dalla storia per il viaggio dell’arte attraverso le radici dell’uomo ) , e dell’esistenza . Ogni minimo tuo messaggio è un paesaggio interiore , una fibra della vita dell’universo che si riconosce nell’uomo e nell’amore per il suo Creatore Non senza pianto, non senza paure , non senza fragilità , ma come un antico fedele “sacerdote per sempre” , tu restituisci alla natura il suo dono incompreso, la ringrazi devotamente per la sua quieta meraviglia , e chiedi al tuo unico Dio di aprire l’altra porta di luce , quella invisibile, per tutti, per ciascuno di noi, per quel nostro piccolo, infinitesimale sforzo di grazia.
Roma, 20 aprile 2012
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