GOCCE
DI PAOLO
LABOMBARDA
DI AUGUSTO
BENEMEGLIO (*)
1.
Gocce
d’inchiostro
A differenza di “Venti
di Grecale”, il primo romanzo di Paolo Labombarda , che era il libro della
memoria , il libro degli incroci con la storia , il libro “necessario”,
suggerito dall’incontro con i fantasmi del suo passato , questo suo secondo
libro di racconti, “Gocce” , Albatros edizioni,
2011, è invece basato sulla scrittura , sull’amore senza limiti per la difficile arte
che è la scrittura . Sono gocce di misteri, di cuore di donna, d’ironia, gocce d’alba, di pastori e di cani abruzzesi , fiamme verdi,
prati gialli , gocce di rami e lettere , dove il sole beve l’ombra fra i
muri di pietra innalzati dalla memoria. Ma anche gocce cariche d’umori , come il siero che esce da certe specie di fichi,
o dal muco liquido che cola dalle narici d’uomini e animali, spesso
protagonisti “alla pari” in queste storie di gocce; ma sono anche gocce d’aria
in acqua , sottile equilibrio di un liquido in un gas
, o gocce d’olio, da trattenere , da raccogliere religiosamente
come si faceva un tempo nel desco familiare pugliese, gocce di sangue , gocce di lacrime , ma soprattutto gocce nere d’ inchiostro,
l’inchiostro di una volta versato nei calamai , scritte con la penna di una volta , che l’intingevi nel
cuore, come facevano i poeti alla Saba: ” L’ultima goccia di dolcezza esprimi/
anima stanca”.
2.
Camaleontismo
della scrittura
Ogni goccia, - scrive Paolo Labombarda , - porta con
sé una storia : undici racconti che corrono
sul filo della memoria storica e
mitologica , dello stupore
dell’infanzia , o del dramma della solitudine , o nella scena avventurosa della
transumanza dei pastori abruzzesi , con
echi misti tra D’annunzio e London (vds. “ Wòhouw”) , dove la natura si fonde con
l’anelito supremo della libertà , che è di tutti, uomini e – soprattutto –
animali ; talora sono gocce che vanno verso il ricupero dell’utopia , la
regione più luminosa della nostra mente,
dove si ritrova la leggerezza e il sogno dell’infanzia , gocce di puro
miele e di suono garganico (vds. “La Grotticella” ) ultime braci
tra l’erba e gli insetti ostinati , il bagliore di ricordi e le voci lontane , grotte , terrazze
, spazi e orizzonti infiniti, senza
siepi leopardiane . Ma anche gocce
amare in cui c’è il senso infinito della
nostra solitudine e malinconia per un
mondo in liquidazione ( vds. “Foglie di
Limone”) , o gocce con il gusto dell’ironia , della satira , che si depositano a strati eleganti , sottili ,
estetizzanti in un racconto di stile
classico come “Ars scribendi” , che sfotte le tante, troppe scuole di
scrittura creative che stanno sorgendo un po’ dovunque, scuole che lo stesso
Paolo ( che insegna all’Università di Tor Vergata) , ha frequentato , per fare diretta esperienza .
Insomma c’è un po’ di tutto, un dispiegarsi della
scrittura nelle possibili forme di
linguaggio di uomini animali e cose , con una ricerca di una vera e propria
teoria linguistica , una rigenerazione dialettale , con frequente uso di termini onomatopeici e una sintassi infantile
, con cui pensano gli animali , che
testimonia il tempo aureo dell’innocenza originale , in cui si identifica il
senso poetico del libro . Insomma , come
ha detto qualcuno, si assiste ad un vero e proprio camaleontismo della scrittura.
3.
Il filo
d’Arianna
E tuttavia ogni racconto ha una sua struttura una sua
visione un suo intreccio , i suoi
turbini e pozze di luce , l’onda che esplode, lati planetari e i suoi
edifici invisibili, la farfalla che sale, le cupole bianche del cielo, le architetture senza peso, le vertigini, gli
specchi, i corpi infranti , le cristallizzazioni mentali , gli abissi , le
montagne, le radici , le sillabe d’amore
che si sciolgono, maturano in fronte, fioriscono in bocca s’accendono i sorrisi a sgretolare , ad
abbattere i muri. ( vds Madonne con
bambino). Labombarda sembra aver
fatto tesoro della lezione di Stevenson che disse: “La causa e il fine
di qualsiasi arte è costruire una struttura ; una struttura che può essere di
suoni, di colori, di atteggiamenti mutevoli, di figure geometriche , di tratti
imitativi; ma pur sempre una struttura…
Paolo , insomma , come un antico tessitore di tele di ragno , o un mosaicista medievale
, un danzatore derviscio, ha intrecciato
i propri fili della scrittura , le tessere
di un mosaico geometrico, rigoroso e allo stesso tempo misterioso , ha
disvelato il profilo del proprio volto celato
dalla maschera della danza e si è
trovato stranamente vicino alle formiche e agli animali in genere , e lontano, lontanissimo dagli
uomini. In questa prossimità lontana , dove le pause sono schiarimenti , egli ha avvertito tutta la coscienza dei
suoi limiti , l’assillo del tempo e dello spazio , la
necessità di fermare sulla carta “quel susseguirsi di sensazioni, emozioni e pensieri che
scorrono come tante gocce di un mare senza fine”. E ha scoperto che
il filo di Arianna di tutto ciò è il lavoro quotidiano, certosino, il
concentrarsi sull’apparente ma concreta
semplicità di ogni azione a livello puramente artigianale, con la precisione essenziale , rigorosa
dell’orologiaio , dell’azione che
potrebbe essere l’ultima, ma forse proprio per questo la più importante . C’è
in tutto ciò qualcosa che è incanto, ma
anche tormento.
4. Tormento e incanto.
“ I pugliesi – disse lo scrittore tunisino Hèdi Bouraui , in un’intervista a Telenorba- - sono inventivi , folli , straordinari, trattano
lo spazio in modo diverso , e danno al tempo un allungamento incredibile , allora
l’immaginazione diventa elastica e aperta, si dilata all’infinito. Hanno il
senso del grottesco, dell’arabesco e la fantasia che è il collante e la capacità di produrre i movimenti astratti,
vale a dire che ti libera dalle cose , che trasforma le cose in immagini, linee
e colori danzanti, ma sa anche essere spietata, feroce , dolorosa. La Puglia ha questa stranezza il cui tormento è un incanto e il
cui incanto è un tormento. E Labombarda
è un pugliese , che fa vivere i suoi personaggi
in costante equilibrio precario, dicotomico , talora in situazioni impressionistiche, ( mi viene in mente Monet) , lievi come farfalle , o un campo di
papaveri , una favilla di luce e voce ( vds. “Gisele”) , tal altra in condizioni disperate, ( vds.
“La canottiera di Lana” ) per un
disorientamento, uno spaesamento, uno straniamento , un essere fuori sintonia
con le cose e le persone.
5.
Un buon
libro:
Fare un buon libro è difficile , come mettere al mondo
un figlio , la nascita di qualcosa di nuovo , nove mesi di gestazione, con le nausee e il
vomito , la sensazione che il corpo fisico e psichico si deformi, tutta la nostra esperienza anteriore lavora
per cercare un
nuovo modo di manifestarsi , abbandonando il guscio sicuro delle
abitudini che ci impastoiano; in certi casi , bisogna cercare di sedurre , fino
alla riflessione, avere il coraggio di muoversi nella terra di nessuno, abbandonando il territorio certo della propria conoscenza , bisogna cancellarsi
l’orgoglio dalla faccia , abolirsi , spogliarsi di tutto , ricominciare da zero
, assecondare quell’ansia di esistere che brucia le vesti ingrigite dagli anni liberando le
speranze dalle paure, le incognite dall’impossibilità. Ma il paese di cui hai nostalgia, il paese in
cui vorresti tornare a morire non è
quello reale , è quello che sta dentro
di te , che coltivi da sempre in momenti
di sconfinata nostalgia e solitudine. Vi
sono solitudini simultanee fatte apposta
per far innamorare, - e una di queste è
certamente la scrittura . Ma vi sono anche altre solitudini , buie come la pece , con cui dobbiamo fare i conti
una volta per sempre. E bisogna saperle affrontare, altrimenti ,
inevitabilmente, soccombi.
Un libro – disse Calvino - è qualcosa che ha un
principio e una fine ( anche quando non è un romanzo in senso stretto) , è uno
spazio in cui il lettore deve entrare , girare, magari perdersi , da solo, ma
ad un certo punto trovare l’uscita , o magari parecchie uscite , la possibilità
di aprirsi una strada per venirne fuori. Questo è un libro dalle tante strade,
fatto di incontri e scontri , e atmosfere, non necessariamente garganiche.
E’ anche un
libro di umori , e vi si trovano , a tratti, segni di cedimento, di stanchezza , di
sfiducia nell’uomo. C’è quello scetticismo dell’ultimo Montale sulle
sorti dell’uomo , “sempre in bilico tra
il sublime e l’immondo, ma con preferenza per questo secondo aspetto”, c’è qualcosa legata all’infelicità cosmica tutta leopardiana , ad esempio nel dialogo tra Pelago (mare) e Gea(terra) , (vds. “Carezze di mare”) , ma c’è
anche tanta vitalità, tanta passione , l’amore per la vela , il vento, le nubi,
l’ansia di fuga e di velocità, l’illusione
della leggerezza, il suono del clarinetto della distanza che suona le note di
un mare che ti bagna di sonno. Penso al “caos calmo”, alla tempesta che
attraversa il protagonista della “Canottiera
di lana” , un racconto così bello, così intenso, così triste, in cui sembra
sciogliersi il grido dell’anima più libero, ma anche il più sofferto e tragico.
E tuttavia la sconfitta non è naufragare, né morire, perché anche un relitto
può diventare una scialuppa per
rinascere. Ed è questa in fondo la speranza che si può trarre dal libro di
Paolo Labombarda , che sembra voler dire: ciò che riferisco con mille parole è
solo una piccola, piccolissima goccia di mare. Ma che cos’è l’eternità, in fondo? Parafrasando
Rimbaud , possiamo dire che è solo una goccia
di mare mescolata al sole.
Roma, 21
giugno 2012
Augusto Benemeglio
Mi affascina tutto ciò che è incredibilbente interessante .
RispondiEliminaTempo vorrein tempo...per scoprire ,di più...
Lo già fatto con il silenzio
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