VITALIANO BRANCATI
EROTISMO DISPERAZIONE E MORTE
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1.Leopardi della Trinacria
Vitaliano Brancati uguale erotismo , disperazione e morte. Ricordo di aver letto questo lapidario giudizio , insieme ad una notazione curiosa (era un articolo di Biagi, forse?) , ovvero che Montanelli rimase impressionato della sua bruttezza. “Mi pare un ranocchio bagnato , una cosa orrenda davvero. Che stomaco deve averci la Proclemer!” Ma Brancati , che era convinto che quel che contasse in un uomo era l’intelligenza e considerava i siciliani “il popolo più intelligente d’Europa” non tenne in nessun conto il parere ( soggettivo) di un toscanaccio come “Cilindro” Montanelli, nato apposta per provocare .
Brancati , secondo alcune testimonianze , ( ma a dire la verità dalle foto non sembrerebbe) , doveva essere una specie di Leopardi della Trinacria, piccolo, un po’ gobbo, olivastro , pallidissimo , quasi sempre sudaticcio , e forse la sua bruttezza è stata una della cause che hanno originato la triade da cui egli non cedette mai, in tutte le sue opere narrative, massime nel “ Bell'Antonio ” e in “Paolo il Caldo “ , ma anche nel “ Don Giovanni in Sicilia “: l’ erotismo , o meglio l’autoerotismo dovette farla da padrone nella fase adolescenziale (del resto l’ onanismo della prima adolescenza riguardava la stragrande maggioranza dei giovinetti italici di quel tempo , anche a nord della Sicilia, perché la donna dal punto di vista sessuale la si poteva solo vagheggiare , fantasticare , sognare ) e la disperazione se la portava appresso da casa . Era la stoffa , il tessuto che rivestiva la sua anima , era nella sua natura , nella sua eccessiva sensibilità , nella sua incompatibilità con il vivere e perciò tutte le sue opere furono piene , dense di questo sentimento di disperazione e di solitudine e pulsione di morte mascherate , o meglio , deformate , da caricatura grottesca .
2. Esiliato e infelice
Il comico e la tragedia , dunque , insieme al lirismo , questo mezzo dell’immaginario e dell’inverificabile , che facevano parte della sua eredità di scrittore siciliano caparbio e fedele alla sua vocazione che visse si può dire unicamente per questo , scrivere e mettere impietosamente in risalto le convenzioni e le vacuità verbali , i comportamenti anacronistici , le approssimazioni e le banalità , il gallismo , il vuoto di una società e di una regione in cui visse per gran parte della sua vita da esiliato , pieno di tormenti e ansie ,timori e tremori , in un incolmabile vuoto. Egli fu un uomo disperatamente infelice , tranne il suo breve momento di illusione o di illuminazione , con il cinema , il teatro e soprattutto con la Proclemer , una giovane friulana dolce , di buone maniere , ma ferma e con un carattere di ferro, energica e ambiziosa , che lui adorò come una dea senza esserne riamato. Forse all’inizio , la giovane Anna scambiò per amore la sconfinata ammirazione che aveva di lui quale scrittore , o forse era affascinata , lusingata di essere amata, adorata da un uomo che sapeva esprimere così bene i suoi sentimenti…Ma durò poco, comunque, troppo poco. E per Vitaliano la separazione fu un po’ la sua prima morte. Quella definitiva doveva avvenire qualche anno dopo, a seguito di intervento chirurgico , a Torino , nel 1954.
3. La storia degli sguardi
Sedersi al tavolino , ancora unto di sughi e di fritti, aprire un quaderno e cominciare a scrivere fu per lui , fin da ragazzo , l’unica possibile vita e salvezza. Era un po’ ricuperare tutto ciò che la vita gli negava e gli avrebbe sempre negato: i suoi sogni, le sue illusioni, le sue follìe. Per ogni storia che fantasticava , attingeva dal suo mondo , dalle sue illusioni, dalle sue follìe. Le sue storie , i suoi paesaggi, le donne che desiderava erano lì a tracciare il suo percorso, al modo siculo-ellenico: eros e thanatos Era una storia di donne , o meglio una storia degli sguardi delle donne:
“La storia più importante di Catania non è quella dei costumi, del commercio,degli edifici e delle rivolte, ma la storia degli sguardi. La vita della città è piena di avvenimenti, amicizie , risse, amori, insulti; solo negli sguardi che corrono fra uomini e donne; nel resto , è povera e noiosa...Le donne ricevono gli sguardi per lunghe ore , sulle palpabre abbassate , illuminandosi a poco a poco dell'albore sottile che formano, attorno a un viso, centinaia di occhi che vi mandino le loro scintille . Rararamente li ricambiano . Ma quando levano la testa dall'attitudine reclinata , e gettano un lampo , tutta la vita di un uomo ha cambiato corso e natura. Se lei non guarda , le cose vanno come devono andare ...; uguali , comuni, insipide, tristi: insomma , com'è la vita umana . Ma se lei guarda, sia pure con mezza pupilla, oh, ma allora...
Questo esemplare e mirabile brano del “Don Giovanni in Sicilia” , in cui - se vogliamo - c’è il senso stesso del romanzo - è stato ritenuto a lungo paradigmatico della condizione storica e della mentalità dell'uomo del sud. Del resto sono gli stessi meridionali a coltivare e alimentare il mito e il fantasma della meridionalità, che sa di evasione . E , se vogliamo , anche di alibi.
4.Mimmo Modugno
Il “Don Giovanni” di Brancati per me è Domenico " Mimmo" Modugno , che interpretò il personaggio in modo mirabile , con tutto l'armamentario delle caratteristiche peculiari dell'uomo del sud e del siciliano in particolare ( anche se lui era in realtà pugliese, per anni fece di tutto per farsi credere siculo) in un memorabile sceneggiato televisivo ( quando le produzioni della RAI erano al servizio della qualità e della cultura ) in cui vi era sottesa coscienza letteraria e il senso musicale dell’opera ( ogni testo di Brancati è una sorta di spartito che mescola musica araba e Mozart) . Quel “Don Giovanni –Modugno” deluso,
frustrato, stressato , sconfitto da un matrimonio " faticoso" , trascorso al nord , che torna nella sua terra , nella sua dolce antica sensuale pigrizia , nelle abitudini siciliane ( i siciliani non vogliono essere svegliati dal loro sonno di morte) lasciandosi cullare come un bimbo dalle braccia materne delle zitelle-sorelle-madri, è una " felice iperbole di certo nostro sentire amoroso-donnesco" Ci sono evidenti innesti comici e parodistici pirandelliani e deformazioni umoristiche popolaresche sul modello gogoliano , deformazioni che non non degenerano però mai in caricatura . Rimangono nell'ambito del tono della commedia, pur piena di odori sulfurei e di salnitro.
5. E’ un classico
Per lo stile, la pienezza della fantasia, la prosa che sa essere elegiaca e incisiva e riesce " a risuscitare alla meglio la musica di certi suoi periodi di inflessioni dialettale nella sintassi, e al tempo stesso a liberarli a una forma d'arte che non è di nessun paese" , Brancati è entrato in pieno diritto tra i classici della nostra letteratura, dove si colloca tra i rappresantanti più significativi della letteratura meridionale di questi ultimi cinquant'anni , accanto a Silone , Alvaro , Vittorini ,a cui aggiungerei i poeti Quasimodo, Gatto e Bodini .Ma oltre al narratore straordinario ( Il Bell'Antonio , il Vecchio con gli Stivali, ecc.) c'è anche un Brancati commediografo notevole, sceneggiatore e soggettista che ha firmato film importanti come “Anni difficili” e “ L’arte di arrangiarsi”, tratti da suoi racconti . Infine c’è il Brancati elzevirista , amicissimo di Flaiano e Talarico. Peccato davvero che ci abbia dovuto lasciare, con la sua vena satirico -grottesta , la sua ironia graffiante e dolorosa, ad appena 47 anni. Si sarebbe forse potuto aggiungere ,senza sfigurare ai più famosi creatori di aforismi come Leo Longanesi e lo stesso Flaiano.
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