ROSETTA ACERBI
LA SIGNORA DELL’ACQUA
Di Augusto Benemeglio
1. Viaggio nel Blu
Rosetta Acerbi , la Signora dell’acqua , in “ un viaggio misterioso tra sogno e simbolo” , è approdata a Palazzo Rospigliosi , a Zagarolo , la sua seconda Itaca , ai primi di marzo del 2010 , e vi rimarrà , con le sue opere, fino alle prime rose di maggio, due mesi esatti. Mi conducono su per le quattro sale espositive a lei riservate il maestro Francesco Zero , con sua moglie Ludmilla, e i suoi fidi collaboratori Christian e Serena , quest’ultima in dolce attesa. Ed ecco che m’immergo, come un sub, nella prima grande tela di Rosetta , l’”Abisso” , e via , a nuotare in quel blu mare denso magmatico ribollente , che promette tempesta di lì a poco , quel blu scuro e profondo , quel blu manto di Madonna di dellafranceschiana memoria , che genera ombre , ma anche comprensione , quel blu fatto di frammenti di lapislazzuli ,freddo , distante , che vuol dare un ordine alla cose per renderle chiare, definirle , ma anche quel blu-skin , o blu-squadron , roba da sangue misto; quel blu kandiskiano del Cavaliere e del suono di flauto , ma anche di violoncello , di contrabbasso , d’organo, quel blu dei cavalli di Marc , quel blu denso lento gemmato saturante tutto mentale , che chiude l’orizzonte leopardiano dell’Infinito e diventa manifesto , sentimento sovrano , lamento , che porta tracce dell’anima ; quel blu lunare che protegge il bianco dal suo silenzio primordiale , dall’innocenza che è in “Origine” , l’altra grande tela che campeggia su una delle pareti della prima sala.
“Dotata ad un tempo di fragilità ed energia, - scrive M.T. Benedetti - Rosetta è pittrice d’istinto e di naturale talento , con una immaginazione felicemente bizzarra ed un’esigenza profonda di indagare la sua verità”. E la verità è in quel quadro che mostra un corpo di donna in posizione fetale ( Eva , la madre di tutti i viventi, o una ninfa morente che aspetta di rinascere?) , avvolta dal blu che nelle antiche parole greche designavano sia il cielo che il mare, il blu della costanza e della tradizione, ma anche quello tormentato dello scorticarsi , della frantumazione di vecchie
strutture, della decapitazione di volontà caparbie, dei topi e del marciume che abbiamo nelle nostre cantine, il blu della depressione, il blu del rinnovamento.
Il nostro è un viaggio costante in quel blu alchemico , in quella fiamma blu che può consumare l’oscurità di cui si nutre , un terreno immaginale che consente allo sguardo sciamanico dell’artista di vedere “l’evento” , di vedere “l‘oltre”, in quel transito interiore - osserva Mario Novi- che è un po’ visionario e allo stesso tempo un impulso alla metamorfosi; dal buio al meno buio , dalla penombra alla luce, che tuttavia è forse al di là , e può anche apparire irraggiungibile”. Ma c’è in Rosetta quella fortissima tensione all’inconoscibile, che è nostalgia ed enigma, se vogliamo romanticismo tradizionale, un libero atto di volontà appassionata che la muove e le dà energia, potenza, e fragilità insieme, e forse delusione per una conoscenza impossibile. Anche lei potrebbe dire con Carlo Carrà: “E’ l’amore dell’amore, questa forza che mi muove”.
2. Incontro con De Chirico
Un viaggio inquietante , quello dell’artista veneziana , fatto di mistero, incertezza , malinconia , sogno trasformato , astratta solitudine, roba da pensieri filosofici, metafisici , da incontri con il grande maestro Giorgio De Chirico – l’ultimo individualista del ‘900 , che ha dimostrato come l’artista possa ( e debba) seguire il filo d’Arianna della propria mente , incomprensibile agli altri, - che Rosetta conobbe alla fine degli anni ’70.
“Vedi, Rosetta, - le disse il maestro – “bisogna rappresentarsi tutto ciò che è nel mondo come un enigma : non solamente le grandi domande che da sempre ci si è posti ; perché il mondo è stato creato , perché noi nasciamo, viviamo e moriamo, perché potrebbe essere che dopo tutto- come ho già detto – tutto questo non abbia alcuna ragione. Bisogna comprendere l’enigma di certe cose che in generale sono considerate insignificanti. L’enigma e l’inquietante sono all’angolo della strada , e basta solo saperli vedere. Ognuno vive giorno e notte con la propria follia, o con la propria saggezza , come aveva scoperto Nietzsche…Sentire il mistero di certi fenomeni dei sentimenti, dei caratteri di un popolo , arrivare a figurarsi gli stessi geni creatori come delle cose , delle cose molto strane che noi rigiriamo da tutti i lati. Vivere nel mondo come un immenso museo di stranezze , pieno di giocattoli curiosi , variopinti , che mutano d’aspetto, che talvolta , come fanno i bambini , noi rompiamo per vedere come sono fatti dentro, e delusi ci accorgiamo che essi erano vuoti”.
Ora capiamo perché qualcuno ha fatto un accostamento fra De Chirico e l’Acerbi , sta tutto nel senso della ricerca dell’enigma , del mistero , del viaggio interiore che l’artista compie con le sue opere. E non a caso oggi Rosetta si trova nella città di Zagarolo , a Palazzo Rospigliosi , dov’è una delle mostre permanenti del giocattolo più importanti al mondo , giocattoli che spesso sono un po’ come il filo d’Arianna della nostra storia interiore. Il suo , l’abbiamo detto , è un ritorno a casa, poiché il marito, scomparso sette anni fa , il grande musicista Goffredo Petrassi , - maestro di Ennio Morricone , autore anche di un brano musicale, “Morte dell’aria”, su libretto di un pittore-letterato come Toti Scialoja , - era originario ed è tuttora vanto di questo ridente piccolo centro del Lazio.
3. La Venexiana
Ma eccola , Rosetta, ancora bella e affascinante , donna senza età , senza tempo, con i lunghi capelli neri che fluiscono sulle spalle , la testa coperta dall’enorme cappello grigio texano , eccola la Signora dell’Acqua, la Venexiana , che fa il suo ingresso regale nella Sala delle Bandiere accompagnata dal Presidente dell’Istituzione, Marcello Mariani e dal direttore artistico Francesco Zero , eccola con quel suo naturale “Bas blu” da donna colta che sprigiona da tutta la sua persona , nel viso magro e scavato , nello sguardo felino , da volpe-gatto, quasi immersa in quel blu cezanniano fatto di sentieri e contorni d’ombra che si reitera e diventa un colloquio sottile, ambiguo, tra lei e una città lontana , indistinta vagamente nordica colla luna fredda d’argento e le sue guglie ( ma potrebbero essere moschee) in “La sirena e la città”, quadro simbolista, onirico , surreale, che evoca Chagall per la leggerezza , il volo, la metafora, il senso fiabesco, in cui c’è una perfetta sintesi tra il valore della luce e il colore. Quella città , a ripensarci, potrebbe essere anche orientale, o una trasfigurazione di Venezia, la sua città natia , o – perché no? - di Roma, la sua città adottiva. Se – come è noto - “romani” si diventa, veneziani , invece si nasce. E lei lo è in modo integrale, come Desdemona, o Nicoletta Strambelli ( in arte Patty Pravo) , o Federica Pellegrini , donne belle, attraenti, ma soprattutto dotate di un sex-appeal , un fascino straordinario, sottile, misterioso , che mescola occidente e oriente, come la loro città, e conquista e soggioga le menti degli uomini , come nel caso de il racconto “La Veneziana” di Vladimir Nabokov , in cui gli occhi scuri di un ritratto di giovane donna veneziana attribuito a Sebastiano del Piombo , l’olivastra grazia del collo , le delicate pieghe sotto l’orecchio , il dolce sorrisetto ironico delle labbra , seducono a tal punto il giovane Simpson da fargli desiderare di entrare, immergersi nel quadro . E lo fa , in effetti, senza sforzo alcuno. “Subito un fresco delizioso gli diede il capogiro . L’aria sapeva di mirto e di cera e un lievissimo olezzo di limoni... Alta , bellissima, tutta illuminata dall’interno , accanto a lui stava la veneziana che gli sorrise in tralice”.
4.Entrare nel quadro
Si era realizzato quel desiderio che aveva espresso anni prima il grande Kandisky , “Lottai con tutte le mie forze per trovare il modo . la tecnica di attrarre lo spettatore dentro il quadro stesso , perché vi si mescolasse e ne diventasse parte” , lo stesso desiderio di abitare i quadri di Rosetta ( e quindi la sua anima) che ha espresso il poeta Elio Pecora: (vorrei) “abitare il momento, dentro un silenzio chiaro, e sarebbe l’amore , quello che colma e fa vivi”. Ed è questo suo essere veneziana che rappresenta un po’ la sua peculiarità e la sua vitalità artistica e spirituale , come osserva Luigi Carluccio : “ È veneziana e ciò spiega tante cose , quel gioco discreto , ma anche divertito di coperture , temperamento esuberante e d’istintivi estri improvvisi “. Eccola , - dice Marco Vallora - col gesto rotondo accarezzante , che plasma il vuoto sferico, trattenendo il respiro lento, gli occhi streganti , cercando di rattoppare i tempi del suo destino .
E’ questo suo essere veneziana e quindi “Signora dell’acqua” , che la rende erede preziosa e gelosa della maggiore pittura veneta rinascimentale , dalle iridescenze bizantine alla Cena di San Giorgio del vecchio Tintoretto, un capolavoro fantastico il cui riflesso arriva fino al surrealismo , opera che , come vedremo , rimase molto impressa nella mente dell’Acerbi , o il Veronese , coi fremiti di una sensibilità luministica prebarocca , le geometrie perfette e la luce molle e delicata del Rubens , le risonanze , i riflessi incantevoli dei canali veneziani , le scenografie fastose del Canaletto. Ma va precisato – dice il curatore della mostra, Carlo Fabrizio Carli , che i suoi interessi culturali sono soprattutto di natura psicologica , legati all’interpretazione della valenza simbolica dell’acqua, allo studio del misticismo orientale, ai valori spirituali dell’espressione artistica , a cominciare da quella musicale, al recupero di simboli archetipici e di miti antichi . Per cui – annota Giorgio Di Genova , - le atmosfere, le luci crepuscolari , i cieli malati della sua pittura appartengono a tale sfera e si connotano come ambientazioni di racconti onirici.
“Il suo è tutto un raccontarsi nel tempo”, - dice Giorgio Campanaro, - “un palinsesto della memoria più recente , un ritorno al luogo di origine “. Il tempo che vibra come un verso foscoliano , come il diario veneziano di Rilke , e la magia di una città unica al mondo che appartiene a tutti , ma in modo particolari a chi vi è nato e si formato. Ecco – scrive Arnaldo Romano Brizzi – le lune velate e incantate in Re minore , gli splendori lagunari e una nebbia che sfalda i contorni di alberi e palazzi , un corteo di vergini , un flautista disseminatore di cromie , una reverie trascinante sulla solitudine della laguna , con la musica di Offenbach nei suoi “Racconti di Hoffman”. Del resto in lei tutto è musica, anche i suoi fiori sono musicali.
5.I fiori musicali.
Una sinfonia floreale ; ecco come un trasuono di liuto , o chitarra delle note che trapuntano rose rosse come tante virgole nere sparse nell’aria ; ecco il silenzio flautato che fanno le rose bianche nella notte intensamente blu: e poco più in là l’armonioso concerto dei petali che la carezza di un vento maschio e gentile sparge delicatamente sulla tela, le atmosfere verticali , i fiori disfatti , e un suono triste di violoncello sullo sfondo rosa ; e infine il candido, sfumato, delicato lentarello di Boccherini, coi suoi violini , i clarini e l’arpa , che ha qualcosa di magico e di eterno nel segreto misterioso delle sue corde. Uno strumento lirico e delicato, raffinato e femminile , eppure capace di grande passionalità e forza , come Rosetta Acerbi, artista veneziana.
Ma quei fiori implacabili , occasioni di accordi tonali dissonanti , che vengono accostati ora a De Pisis , o al Mafai visionario ,tenero e sensuale, poeta di dolcezza e di (ineluttabile) decadenza , profeta di “demolizioni” e disfacimento delle cose ,
appartengono ad una botanica sacra immaginale , alla piena fioritura dell’immaginazione che si mostra come un diffondersi qualitativo di colori , appartengono alla musica che fanno le sfere dell’universo , appartengono al mito , sono un aspetto dell’anima in veste di Flora, meditazione alchemica con cui si cerca di ricostruire mentalmente il Paradiso perduto , e dentro questi fiori edenici , nascosti, invisibili , stanno creature celesti, giovani adolescenti androgini che suonano la lira e il flauto , angeli ambigui pieni di fascino e di eros che entrano nel vasto mondo degli enigmi e misteri.
6. Gli Angeli di Rosetta
I fiori – diceva Jung – sono componenti della nostra totalità psichica, il “Sé” , e indicano lo sbocciare dei rapporti umani. Nell’alchimia greca i fiori e i boccioli sono immagini per gli spiriti e le anime, .Ed è con gli esseri celesti - le figure immaginali – che ora si realizza il rapporto psichico . Noi siamo testimoni del loro sbocciare , e siamo i loro giardinieri. Ma è solo lei, la vera grande giardiniera, che riesce a mettersi
In comunicazione con questi esseri celesti, gli Angeli, che troviamo nelle due ultime sale di Palazzo Rospigliosi con il titolo di “Presenze”, figure acquoree inquietanti che richiamano gli angeli “ tremendi” di Rilke. Ma forse tutte quelle presenze , che ritessono un po’ la storia dell’arte, da quella pompeiana a quella rinascimentale veneziana, con richiami luministici sensuali di uno scapigliato come Tranquillo Cremona ,passando per Moreau coi suoi bagliori di smalto e il chiaroscuro che crea ombre dorate di tipo rembrandtiano , e che ingloba elementi eterogenei, atti a creare un clima sensuale e misticheggiante , il mito , la storia , il racconto biblico, etc.- rappresentano la molteplicità e l’ambiguità ( che è insita nell’arte) della stessa artista veneziana. Guardate ogni ritratto e ditemi se non è sempre lo stesso volto, e cioè quello della stessa autrice? , dico al giovane Christian. E’ vero, dice lui. Il mistero abita in questi quadri , dove ritrovi Huysmans, Goya , Poe Baudelaire , Mallarmè, Valery , Redon, precursore del simbolismo pittorico, e i miti classici e orientali , un’iconografia tutta basata sull’ambiguità che non è però priva di legami con il grottesco romantico. Sì, è proprio così, conferma Carmelo Siniscalco: Rosetta è una personalità sfaccettata inquietante e inquieta , ansiosa ,vulnerabile, affaticante nella sua complessità, che dà l’impressione di voler sfuggire a se stessa e al talento che per dono naturale possiede. Ed io lo posso dire con cognizione di causa.
Eccola , - scrive Briquet - con l’istinto di un primitivo pieno di grazia come il suo amato De Pisis , intenta a sostituire le prospettive, ma anche a studiare Tintoretto e Leonardo per realizzare quella grande tela fortemente espressionista e decadente che è “L’ultima cena” , in cui si fondono in modo suggestivo e con una delirante fantasia d’insieme , le sue doti notevoli di fantastica trasfiguratrice. La sua – dice Claudio Strinati - è un’attitudine all’evocazione figurativa , per cui tutto ciò che è dipinto sembra estratto nel flusso continuo del movimento cromatico. Però il suo è un gran pianto immoto – dice Michele Parrella –, un pianto senza speranza di approdo , senza voci, con rumore di frange , con fervore di braccia , senza il peso del cuore.
Che lascia dietro di sé Rosetta ? , chiedo all’immaginaria platea dei critici e degli intellettuali che hanno conosciuto l’Acerbi e l’hanno accompagnata nel corso dei lunghi anni della sua carriera. Un riverbero sottile , - dice Giuseppe Galassi - a volte chiaro, impegnativo e penetrante , a volte sfuggente. Forse è una donna costantemente in fuga da se stessa? Non lo so, - risponde Gian Luigi Rondi – ma so che ci lascia una delicatezza tonale , dei cromatismi raffinati , e figure , tante figure alle soglie dell’ambiguità e del mistero. E magari – soggiunge Giorgio Pressunger - il segreto prezioso per scandagliare il mondo dell’altro , per accedere all’altro, per riconoscere nell’altro i nostri propri tratti . Chissà? Ma una cosa è certa, - sorride Diana Kelda – nelle sue opere c’è la musica simbolista, la vitalità delle strategie simboliste, e poi l’amore, la solitudine, la speranza, la paura, l’esaltazione, la disperazione, la morte, tutte cose dell’uomo. Già, è vero, ammette Marco Di Capua, ma Rosetta ci lascia un viso eternato nella sua giovinezza, quello di un’affascinante sirena veneziana. Ci lascia figure tremule nell’acqua - dice Vittorio Sgarbi con voce suadente - quasi non avessero la volontà di emergere del tutto dal piano acqueo che le arresta sulla tela . Affiorano e tornano a scomparire nell’onda di luce che le attraversa , talvolta le abbacina , le rende diafane , opalescenti, le carni di perla o d’avorio avvolte nei fiori disfatti , o nei veli di sogno. Ci lascia una speranza e la volontà di nuovi approdi, conclude Lorenza Trucchi.
Ed è vero, ma ci lascia anche il senso della bellezza , quell’insistenza nel perseguire la bellezza che ha guidato il suo cuore e la sua mente in tutte le strade del mondo , per tutti questi anni , facendola moralmente latina, ma ritmicamente “orientale” , insomma una veneziana, straordinaria “Signora dell’acqua” .
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