ARABESCHI DI UN SOGNO
DI GIORGIO BARBA
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
“Arabeschi di un sogno “ di Giorgio Barba è un poemetto che fa pensare ai silenziosi tramonti che avvengono nei sobborghi ultimi, nelle città estreme , città bellissime e da sempre sconfitte da una guerra di cielo e di albe che vengono dal profondo tempo dello spazio, albe di una luce incredibile e definitiva, albe iniziali e nuziali che generano quell’incredibile luce che è solo salentina , e poi riviere di sabbia e scogli che s’aprono basse e tenere , quasi rarefatte , come certe marine del tugliese Cosimo Sponziello , così fragili e luminescenti , immerse in uno specchio d’acqua che è una profusione di lapislazzuli e talora se ne può vedere il fondo , come nei quadri di silenzio blu del leccese Francesco Rocco: è il mare di Gallipoli, quel mare che corteggia ancora le case e le chiese bianche che grondano salnitro , le lune nuove e l’eco musicale di divinità tranquille , sirene che volteggiano negli anfratti di Sant’ Andrea o addirittura nei pressi dello scoglio del Campo , come in una piscina ; sirene domestiche , che non tolgono più la vista a nessuno, nereidi che vanno in barca nude ( le vele issate a bordo sono null’altro che le loro clamidi messe ad asciugare ) . E poi silenzi . Silenzi filosofici e labirintici dei greci , acrostici bizantini , chiavi segrete , ardue geometrie , i misteri della volta e dell’algebra degli arabi , le lunghe sciabole con l’elsa d’avorio degli spagnoli dai vasti cappelli e dai grandi inchini barocchi , con nomi e prenomi innumerevoli e un poco comici o ridicoli.
Voler descrivere Gallipoli è un po’ tutto questo e un po’ voler danzare sull’ acque , imitare i dervisci turchi rotanti , che fanno il “Sema” , il movimento universale che è danza e preghiera e vanno in estasi , diventano senza peso ,oppure provare a volare come Icaro per vedere da lassù l’effetto che fa.
Gallipoli è come un tango litigioso, un carnevale infinito fatto di vento perle e stracci colorati che volano , un popolo che è in costante festa con sé stesso , il tempo e la storia e , che fa continue battaglie d’aria e di nulla , un popolo che ama giochi di memorie di echi e di spade , di palline d’oro e biglietti in bottiglia , e le uniche cose serie le hanno sempre fatte le donne prima con l’olio bollente versato sugli assalitori veneziani , poi con la rivoluzione femminile ante litteram… Gallipoli città indomabile e ingovernabile città dicotomica , città degli opposti , dove tutto è possibile e anche il contrario di tutto.
Ma Giorgio Barba , gallipolino con radici di popolo e una laurea in lettere moderne col massimo dei voti , professore di valore , insegnante creativo e appassionato , uno che crede in quel che fa , nonostante il vuoto e lo scetticismo che lo circonda , vuole dimostrare che Gallipoli è altro , è teorema d’ombre e luci d’angeli prismatici e trasmigrazioni dolorose , è una città –Stato sorretta da dodici colonne profondamente infisse nel mare da un dio nostalgico e solitario , è uno straripante tramonto di cieli appassionati , qualcosa che non è mai stato e deve venire , qualcosa da sognare in un lungo sogno crepuscolare , la sua città è , in definitiva , un incanto di arabeschi , un luogo che si fa musica , diventa melodia di vento e frammenti di cristalli , labirinto con l’intersecarsi delle stradine battute dai raggi di una luna traversa , con losanghe colorate delle finestre : gialle rosse e verdi , un luogo che attraversa epoche ricordi e stupori di gente da sempre in attesa del nulla , con i deliri stellari di certe notti chiarissime in cui si vede come se fosse pieno giorno, un giorno fatto di luce azzurrissima , che si spande all’infinito . Un posto dove tutto è mitologia e tutto è poesia : le rocce , i volti di rame dei vecchi pescatori scolpiti dal tempo e rosi dal vento e dalla salsedine , gli stati di felicità e di dolore , e certi angoli pieni di maschere grottesche e certi luoghi misteriosi che sembra vogliono dirci qualcosa di non scritto , come una disvelazione o rivelazione che avremmo dovuto conoscere tanto tempo fa …
Giorgio Barba esplora tutto ciò , con quell’inesauribile bisogno di poesia , con la bisaccia piena di metafore e scrive la sua storia di Gallipoli che è la storia universale di tutte le città del mondo , la storia della sua vita , del bambino che se ne andava a giocare nel porto dietro i pesci il carparo e i sogni , e dalla riviera di scirocco scrutava la sua Kalè Polis : “ Sirena del mare / dall’onda cullata / dal vento amata / dal cielo rapita / ti specchi e ti scruti/ ti guardi e ti miri/ in piani specchi d’acque / bagnate di sole . Si frange sulle tue mure / la violenza dei flutti / mentre s’alzano nell’aria / segnali delle torri di fumo/ sparse lungo archi d’azzurro.
Inconsapevole , non sapeva che quegli occhi pieni di stupore e quei pensieri colorati erano la sua poesia e faceva versi di memoria già allora davanti al mare tenero e poderoso , trasparente e misterioso, al mare mitico di sale greco, che lo vide crescere rapidamente, liceale zelante e brillantissimo , poi giovanetto universitario, che veniva a trovarmi in via Gian Giacomo Russo e non mancava mai alle riunioni dell’Uomo e il
Mare, con accanto la sua Musa vivente , la dolce Anna Maria , oggi sua moglie e madre dei suoi figli.
Parmenide , Empdocle , Omero e Virgilio e gli altri latini , poi Leopardi , Baudelaire Valery Pascoli Saba e Ungaretti… e forse da ultimo un poco di Comi , Bodini, Pagano, (chissà!). Giorgio Barba si è nutrito di classici che ha ridisegnato con la sua vena barocca che fa parte del suo Dna , ed eccolo tessere pazientemente , Ulisse in pantofole , la tela arabescata di un sogno , che è un sogno del pescatore senza Dio, anche se vorrebbe che ci fosse e anzi talora lo bestemmia apposta con la speranza che ci sia e che si è allontanato solo temporaneamente.
“Ma quale preghiere può dire / al Dio che non sa? . In silenzio in giù inarca / le ciglie e prega la sua rete / che cuce , che si c scuce , che ricuce. / Pensa a notti di luna / quando il mare è dio l’estate / e l’uomo un eroe di miti greci”.
E’ una sinfonia di barocco gallipolino , una frottola , una pastorale , una di quelle nenie che sembra l’abbia scritta il popolo , tutti insieme , sull’immensa tastiera del vento , un sogno di purezza , quello di Barba e un verso semplice, piano , rispettoso della nostra lingua nonostante le mode trasgressive – dirà Florio Santini - ma anche un uomo dai “dubbi tortuosi/ come angioli androgini/ (che) martirizzano l’anima” , che non vuole venire mai meno ai richiami della coscienza e alla fede per cui si è nati, e ribadisce che essere poeta è una dimensione dello spirito , non si sceglie , né si viene scelti in questo tipo di capacità immedesimativa , dove tutto è simbolismo d’antichi paradossali bestiari , vita e morte , la
dialettica degli opposti , ,l’allegoria , le allusioni ironiche , i sogni, gli arabeschi di un sogno. “Uomo dolce e timido triste come uno strano Leopardi del duemila , capace di riconoscere in un temporale o un a foglia che cade nell’attesa sul ciglio di una rupe oppure in ‘ un barlume /di fumo che pigro /precipita nell’incubo dei vicoli/ o in na farfalla di vetro colorato, Giorgio Barba è un uomo che grida il suo tempo e cerca **un guizzo di stella e di carne/ nella parola che ammalia . Un miniatore di realtà inferiori , minime l’erba, o la pica , le castagne , ‘ demoni e angeli / delle chiese barocche”.
Una sorta di sintesi fra poesia colta e popolare. La sua forse più che un’aspirazione letteraria , è una necessità vitale di superare un dualismo che si porta dietro, una dicotomia che fa parte della sua vita: il professore piccolo borghese preparato , colto , brillante , l’operatore culturale impegnato , il giornalista da ex terza pagina introverso e sempre un po’ scontento dentro l’anima popolare esplodente del pescatore gallipolino pieno di impulsi vitali, passionale , anarchico , prodigioso , incessante rematore dell’essere , felice e commosso di esistere e grato del dono dell’esistenza, con le sue dualità e ambiguità:
“…e l’ombra della notte / è la notte dell’ombra/ la luce delle stelle / le stelle della luce/ il suono del mare/ il mare del suono/ e la luna compassione/ non ha ma bianca / pallida assorta/ contempla e non soffre/ al canto di dolore/ al pianto d’amore.
Il poemetto nasce forse da un’abile quanto sofferta e faticosa ricucitura di frammenti lirici , pensieri e sentimenti vissuti e sentiti in tempi ed epoche diverse , che sii sono sedimentati e maturati a forza di limature e d’aggiustamenti pazienti e meticolosi, costituendo un corpo organico in cui si fondano pensiero filosofico e sentimento. Ma forse neanche questo è giusto dire , perché tutto è frammento di stelle , soprattutto quando si parla di poesia, frammento colorato, sospeso, metafisico…..
…“ affacciate sui balconi / a gustare aurore tramonti/ notturne follie e serenata/ ai moreschi balconi/ incarnati nella pietra visi/ orrendi con bocche spalancate e occhi di fuoco:…La sofferenza il dubbio/ l’ansia di sapere/ l’assenza di un Dio./……ma dentro nell’intimo della pietra/ anche loro hanno un’anima>/ come le donne di quest’isola/ di questi balconi di queste case”
Emblematico viaggio nel crepuscolo di Gallipoli , attraverso un mondo di specchi , dove si affastellano memorie sogni versi ombre e luci che non ricordi più, strade vietate ai tuoi passi, porte chiuse sino alla fine del mondo, e libri, tanti libri , una cattedrale di libri, un’immensa biblioteca che forse non aprirà più . C’è artificio e ingegno , parole suoni voci, è un crepuscolo in cui l’anima ritesse itinerari che forse non esistono più , con incorrotta passione , un itinerario che è etico oltrechè poetico.
Tre voci , tre scansioni , tre momenti diversi accompagnano questo viaggio nel labirinto del sogno : una voce musicale accompagna i suoni e le armonie della fanciullezza scandendo i ritmi e le straordinarie leggerezze dell’età , si realizza quella straordinaria leggerezza dell’essere , ossia la reazione alla materia del peso di vivere , che assume il valore della fantasia e del sogno. Eccola questa voce di stupefazione, di curiosità e di mistero , la voce dell’infanzia che si fa eco di nostalgia , risonanza , malinconia, dimensione panica , momenti che non torneranno più:
Come “ il vagare fanciullo/ tra le vie le piazze e le chiese;/ quel mio rifugiarmi sul tuo seno / e il rapido volgere del tempo/ In quelle strade tortuose / cadente, bambino/ m’aggiro sonnambulo/ attento nell’istinto.
La seconda voce è quella dell’antitesi sogno-realtà, tra passato e presente , una voce conflittuale , piena di contrapposizione: silenziosa e dilacerante , inquieta e trasognata ,aspra e dolcissima, rabbiosa e tenera , ma più spesso delusa e dolente ( il mondo umano è da sempre una barca di esiliati e una nave delle follia) come sempre avviene quando si scontrano l’idea e la materia.La terza voce è quella delll’uomo che cresciuto di fronte alla proprie responsabilità nei confronti di una umanità sofferente e della storia ha dovuto aprire gli occhi per vedere
“ rapidi arrivi/ di vele nere”, per acquisire coscienza del sentimento del tempo “ che batte i rintocchi / del vecchio pendolo / e corre come un treno senza ritorno / e della gente – di tutta quella schiera di eroi umili – che fatica la propria esistenza giorno dopo giorno - un fluire e rifluire / di gente tra gocce di luce .
Il poemetto finisce con le prime voce , quella del sogno e si conclude con un desiderio panteistico che è anche il messaggio estremo d’amore un voto augurale per Gallipoli sirena del mare.
E mi risveglia d’un tatto/ l’azzurro nuovo del cielo/ L’aurora arruffa appena / i suoi riccioli rosa / specchiandosi nelle distese/ vellutate del mare/ E allora m’ inazzurro nel cielo - / per non dimenticare - / m’inanello nelle rare nubi/ mi disgrego in atomi nel mare/ al canto di una sirena della tua sirena , Gallipoli, / sirena del mare, isola serena.
Se è vera la teoria che ci ha lasciato il buon Sinesio da Cirene ( anche noi siamo figli spirituali del più puro oriente) secondo la quale i sogni predicono il futuro ed in essi ( anche nelle loro oscurità risiede il vero, lasciamo che il nostro valente poeta continua a sognare e ci dia altre prove , in un prossimo futuro, del suo talento di sognatore.
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