GESUALDO BUFALINO:
IL CROLLO DEL NULLA
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1. Diceria dell’untore .
La sua storia è un misto di stralunata cronaca, nostalgia ed esorcismo, fatta di gioie furtive e decimate speranze. E’ il sigillo della “Diceria dell’untore”, autunnale romanzo che nel 1981 portava alla ribalta – in modo davvero clamoroso – lo sconosciuto scrittore sessantenne di Comiso, Gesualdo Bufalino , uno dei più importanti , uno dei pochi veri autentici scrittori italiani , della seconda metà del ventesimo secolo, che rimarranno nella storia della nostra letteratura.Un libro - Diceria - che è anche una sfida d’amore , un duello sulla frontiera del buio , che Gesualdo Bufalino , ammalato di tisi , iniziò a pensare e scrivere nel 1950, per poi riprendere negli anni settanta , eliminandone gli “effetti liberty” ; un racconto di metafore con la “Rocca ” ,( un sanatorio sgangherato e fatiscente, pieno di disordine levantino ) e un’umanità disfatta di malati, “cascami della storia” , “sfrido umano” , dove al di là del muro di cinta di memoria buzzatiana v’è il nemico annidato nel corpo; un libro-palcoscenico, una meditazione sfibrante sul tremendo “ grigio nascosto dalla cenere futura”, una zumata , o, se preferite , una folata dantesca sgranata nella “ scherma d’amore” e nello zero dei giorni previsti, “senza una brace né un grido “ .
2. Museo d’ombre
A questo libro farà seguito “Museo d’ombre” (1982) ,museo di umori e testimonianze ( “Non uno ma tanti umori, destini e visi di scomparsi sfilano nel ricordo e invocano una lapide…Sono ora una galleria di foto ovali su porcellana , che mi guardano stupefatte lungo i viali del camposanto”) dove Bufalino , unico a uscir vivo da quel “livido colombario di pietra” ch’era il cronicario della Rocca , diventa testimone privilegiato del “tritume del tempo” e tenta una demiurgica operazione di salvezza del passato , affermando un desiderio di sé, della propria conoscenza, della propria identità, che si rispecchia nella galleria dei relitti di una civiltà sommersa: volti, case, strade, chiese, orti, parole , costumi, tradizioni e i mestieri , con la loro morale e le vicende di una volta , con le loro interminabili propagazioni che approdano, attraverso una calma vertigine , a inchiodarsi sulle tavole di un inventario di cose risuscitate dalle “sottili tossine della nostalgia.”
3. Le menzogne della notte
E poi la raccolta di aforismi , “Il malpensante” (1987) , amaro , disincantato e sapienziale zibaldone dove passano i fili che intrecciano le opere con la vita : “Avrò la forza e il coraggio , questa notte di San Silvestro , di buttare tutti i libri dalla finestra per uscire domani nel sole?”, per arrivare a “Le menzogne della notte” (1988) , libro amaro , nel quale gli uomini trovano la condanna “mischiati a vanvera da un recidivo disguido”, prigionieri e custodi di sé stessi , creature di lacrime, “scarabocchi di una scimmia pittrice”, “ fantocci in piedi , nel mezzo di una stanza , moltiplicati da specchi che si fronteggiano”, per finire con l’ultimo suo libro , uscito poco prima della sua tragica morte , a causa di un incidente stradale , “Tommaso e il fotografo cieco”,(1996) , storia di un giornalista cinquantenne che , abbandonato dalla moglie e preso dalla malinconia del tempo che passa , ha un solo amico ( un fotografo cieco, che nonostante la menomazione continua ad esercitare il suo mestiere) e decide , insieme a lui , di mettersi a studiare i trucchi di quella sua vita scassatissima , che finora lo ha solo disilluso e tradito , dietro una maschera di carnevale. Morto, forse assassinato , il fotografo cieco, scomodo e ignaro testimone di una tragica serata , Tommaso , abbarbicato al suo piccolo universo di spionaggi, s’immerge nelle indagini. Va a vivere in un seminterrato di un grande condominio romano e da quel rifugio ultimo della sua esistenza , da un’angusta feritoia della sua ultima squallida abitazione , tra le sbarre fredde delle sue finestre piene di polvere e acari , si mette a “spiare lo spettacolo da quattro soldi di un mondo in sfacelo”.
4. Il Crollo del Nulla
Racconto che fa di due parole sacre, quelle del “nulla” e del “crollo”, un lungo motivo orchestrato da un profeta della deriva e da comprimari destinati alla resa. Partecipe del sentimento dell’agonia del protagonista e della desolazione di un’epoca ( alla fine ci sarà il crollo del condominio, quale allegoria di un patatrac universale) , Bufalino corteggia la partitura quotidiana degli umori e il labile filo che distingua l’invenzione dalla verità, in una scrittura che è insieme aulica e popolare, ritagliandosi spesso un tono medio, colloquiale , un registro verecondo, smorzato , in un fervorino di bizzarre speranze , ma anche un commento d’ironia dolorosa ; un libretto d’opera e un conto che non torna mai, un impasto vivo e inquieto che risponde forse alle incognite del “giallo” dell’esistenza , al visibilio di fulminate parole , ma non al “nero” , al gran buio, alla grande solitudine , al gusto amaro dell’infrazione che condannano lo scrittore ad “appigliarsi sempre al peggio
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